La poesia del tempo che scorre

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di Stefano Crisafulli

 

‘A volte una pagina vuota può presentare molte possibilità’. Questa frase, tratta dall’ultimo film di Jim Jarmusch, Paterson, è l’emblema di tutto il cinema del celebre regista indipendente americano. I suoi lavori, infatti, sono sempre stati all’insegna del minimalismo, un po’ come la poesia giapponese degli haiku: pagine bianche sulle quali emergono pochi tratti neri ben inseriti. Gli stessi che la protagonista femminile di Paterson, Laura, interpretata dall’attrice Golshifteh Farahani, dipinge su ogni oggetto a sua disposizione, incrociando la creatività tipica dei quadri di Jean Dubuffet (artista volutamente citato nel film) con la predilezione per il bianco e nero di Jarmusch (capolavori come Daunbailò e Dead man, tanto per dirne un paio, erano in b/n) e dello stesso Dubuffet. Ma nel nuovo film il vero protagonista è il compagno di Laura, Paterson (interpretato in modo ineccepibile ed efficace da Adam Driver), un autista di autobus che ha la passione per la poesia, tanto da possedere un quaderno segreto su cui si diletta, ogni giorno, a scrivere dei versi, rigorosamente liberi. Su cosa? Su tutto. Ma, in primo luogo, su ciò che gli capita. E, a ben vedere, ci sarebbe ben poco da scrivere: perché a Paterson, la città del New Jersey curiosamente omonima del protagonista, capita poco o niente. Ma questo niente diventa, trasfigurato da Paterson (le cui poesie sono, in realtà, opera di un vero poeta, Ron Padgett), un caleidoscopio vitale di bellezza e di meraviglia. Ci sarebbe poi un terzo personaggio, che è stato anche premiato al festival di Cannes dell’anno scorso: il bulldog Marvin. Spettatore delle vicende umane della coppia ed elemento semi-comico del film, Marvin ha una faccia imperturbabile come quella del suo padrone, ma è anche, segretamente, un suo nemico. Tanto da determinare una decisa svolta nella vita di Paterson, che per ovvi motivi non riveleremo.

Ma anche la città di Paterson è, come succede spesso nei film di Jarmusch, tutt’altro che un mero luogo decorativo e ininfluente: l’autista-poeta ne percorre le strade con l’autobus di linea in una sorta di vagabondaggio temporale e ipnotico, ascoltando le conversazioni dei passeggeri e acquisendo, così, ulteriori spunti poetici. Questo posto esiste veramente ed è stato, in passato, un rifugio per anime anarchiche, come il regicida Gaetano Bresci, che visse qui prima di tornare in Italia e uccidere Umberto I, e artistiche, come il poeta William Carlos Williams, che è anche il preferito del protagonista. Tornando a lui, Paterson è un personaggio molto simile ad altri outsider della filmografia di Jarmusch: si pensi al flaneur esistenziale interpretato da Murray in Broken Flowers o al William Blake (di nuovo la poesia..) del fosco Dead Man. Con la differenza che, in questo caso, è un outsider perfettamente integrato nel tessuto della piccola borghesia americana: ha la sua casetta, una moglie amorevole che gli prepara da mangiare (anche se a volte in modo un po’ troppo creativo) e che lo incoraggia nella sua futura carriera di poeta e un cane da portare a passeggio tutte le sere, per poi fermarsi sempre allo stesso bar a sorseggiare una birra.

Cosa potrebbe incrinare questo universo esaustivo, nel quale Paterson si trova bene, come dice al collega che invece gli fa, ogni mattina, un fitto elenco di lamentele? Nulla, eccetto la vita. La routine voluta e vissuta con soddisfazione dal protagonista presenta ogni tanto degli imprevisti, simili alle carte che si pescano nel Monopoli, che gli procurano delle sane deviazioni dal percorso prestabilito. In questo modo Paterson ha la possibilità di scoprire lati diversi di se stesso e mettersi alla prova, non solo come poeta, ma come essere umano. E del resto lo stupore che emerge nelle sue poesie per gli oggetti del quotidiano, come una semplice scatola di fiammiferi che si riverbera in un intero universo metaforico, è anche dovuto all’imprevedibilità della vita e all’impermanenza delle cose, che sfocia, allo stesso tempo, in parole di dolore e di bellezza. Ma forse anche i film di Jarmusch, come i versi poetici di Paterson, sono un tentativo, sottoposto ad eterno scacco, di fermare per un attimo il tempo che scorre e ribaltarne l’entropia distruttiva.