La poesia nel pallone

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In un saggio di Alberto Brambilla esaminate le cinque poesie per il gioco del calcio di Umberto Saba

di Fulvio Senardi

 

Tolgo dalla base della piramide di libri che i mesi di covid (e di pigrizia) hanno accumulato sulla mia scrivania un volumetto di Alberto Brambilla di cui, colpevolmente, Il Ponte rosso non si è ancora occupato (responsabilità invero mia, il direttor non porta pena). Colpevolmente, dico, perché vi si tratta del nostro maggior poeta e su un versante di scrittura per lui alquanto inusuale. Mi riferisco alle Cinque poesie per il gioco del calcio (Alberto Brambilla, Saba, Trieste, il calcio – Capricci e divagazioni sulle cinque poesie per il gioco del calcio). Poesie che tutti conosciamo, considerandole magari – qualcuno di noi – una caduta nel percorso del Poeta (“populistica” per dire secondo la moda) e che pure, osserva Brambilla, hanno contributo a rendere più ampia e diffusa la sua fama: «è difficile trovare oggi», scrive, «un’antologia scolastica in cui non sia presente almeno un testo calcistico di Saba. Per di più ben due sillogi (di poesia “sportiva”, NdA) oltre a contenere le Cinque poesie hanno mutuato il loro titolo da alcuni versi calcistici del triestino». Insomma, curiosamente, proprio il Saba più “occasionale” è quello che appare meglio fruibile, considerando che sotto la veste di grazia disarmata e un po’ démodé della sua poesia non è sempre facile cogliere il nucleo intellettuale e morale, il rovente epicentro psichico.

Duplice il merito del libro di Brambilla: innanzitutto rivendicare il valore del Saba “calcistico”, anche appoggiandosi a un giudizio di Sereni che seguirà il triestino nella nuova tematica componendo nel 1935 Domenica sportiva (una lirica che riporta verso l’area ermetica – di ermetismo, spiegava Mengaldo, moderato – la poesia sullo sport: «la passione fiorisce fazzoletti / di colore sui petti delle donne»). Sarà infatti Sereni  a scrivere, negli anni Cinquanta, qualche bella osservazione sulle poesie dell’amico, di cui era incondizionato ammiratore (si veda il bel carteggio, curato per Archinto da Cecilia Gibellini): «né sportivo né appassionato di sport, gli accadde un giorno di accostarsi a questo come a tanti altri spettacoli del mondo e di sentirsene subito mosso al canto».

Certo, chi ha frequentato i giornali italiani di metà anni Trenta sa benissimo quanta poesia e prosa di tema sportivo vi fiorisse allora, sotto l’occhio benevolo del regime che proprio allo sport affidava il compito di tenere alto il prestigio dell’Italia. Due vittorie ai campionati del mondo nel 1934 e nel 1938 elevavano il calcio a testimone del valore degli italiani di Mussolini. Una vicenda di passione collettiva (e di intelligente uso propagandistico degli eventi sportivi ) iniziata nel 1928 quando, per la prima volta nella storia nazionale, gli italiani potettero seguire in diretta la radiocronaca della partita Italia-Ungheria, giocata nello stadio Flaminio di Roma, conclusasi con la vittoria degli azzurri per 4 a 3.

Scrivere di sport poteva dunque rappresentare la giusta credenziale per vedersi stampati sulla stampa quotidiana; e infatti, le cinque poesie calcistiche uscirono, tra il 1933 e il 1934, niente di meno che sulla torinese Gazzetta del popolo (diretta dal fascistissimo Ermanno Amicucci). Facilmente immaginabile la gioia di Saba, inguaribilmente narcisista e perciò affamato di plausi e consensi, sempre in credito, a sentire lui, con la fama letteraria. Ricorda giustamente Brambilla che quando Saba scrisse al Duce nel dicembre del 1938 indirizzandogli una supplica per essere “discriminato” (ovvero che fosse esentato dai rigori delle leggi razziali, promulgate due mesi prima) tra le benemerenze che elenca per conquistarsi il desiderato “salvataggio” vi è proprio il fatto che «in Parole si leggono le poesie sportive sul gioco del calcio, riprodotte nell’Antologia degli scrittori sportivi e un po’ dappertutto». Un ansioso ipocondriaco come il poeta triestino sapeva come cavalcare l’onda di entusiasmi condivisi, senza che ciò significasse (a differenza di altri, anche grandissimi, e penso ad Ungaretti) prosternarsi al Duce e ai suoi scherani; ché anzi il nostro poeta stava affilando proprio in quegli anni lo strumento con il quale colpirà Hitler, Mussolini e il fascismo sulle pagine della Nuova Europa (le “scorciatoie” ovviamente, il cui palinsesto risale al 1934-5). Sarà opportuno aggiungere, per dissipare ogni residuo sospetto di opportunismo, che Saba scelse Goal per l’ultima delle sue letture alla radio, nel 1956, come a far capire quanto gli stessero a cuore le poesie sul calcio che gli avevano permesso di «immettere la mia dentro la calda / vita di tutti» (Il borgo).

Ma ritorniamo al libro di cui ci occupiamo: in esso l’analisi di Brambilla si fa, in pagine tra le più interessanti, anche sottilmente storico-filologica, portando a un’inattesa scoperta: che Saba imbroglia le carte, fornendo in Storia e cronistoria del ‘Canzoniere’ delle informazioni non rispondenti al vero quanto al dove e al quando delle partite cui avrebbe assistito (e cantato). Il discorso verte su Tredicesima partita (ma non solo), che risulterebbe un caso emblematico di rielaborazione fantastica di un fatto vero, ma il cui referente viene in qualche modo mistificato.

Non dirò di più, perché il discorso è complesso e il filo di ragionamento di Brambilla, sempre assolutamente limpido, merita di venire seguito con partecipe lettura. Ma, obietterà qualcuno, se Saba trucca le carte e “inventa” a posteriori, in Storia e cronistoria, una realtà che si rivela implausibile, dove va a finire la “poesia onesta” che era il compito, secondo il triestino, del vero poeta? Qui bisogna distinguere: Saba non ha mai pensato che la poesia dovesse fotografare la realtà, come una lastra fotosensibile. Egli intende invece l’“onestà” nel senso della perfetta rispondenza tra ispirazione e strumenti espressivi, tra l’intimo bisogno di dire, il sentimento, e le forme che quel dire assume. Ed è per questa ragione che, nel saggio che La Voce non volle pubblicare, egli indicò in Manzoni il vero poeta, colui che dà la veste opportuna alle emozioni e, in D’Annunzio un “falsario” (di «falsità sorprendente», scrive nel 1934), che artificia ogni schietta movenza dell’animo; nell’uno, Manzoni, un fraseggio senza sbavature rispetto all’idea, nell’altro un sofisticato accumulo di effetti.

Ma c’è ancora qualcosa, e già basterebbe, a rendere consigliabile la lettura di Saba, Trieste, il calcio: in un ben circoscritto case study Brambilla ci mostra come lavora la critica letteraria. Parte dai testi e da un’ipotesi, la sottopone a verifica, non esita a ricominciare da capo, quando l’analisi conduce in un vicolo cieco, mentre non cessa mai di porsi, empaticamente, all’ascolto mentre soppesa la pluralità dei riscontri. Certo, tutto ciò non ci dà il segreto della poesia, che resta, in qualche modo, impredicabile, ma il contesto, l’occasione, la maniera in cui la fantasia, accendendosi, ha trovato le più giuste parole. Ed è, consentitemelo, già molto. A chi volesse imboccare la strada della critica letteraria (ai molti recensori della domenica e ai tanti saggisti improvvisati) non saprei quale il libro indicare se non questo. E non soltanto per ragioni di metodo, ma anche di lingua. Che è fluida, piana, affabile. Senza nulla di quell’«eteroclito e bisbetico», per dire con Manzoni, con il quale molti sapientoni fanno mostra del loro “specialismo”.

 

Alberto Brambilla, già docente nella Scuole e all’Università, è titolare di un dottorato italiano e uno francese in letteratura italiana. Collaboratore dell’Équipe di ricerca della Sorbonne e membro del Comitato scientifico per l’Edizione nazionale delle opere di Carducci, vanta, tra i numerosi volumi, Parole come bandiere – Prime ricerche su letteratura e irredentismo (Del Bianco, 2003) e Confini, incroci, scritture – Studi sulla cultura giuliana (EUT, 2017) particolarmente importanti per la storia della letteratura triestina e giuliana, le sue ramificazioni, i suoi rapporti con Carducci e con il grande Ottocento.

 

 

Alberto Brambilla

Saba, Trieste, il calcio

Capricci e divagazioni

sulle cinque poesie per

il gioco del calcio

introduzione di Massimo Raffaeli

Biblohaus, Macerata 2019

  1. 100, euro 15,00