La scomparsa di Jeanne Moreau

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di Pierpaolo De Pazzi

 

Si è spenta a Parigi il 31 luglio 2017 Jeanne Moreau.

Lo stesso giorno mi capita di vedere al cinema il capolavoro di Max Ophuls, Le plaisir (1951), che si chiude con la splendida, verissima frase «la felicità non è una cosa allegra». È una coincidenza che mi richiama alla memoria il volto bello e triste dell’attrice in Ascenseur pour l’échafaud (1958), quando cammina per Parigi nella celeberrima scena notturna accompagnata dall’assolo di Miles Davies e il suo sguardo, struggente e malinconico, è assalito dalla crescente disperazione, perché Julien, l’amante che ha accettato di eliminare suo marito, non c’è e ormai non verrà più, perché qualcosa è andato storto, forse ha avuto paura, probabilmente l’ha abbandonata…

Rivedo le sue lacrime, che si mescolano alla pioggia, nel rimpianto di quel che avrebbe potuto essere e non sarà più, di un futuro che non avverrà, mentre il passato diventa ricordo che scorre via come l’acqua ed è inutile tentare di trattenerlo, e tutti, in strada, nei bar, nei cinema, continuano la loro vita, estranea e indifferente.

Allora ripenso alla frase che Francois Truffaut le ha dedicato, che la ritrae benissimo: «Jeanne Moreau non fa pensare al flirt ma all’amore».

Il flirt sta all’amore come l’allegria alla felicità.

Una coincidenza, certo, rivedere il film di Ophuls lo stesso giorno della scomparsa della Moreau, ma queste intermittenze del destino possono mettere sulle tracce di collegamenti forse arbitrari, ma non per questo meno significativi.

Jeanne Moreau, nata a Parigi nel gennaio del 1928, comincia la carriera a teatro nel 1947 e due anni dopo è già attrice di cinema. Prima del film di Malle, che la farà diventare una star internazionale, partecipa a una ventina di pellicole, tra cui Grisbì e La Reine Margot, di cui è protagonista.

Così è già una delle attrici più note del cinema francese del dopoguerra quando interpreta uno dei film che segnano l’inizio della nouvelle vague, movimento che si aggrega proprio contro quel cinema e che si fa iniziare nel 1958. In quell’anno, appunto, esce anche il film di Malle, che mai dichiarerà di aderire a quella poetica.

Della nouvelle vague troviamo in questa pellicola l’improvvisazione, la vicinanza tra regista e attori, il girare in presa diretta in strada rifiutando lo studio: sono tutte caratteristiche che ce lo fanno vedere come un primo e già maturo frutto di quel clima, e che ne fanno, in un certo senso, anche il “primo” e forse il più grande film della vera Moreau. Ed è che così vogliamo ricordarla, col trucco disfatto dalla pioggia sul volto bellissimo, illuminato dalle insegne dei locali dove cerca inutilmente il suo amante, un uomo che per lei si è perduto.

Pare che i produttori del film abbiano accusato Malle di pazzia, per aver girato così scandalosamente il volto dell’attrice, senza cerone e senza le macchine e le luci dei teatri di posa. È stato un azzardo che le ha cambiato la carriera, aprendo anche le porte alla felice anarchia delle nuova ondata.

Di tutto questo movimento, dell’affacciarsi sulla scena di una nuova donna, moderna e sensuale, bella e seducente perché sensibile e ricca di interiorità, autentica e sincera e quindi capace di sfoggiare un volto non truccato e una voce roca e stanca, di questo la Moreau fu l’icona.

Così, dopo un cameo in Les Quatre-cents coups, di Truffaut, compare in La notte, di Antonioni per essere diretta nuovamente da Truffaut in un altro dei suoi film più celebri, Jules e Jim.

Lavorerà anche con Orson Welles, Godard, di nuovo con Malle, Joseph Losey, Luis Buñuel, John Frankenheimer, sarà nell’ultimo film di Jean Renoir, e poi ancora con Elia Kazan, Rainer Werner Fassbinder, Luc Besson, Wim Wenders, Theo Angelopoulos, Agnès Varda, François Ozon, Amos Gitai, Manoel de Oliveira. È un’attrice (e regista) che durante la sua lunghissima carriera ha saputo incarnare tanti personaggi, intrigando spettatori e registi di diversi paesi, scuole e generazioni, cambiando tanto, ma con un’eleganza sempre riconoscibile, come una melodia di cool jazz.