Mary B. Tolusso apolide

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Adelphi ha pubblicato quasi un piccolo libro d’artista realizzato da Tullio Pericoli

di Alberto Brambilla

 

Mi è capitato l’altro giorno di cercare nella libreria un catalogo che mi serviva per una ricerca sulla poesia visiva. Dalla terribile (nel senso che non si sa mai cosa celi dopo anni di non esplorazione) ‘seconda fila’ del ripiano più alto della libreria, è emerso un vecchio libro bianco, chissà se acquistato o regalato. Il titolo è Parola. Premio Silvestro Lega 1978 (Modigliana 30 luglio / Forlì 1 ottobre), ed è il catalogo (curato da Luciano Caramel, Fulvio Caroli e Maurizio Fagiolo) di una mostra sul rapporto complesso fra parola e immagine. Salgono sulla giostra molti autori di rilievo, Vincenzo Agnetti, Ugo Carrega, Emilio Isgrò, Lamberto Pignotti e molti altri. Scorrendo l’elenco mi ha stupito la presenza di Emilio Tadini e soprattutto di Tullio Pericoli che credevo lontano da simili esperienze. Tra l’altro il suo nome di battesimo per un errore del tipografo era diventato Tuttlio. Strana coincidenza: un errore nel frontespizio di un catalogo (dedicato alle immagini e alle parole) che stravolgeva Tullio in Tuttlio! Sembrava ci fosse una regia occulta, non si trattava di errore ma di volontà autoriale, così ho pensato. A quel punto ho sfogliato il catalogo per cercare i lavori di Pericoli: sulla scia di Klee, e forse di Kandinskij, l’artista si esibiva in prove grafiche d’alta acrobazia, dove in effetti si mescolavano parole, formule algebriche e linguaggi misteriosi. Presentando questi lavori di Pericoli, Fagiolo lo definiva, tra l’altro, «un accorto clown di se stesso». A quell’espressione, fertile e insieme ambigua, mi sono arrestato. «Ho capito», mi sono detto. Qualcuno mi stava avvertendo che dovevo fare quel che da settimane rinviavo per pigrizia.

Da qualche tempo ho il privilegio di godere di qualche salutare chiacchierata (a volte solo telefonica) con Pericoli. Si tratta di scambi d’opinione, riflessioni, ricordi a ruota libera, senza il compitino da fare a casa. Durante questi incontri chiedevo a Tullio cosa volesse fare da grande dopo la faticaccia della mostra milanese di Palazzo Reale. Lui si dichiarava stanco, un po’ scarico, e tuttavia sempre attivo e curioso, impegnato nelle letture d’ogni tipo. In uno degli ultimi incontri milanesi mi parlò di un libro che stava leggendo con sommo godimento: I miei giorni con Giacometti di Isaku Yanaihara (Giometti & Antonello, 2021), straordinario racconto dell’insoddisfazione genetica di uno scultore e di un uomo. Da alcuni accenni compresi che Giacometti lo aveva da sempre affascinato; come e più di Isaku anche Tullio gli era da mezzo secolo accanto. In effetti chi frequenta l’opera multiforme di Pericoli prima o poi ha incontrato, forse inaspettatamente, uno di quegli uomini-alberi o uomini-totem, allungati verso il cielo, che sembrano sul punto di spezzarsi tanto sono fragili e allungati. E invece rimangono saldi, meridiane umane che misurano i millenni. Questi segni allungati a forma d’uomo si trovano nei luoghi più impensati, di solito in qualche angolo nascosto, quasi volessero farsi assorbire dalla pagina. Anche quando appaiono nitidi sul bianco non sono mai in primo piano, e vogliono allontanarsi come se passassero di lì per caso. Diciamo che statisticamente li trovi nei dintorni di Kafka, al quale, come si sa Pericoli ha consacrato decine di disegni-ritatto. È come se il praghese fungesse da calamita e attirasse a sé quegli uomini-segni. Si potrebbe quasi dire lettere-uomini, magari pensando a Kafka disegnatore di se stesso, che usa la sua iniziale K come un manichino da comporre e ricomporre a piacimento. Forse Giacometti si è ispirato a qualche disegno di Kafka, chissà.

Tra una confidenza e l’altra, un giorno nel suo luminoso studio milanese Tullio mi ha rivelato che stava lavorando da un po’ all’interpretazione grafico-pittorica di un racconto di Kafka, Un digiunatore. «Lo conosci?» mi disse a bruciapelo; di solito quando si ignora qualcosa si fa finta e si risponde «mi pare di sì, aiutami… di cosa parla?». Con lui ho invece preferito rivelare la mia ignoranza totale di quel testo. Quasi rallegrato di quella confessione, Tullio mi ha accompagnato verso un grande scaffale bianco da cui ha estratto un parallelepipedo a forma di libro. Non ho mai visto uno scrittore o un artista con la stessa capacità manuale di Pericoli, che fa la gioia delle case editrici. Infatti costruisce personalmente ogni libro, intendo come oggetto finito. Pensa lui alla copertina, alla carta, allo specchio grafico, e, ça va sans dire, alle immagini. All’editore presenta insomma il menabò che in realtà è il libro rifinito in ogni particolare, ordinato, perfetto. Il quadrotto rigonfio che mi poneva sotto gli occhi era il prototipo del libro che intendeva pubblicare. A sinistra scorreva il testo del racconto, a destra, inscritti in una cornice quadrata, sgorgavano linee, colori, disegni, un alfabeto plastico che dialogava a diversi livelli con il racconto K. Ricordo che ciò che allora mi aveva colpito era l’aspetto, per così dire, umoristico dei disegni, alcuni colorati con pastelli gioiosi, e anche mi aveva affascinato il clima circense che circolava nel libro (ecco spiegato il riferimento di Fagiolo al clown). Tullio era ovviamente orgoglioso, e un po’ geloso, di quel piccolo gioiello, e quindi la mia breve ispezione si concluse ben presto e di essa rimase solo un eco musicale (alcuni disegni mi facevano pensare a delle chiavi su uno spartito) e colorata. E poi i frammenti di altre opere di Tullio, paesaggi marchigiani.

Ora, a pochi mesi di distanza, ho finalmente fra le mani, Un digiunatore di Franz Kafka, Adelphi, giugno 2022. Che si presenta innanzi tutto come un prodotto d’alta qualità grafica, un piccolo libro d’artista si direbbe.  Non a caso l’autore evidenziato in copertina è Tullio Pericoli. A lui l’onore (e la responsabilità) del podio, nientemeno che prima di Kafka! Nel Resoconto posto in appendice al libro (che io consiglio di leggere per primo) Pericoli spiega bene l’atto metamorfico, il passaggio alchemico secondo la triade parola-linea-forma. Dal testo del racconto di Kafka, lui dice,  emergono frasi, poi parole, poi linee e forme che a loro volta richiamano le sculture di Giacometti e insieme rimandano ai disegni di Kafka. Da qui nasce qualcosa di nuovo e indefinibile. Come si deduce, siamo ben al di là della semplice illustrazione o della pura ‘traduzione’ in linguaggi diversi. Credo invece che il termine più adatto sia appunto dialogo, a tre voci (Kafka, Giacometti e Pericoli) che però a volte si confondono, si sovrappongono e persino si contrastano. La morale della favola allegorica (perché in fondo di favola si tratta, una specie di controcanto in salsa esistenziale, di Hansel e Gretel dei fratelli Grimm) è che il digiunatore, sempre insoddisfatto di ciò che gli offre la vita, altri non è che Franz stesso, ma anche Alberto e Tullio, ugualmente alla ricerca dell’opera perfetta, anzi, di quella perennemente perfettibile.

 

 

 

Tullio Pericoli

Un digiunatore di Franz Kafka

Adelphi, 2022

  1. 91, euro 24,00