La signora dell’arte

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di Walter Chiereghin

 

Anche quando parlavamo di lei tra amici, mai una volta che ciascuno dei presenti non anteponesse al suo nome, più spesso al suo cognome da sposata, la specificazione di quell’appellativo: signora.

E signora Franca Fenga vedova Malabotta lo è stata fino alla fine di un percorso di vita lungo poco meno di un secolo, che ha trovato il suo epilogo lo scorso 28 aprile, quando si è spenta nella sua casa di Via Franca, a Trieste. Quella casa, voluta dal marito, il notaio Manlio Malabotta (Trieste, 1907-1975), era stata progettata dall’architetto Romano Boico e destinata, nelle intenzioni del committente, a contenere le sue collezioni d’arte, oltre naturalmente a costituire la dimora definitiva per sé e per la moglie, una volta lasciata la casa di Montebelluna. Il destino non assecondò del tutto tale sua prospettiva di vita, portandolo senza che potesse godere appieno della nuova casa.

Fu così che la signora Franca, dopo la scomparsa del marito, rimase erede di un notevolissimo patrimonio d’arte, di gran parte del quale fu partecipe delle scelte, delle ricerche, delle contrattazioni e degli accordi con i cedenti le opere. S’era nel tempo venuta a creare una strepitosa collezione di opere di De Pisis, ma anche altre pagine importanti della storia dell’arte del Novecento, da Martini a Morandi, a Nathan, a una preziosa serie di autori giuliani. E a fianco a queste opere, una ricchissima biblioteca, riedificata volume su volume dopo che il notaio aveva dovuto lasciare la sua casa di Montona per le vicende belliche in Istria. La genesi di quella straordinaria collezione si è resa possibile, oltre che dalla disponibilità economica, anche – e si direbbe soprattutto – da un gusto esigente e raffinato e poi da una fitta articolata rete di conoscenze ed amicizie con coeve personalità di primo piano della cultura e dell’arte, quali, tra molti altri, Giovanni Comisso, Umberto Saba, Giovanni Scheiwiller e Leonor Fini.

Di tutte le collezioni, dell’archivio, della biblioteca, Franca Malabotta non si è limitata ad essere una fedele custode: è stata un’appassionata promotrice, consentendo numerosi prestiti per mostre importanti, ma anche lasciando aperte le porte di casa a studiosi e giovani ricercatori, stabilendo al contempo una rete di relazioni con importanti storici dell’arte e con istituzioni di studio e museali. Tale generosa disponibilità non si è limitata agli anni della sua vita, ma ha voluto estenderla oltre l’ineludibile termine temporale che si avvicinava.

Vennero così le donazioni. La prima, la più clamorosa, la cessione dell’intera collezione dei De Pisis nel 1996, centenario della nascita dell’artista a Ferrara, sua città natale. In precedenza, la raccolta – che consentirebbe per importanza e dimensioni un museo ad hoc – venne proposta al Museo Revoltella di Trieste, che declinò l’offerta, per una scelta a dir poco discutibile. Seguirono altre donazioni: all’Archivio di Stato di Trieste pervenne così il ricco archivio Malabotta, alla Fondazione Cini di Venezia una cospicua collezione d’arte (sculture di Martini e opere di grafica), oltre alla biblioteca di arte, e infine, al Museo Revoltella (stavolta meno distratto) un’importante collezione di autori d’area giuliana, tra cui Nathan, Fitke, Carmelich, Bolaffio, Lannes e Levier.

Molti dunque i motivi di gratitudine che non solo Trieste, ma la cultura italiana deve, per sempre, alla signora Franca Fenga Malabotta.