La soffitta di Dušan Jelinčič

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Un altro romanzo agibile ai lettori italiani grazie alla traduzione dallo sloveno di Patrizia Vascotto

di Anna Calonico

…perché a vent’ anni è tutto ancora intero, a vent’anni è tutto chi lo sa

A vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età

(Eskimo, F. Guccini)

 

Torna in libreria Dušan Jelinčič, scrittore, giornalista, alpinista, con Quella soffitta in Cittavecchia: un romanzo ambientato nella Trieste degli anni 70, tra le rive, la stazione, l’Università e, ovviamente, la zona di Cittavecchia. Protagonisti sono un gruppo di ragazzi intorno ai vent’anni, soprattutto studenti della Facoltà di Lettere, appartenenti al Movimento, un gruppo di ragazzi che leggono Che Guevara, Marx, Marcuse, Camus, Sartre, David Cooper, che ascoltano Imagine, i Doors, Joan Baez e Bob Dylan, che hanno in testa l’idea di cambiare il mondo.

È un ritratto dei giovani triestini (ma non solo) degli anni 70 (ma non solo, in fondo): durante la presentazione del volume alla libreria Lovat, la traduttrice Patrizia Vascotto dice che, nonostante le difficoltà insite in ogni lavoro di traduzione, si è trattato di un compito quasi facile, perché parlava della sua giovinezza, di un tempo e di un mondo che conosceva. Belle parole, ma, in fondo, anche se i luoghi, e persino i locali, sono tipici della Trieste di quegli anni, credo che la bellezza di questo testo sia quella di poter essere elevato ad esempio di tutti i giovani: Il tempo passa e hai l’impressione che la vita ti scorra via e non riesci ad afferrarla, e ti sembra che l’energia ti fili tra le dita e di essere già arrivato in fondo mentre tutti ci dicono che non abbiamo nemmeno cominciato… e vorremmo cambiare il mondo e ci ridono dietro, e vorremmo raccontare a qualcuno cosa ci rode dentro, ma non sappiamo neanche parlare, eppure sentiamo che dobbiamo fare qualcosa, qualsiasi cosa, per soddisfare questa voglia di fare esplodere l’energia, di costruire…” (p. 22) Queste parole, estratte da una discussione tra il protagonista Sandro e il suo amico Marco, vengono pronunciate, è vero, dopo alcune riflessioni sul Movimento, ma credo che non ci sia stato giovane al mondo che non si sia mai sentito così.

Nel romanzo, l’impegno politico è forte, è anzi la forza che trascina tutta la storia, che mette in rilievo le caratteristiche dei vari personaggi e che in qualche modo giustifica il senso di fallimento del finale: i ragazzi si impegnano, leggono i libri “giusti” per capire il mondo e per fare la rivoluzione che lo cambierà in meglio, eppure con il passare del tempo si rendono conto che, come diceva il loro amico e mentore Socrate (nome eloquente) “giocano con i soldatini”: Oltre ai soliti slogan di lotta non aveva ancora sentito niente di concreto. Solo un fiume di lava velenosa, con la sembianza di parole altisonanti, contro il nemico di classe (p.59). E proprio nel momento del dubbio, reso ancora più forte dall’aver assistito ad un tentato stupro, Sandro crede di aver trovato il suo equilibrio: è un romanzo di formazione, non soltanto politica ma anche sentimentale e il protagonista scopre il sesso (se non proprio l’amore): Forse era il primo passo per toccare il cielo, chissà… E forse il cielo è già nel gustare quelle labbra che lo atendevano trepidanti e non nella lotta di classe, oppure… oppure… la lotta di classe è soltanto un passaggio, che porta a quelle labbra da gustare. Perché siamo tutti così irrimediabilmente soli e ci poniamo dei traguardi così sconfinati perché non sappiano raggiungere neanche i più modesti, e tuoniamo slogan grondanti di rabbia e indignazione solo per poter poi sussurrare dolci parole a delle labbra tremolanti. Forse non starò mai più così bene e questo momento è soltanto una fragile e irreale parentesi in quella realtà più vera che comprende anche la dura lotta per una società migliore. (pp. 88-89) Dopo la dolcezza di immagini come questa, come qualsiasi giovane ha potuto sperimentare, si cade di nuovo dalle stelle alle stalle: Sandro è confuso, insoddisfatto, non sa cosa vuole e quella soffitta che all’inizio gli era sembrata l’inizio di una serie di grandi progetti gli sta stretta e decide di andarsene. Dove, non lo sa, e ben presto deve tornare e scontrarsi con la vecchia realtà. E anche peggio: deve fare i conti con la morte di un compagno, “il migliore di loro”, che si suicida lasciando un biglietto quasi uguale a quello di Cesare Pavese e un grande vuoto che segna “la fine di tutto”. Per Sandro la fine arriva subito dopo, quando scopre di aver perso per sempre il suo amore, che il suo migliore amico sta per lasciarlo e che ancora una volta non sa dove sbattere la testa: Lo sai a che cosa ho pensato tante volte? A come ripenserò a questo periodo tra dieci o vent’anni. A questa confusione, a questa solitudine. Forse ne riderò, ma so che adesso sto soffrendo. (p. 207)

Alla fine del libro si tirano le somme: il Movimento, e soprattutto il loro leader, non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative; il migliore della compagnia, sempre avanti rispetto agli altri, ha deciso addirittura che era meglio farla finita. Per reazione, gli altri componenti del gruppo si tuffano a capofitto in realtà estreme, e con un grande senso di malinconia questo libro che ci ha riportato indietro negli anni, tra canzoni che hanno fatto la storia non della musica ma la nostra, tra libri che hanno segnato generazioni di volenterosi e sedicenti rivoluzionari, tra sentimenti indicibilmente giovanili e corsi di studi universitari, bevute nei locali e feste in soffitta, sta per concludersi dando l’idea di essere il romanzo di un fallimento. Il fallimento di una generazione e di un ideale, o forse, soprattutto, il fallimento dei vent’anni: verrebbe da citare ancora Guccini: di discussioni, caroselli, eroi… quel che è rimasto, dimmelo un po’ tu. Già, che cosa è rimasto dei sogni e dei progetti dei personaggi? Dei loro slogan urlati con cuore e con rabbia? Sembra che tutto sia svanito: sottoterra in un camposanto, nella ricca azienda paterna, nella clandestinità. Eppure, nonostante la sorte di alcuni personaggi, a qualcuno di loro, come, forse, Sara, alla fine va tutto bene; e anche lo stesso Sandro, che riflette sulla tomba dell’amico morto, ci lascia in maniera positiva: Forse non cambierà niente e sarò solo io a cambiare. Crescerò, forse vedrò tutto in una luce diversa, tutto meno confuso, più chiaro. O forse qualcosa deve scattare in me per saper accettare quello che mi sta intorno. Perché adesso intorno a me c’è solo confusione. Oppure come sempre sto solo scappando davanti alle mie responsabilità e spero di poter arrivare da qualche parte prendendo una scorciatoia per non affrontare il destino già scritto per ciascuno di noi. (p.206). Insomma, difficile dire se si tratta davvero di un fallimento oppure no, ma forse, tanto per citare una delle tante canzoni di quei tempi e di quelle generazioni, the answer, my friend, is blowing in the wind.

 

 

Copertina:

Dušan Jelinčič

Quella soffitta in Cittavecchia

traduzione di Patrizia Vascotto

MGS Press, Trieste 2017

  1. 207, euro 16,00