La Via Crucis di Fernando Botero

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di Anna Calonico

 

Fino al 1 maggio 2016, anno giubilare, il Palazzo delle Esposizioni a Roma ha ospitato la Via Crucis di Fernando Botero (Medellin, Columbia, 1932), una collezione di ventisette oli su tela e trentaquattro disegni su carta composti tra il 2010 e il 2011 su di un unico argomento: la Passione di Cristo. Donate al museo di Antioquia di Medellin ed esposte durante la settimana santa del 2012, per festeggiare gli ottant’anni di vita dell’artista, sicuramente considerato una gloria del luogo che gli ha dato i natali; le opere hanno poi continuato a viaggiare per numerosi paesi del mondo, dall’Europa all’America, arrivando finalmente in Italia, e dando vita a questa mostra promossa dalla Repubblica della Colombia, dall’Ambasciata della Colombia in Italia, da Roma Capitale, e organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con il Museo di Medellin.

L’emozione che suscita nel visitatore è grande: Botero, noto e assai popolare nel collezionismo privato per i suoi personaggi divertenti perché cicciottelli, riesce a ispirare compassione proprio con le medesime rotondità che, di norma, sono utilizzate per esibire una narrazione rasserenante e gaia della realtà, che sfugge ogni drammaticità: il Gesù che vediamo frustato, piangente, inchiodato, morente non è longilineo, snello come in qualsiasi altra rappresentazione a cui siamo abituati. È decisamente sovrappeso ma questo, lungi dal provocare sdegno, riso o indifferenza, coinvolge maggiormente: il suo corpo abbondante presenta piaghe, rivoli di sangue, la sua pelle è arrossata dalle frustate, e i suoi occhi hanno lacrime come quelle del Cristo di Giotto o degli altri artisti dell’iconografia tradizionale. L’espressività delle tele di Botero lascia senza parole, è intensa e rispettosa del dramma della Passione. Ci si ritrova incantati e commossi davanti a La Piedad o a María y Jesús muerto: gli occhi di Maria esprimono tutto il dolore di una madre che ha visto uccidere il figlio, le sue lacrime sembrano veritiere come se la donna stesse piangendo davanti a noi, e la triste mollezza del cadavere ricorda l’abbandono dopo la sofferenza del capolavoro di Michelangelo in San Pietro. Le pieghe pienotte della pelle ricordano quelle dei neonati, simbolo universale di maternità, così che quel corpo paffutello tra le braccia della donna addolorata imprime al visitatore il più alto senso di commozione e pietà.

Ci si può avvicinare ai momenti più compassionevoli della storia cristiana osservando Cristo en la columna, Flagelación de Cristo, Ecce homo. In queste tele, come nei disegni, Gesù appare solo, innocente, deriso, indifeso. Gesù appare vittima, ma vittima rassegnata: sa cosa gli sta succedendo e lo accetta per un bene superiore. E ancora più vittima si dimostra in Jesús y la multitud: triste, sofferente, lo sguardo basso, in silenzio, mentre intorno a lui la gente grida, si arrabbia, si agita. I volti della folla appaiono indifferenti alla sua sofferenza, nessuno sembra far caso a lui e anzi alcuni visi appaiono lividi, quasi tumefatti dall’esaltazione della fretta e dell’ira. In mezzo a loro, Gesù sopporta, afflitto e paziente. Curiosa e di grande impatto l’idea di Botero di unire l’antico e il moderno: in una stessa opera unisce caratteristiche dei personaggi dei Vangeli, come tonache con corde in vita, veli e costumi romani, a chiari simboli del mondo di oggi: cappelli, cravatte… Eclatante l’orologio al polso di Giuda mentre porge il famigerato bacio del tradimento, o la camiciola da turista in El desnudo de Cristo, per non parlare della divisa militare dell’aguzzino in El camino de las penas. Ma sono proprio queste incongruenze, questi strappi temporali in un’unica tela che rendono questa Via Crucis ancora più emozionante, perché la sofferenza antica si trasferisce al nostro mondo, così da restare senza parole davanti a Crucifixión: il tema è quasi banale considerate le innumerevoli volte in cui è stato trattato, eppure lo sfondo attuale lo imprime pesantemente nella mente del visitatore. La croce, immensa, con un corpo livido e ormai senza vita, troneggia in un parco pubblico dove la gente passeggia, stagliandosi contro una città di grattacieli, indicando chiaramente il messaggio cristiano secondo cui la morte di Cristo ha significato la salvezza del mondo.

A rendere spettacolare ogni opera ci sono anche i dettagli: in Madre afligida lo sguardo va immediatamente al volto piangente della donna, ma poi si abbassa sulle mani grassocce, e prova pena per quelle dita tozze intrecciate in preghiera che non otterranno ciò che desiderano; e ancora si sposta a quel poco che si intravede della croce, segnata da due gocce di sangue che colano verso il basso aumentando l’angoscia dovuta allo sfondo nero ed uniforme. Lo stesso sfondo nero mette in risalto il corpo bianco e torturato in uno dei disegni della Crucifixión, mentre in altri sono le proporzioni a toccare le corde della sensibilità: nelle opere che lo vedono crocifisso sembra così in alto, così lontano dal mondo da essere irraggiungibile, eppure il suo carnefice Longino, pur così piccolo anche sul suo cavallo (nel disegno) e nella sua uniforme moderna (nella tela), riesce a aprirgli il costato (Giov. 19, 34), con una lancia lunghissima, così lunga che ci lascia impotenti.

Di dimensioni ridotte, ma di forte impatto emotivo, il dipinto Las uñas: una mano, un chiodo, qualche goccia di sangue e un’altra mano che impugna un martello. Anche qui, sfondo nero, grande semplicità e grandi sensazioni. Non c’è altro da aggiungere per far sentire dolore e pena, l’effetto immediato è quello di collera impotente e di sdegno e, come sempre accade nei dipinti di Botero, i colori caldi e intensi aiutano lo spettatore a sentire la crudeltà che l’artista voleva mettere in scena.

Bisogna dire che anche gli allestitori della mostra hanno saputo sfruttare al meglio il tono compassionevole di Jesús clavado en la cruz posizionandolo in fondo alla sala, lasciandolo trasparire da lontano tra gli altri pannelli. In questo modo, scorgendolo giù in fondo, la prospettiva della croce poggiata a terra appare ancora più impressionante nella sua lunghezza, accentuata ulteriormente dalla figura molto più piccola dell’uomo che gli sta inchiodando i piedi. Viene in mente il Cristo morto di Mantegna, viene in mente l’ormai ineluttabile delitto compiuto con la benevola compiacenza del cadavere che stiamo osservando. Lo sfondo è quasi interamente occupato dal suolo, con un colore rosa-marrone come la sabbia che appare più scuro del corpo pallido. Stranamente non ci sono ferite, e solo intorno ai chiodi nelle mani si vede un po’ di sangue, ma egualmente si intuisce la sofferenza dalla corona di spine e dagli occhi chiusi. In un’altra tela molto efficace, Crucifixión con soldado, invece, gli occhi sono aperti a fissare l’osservatore e ad esprimere consapevolezza per il gesto dell’estremo sacrificio. In entrambe le opere, fatta eccezione per il torturatore, Gesù è solo, ma anche negli altri dipinti in mostra, anche nei disegni, le eventuali altre figure non fanno che aumentare la sensazione di vuoto intorno al personaggio che viene fustigato, che cade, che porta la croce: una donna che sbircia dalla porta socchiusa, un’altra che grida da una finestra in alto mentre tutta la schiena e le gambe di Gesù sono arrossate di sangue e di percosse, Veronica che gli sta di fronte nel suo elegante vestito rosso di foggia moderna, persino Simone che si avvicina per aiutarlo ma sembra non sapere cosa fare per non procurargli altro dolore. E, naturalmente, la Madonna, che in Cristo ha muerto si copre il viso con le mani senza toccarlo, lasciandolo così ancora una volta solo, attorniato dalle candele accese, i piedi grigi dalla morte sopraggiunta, la bocca aperta senza più poter parlare.