L’altra Italia

| | |

Un saggio interdisciplinare per definire l’originalità della cultura di confine

Una città con tre anime, italiana, slovena e tedesca che alla fine dell’Ottocento si separano dando luogo a una scissione identitaria

di Marina Silvestri

 

È un libro prezioso, ricco di dati, contenuti e suggestioni culturali aperte a percorsi di riflessione inediti, l’ultimo lavoro di Cristina Benussi, Confini. L’altra Italia, frutto di anni di studio e di docenza universitaria e di una personale ricerca interpretativa, volta a dare una risposta organica alla diversità o originalità culturale di realtà come Trieste, Gorizia, Trento, Rovereto e l’Istria, le Vecchie Province dell’Impero austro-ungarico: l’altra Italia. Cristina Benussi, Ordinario di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Trieste, spiega i motivi che hanno portato alla ‘narrazione’ con cui viene insegnata la formazione del Paese, della sua identità e della sua lingua, assumendo un punto di vista interdisciplinare e mettendo a confronto metodologie di ricerca storica, linguistica, letteraria, allargata alla storia del teatro, della musica, delle arti, alla pubblicistica, alla geografia e all’antropologia. Lo studio segue inoltre di pari passo l’evoluzione nei secoli del carattere dell’italianità.

La docente analizza i concetti di patria e di nazione, parallelamente ai concetti di confine e di ‘straniero e nemico’ e i modelli a cui si rifanno, a partire dall’età classica per arrivare al Novecento, passando per il De monarchia di Dante che aveva ribadito che l’Italia era il luogo di una stirpe prediletta da Dio, per il quale tutti gli uomini sono eguali, riconoscendo che c’era «predestinazione divina in quel duplice confluire di sangue da ogni parte del mondo in un sol uomo». Per l’Alighieri, osserva Cristina Benussi, «una genealogia polietnica caratterizzava un popolo per il quale città, nazione e mondo erano dimensioni entro cui poter scommettere su un futuro che, come per Virgilio, non escludeva nessuno. Invece il discorso politico di Petrarca sconnetteva l’Italia dall’Impero e dal Papato». Il saggio esamina i modelli di tipo inclusivo e quelli di tipo esclusivo in relazione agli stranieri; ed ancora le «prove se non di unità di federalismo» come la Lega italica a metà del Quattrocento che vide per protagoniste le Signorie, a cui aderirono la Serenissima e il Papa e i sovrani degli Stati minori e poi i successivi progetti di autonomia nazionale. I fatti politici sono comparati con la posizione dei letterati nell’avvalorare e diffondere questa o quell’idea. Un ruolo, quello dei letterati, così determinante, in particolare durante il Risorgimento, da far supporre a una parte della storiografia che l’idea di nazione «sia il risultato di una narrazione concettuale prodotta dalla storia letteraria e linguistica» e non dalla volontà della classe dirigente. «L’intreccio tra storiografia e letteratura di finzione dava forma a una narrazione decisamente passionale della storia nazionale, costruita su intrecci semplici e largamente prevedibili in cui la virtù, innocenza violata e ridotta al silenzio, veniva minacciata nella sua stessa sopravvivenza dall’infamia. Trionfante per parecchi capitoli, il malvagio metteva in scena raggiri di ogni tipo, che scatenavano duelli, inseguimenti, battaglie combattute dall’eroe per dimostrare la propria innocenza. Il finale consisteva in un atto di riconoscimento collettivo sia del male che della virtù, nell’eliminazione del primo e nella restaurazione della seconda. Insomma solo riconoscendo se stessa e smascherando la malvagità dell’oppressore che l’aveva ridotta a schiavitù, l’Italia avrebbe potuto ritrovare quell’unità e grandezza originaria che era fatta risalire a Roma. […] E allora la letteratura, il teatro, la pittura offrirono una quantità inimmaginabile di storie medievali o cinquecentesche facilmente inquadrabili come episodi di ribellione, di resistenza, di affermazione patriottica contro un’ingiusta e barbara oppressione».

Un’altra delle costanti ora sommerse, ora impugnate dalla cultura che percorrono l’intera vicenda italiana è un’ansia di legittimazione che solo il ritorno all’origine, può conferire. Benussi ricorda che già Virgilio – il primo a tracciare i confini dell’Italia nell’Eneide, dalle Alpi alla Sicilia, da Nizza all’Istria e Pola – aveva rimarcato il fatto che quello di Enea era un ritorno all’«antica madre», alla terra da cui erano partiti per Troia Dardano e Iasio seguendo il vaticinio dell’oracolo di Delfi. Secoli dopo, nel 1877, Renato Matteo Imbriani parlerà nuovamente di ritorno e riscatto delle terre irredente. L’autrice mette a confronto la realtà del Trentino di civiltà tedesca e latina, che nel Quattrocento aveva iniziato a stabilire rapporti proficui con la cultura veneta, dove però «l’atteggiamento sospettoso dei vescovi verso la stampa divulgativa e il timore di eventuali sanzioni papali indussero a una produzione quasi esclusivamente religiosa o encomiastica», con Trieste dove in quel periodo furono sempre gli ecclesiastici a lasciare opere significative, ma con un atteggiamento anticonformista, basti pensare non solo a Enea Silvio Piccolomini, ma al vescovo umanista Pietro Bonomo che fu attratto dall’eresia protestante per dichiarandosi contrario; un clima in cui opererà il sacerdote sloveno Primož Trubar che diffuse i principi luterani con il primo Katekizem in lingua slovena. «Lo scambio reciproco delle due culture, quella slovena e quella latino-italiana, tra i dotti, e anche tra i signori dell’aristocrazia, a giudicare dai numerosi carteggi esistenti, perdurò fino a tutto il Sei-Settecento», argomenta la docente che nei capitoli successivi dedica ampio spazio anche alla componente ebraica e al ruolo che le famiglie soprattutto di askenaziti, proveniente dall’Europa centrale e dall’Italia settentrionale ebbero per la città con la proclamazione del Porto Franco. Nella città emporiale, scrive, la borghesia sorse a Trieste «come osservava Marx in articoli dedicati alla questione […] senza vincoli con un passato aristocratico e libera da tradizioni culturali, così da poter cogliere tutte le opportunità di profitto che le venivano offerte». Quella stessa assenza di tradizioni culturali che sarà oggetto degli scritti polemici di Scipio Slataper. Una città con tre anime, italiana, slovena e tedesca che alla fine dell’Ottocento si separano dando luogo a una scissione identitaria a causa della quale molti esponenti della cultura cresciuti in un contesto commerciale che favoriva il contatto con lingue e culture diverse, fecero dell’«inquietudine» il simbolo della nuova condizione esistenziale. Il Novecento porterà a un’elaborazione dell’esperienza futurista che ritroverà vigore dopo la grande guerra nell’esperienza dei legionari di D’Annunzio a Fiume e alla nascita di una cultura fascista di confine. Infine in uno degli ultimi capitoli Cristina Benussi si sofferma sulla letteratura dell’Esodo espressione della cancellazione in Istria e Dalmazia della memoria della secolare dominazione veneta, di eccellenze letterarie e di un substrato diffuso da sempre legato alla cultura italiana; una produzione letteraria testimone al contempo di drammi privati e collettivi rimasti per decenni misconosciuti.

Puntare l’attenzione sulla formazione della nazione al centro è prospettiva ben diversa che guardare ai suoi margini, dove la ricerca di una propria fisionomia si configura nel confronto con quella di altri popoli, evidenzia la scheda di presentazione del libro. Sorprende l’immagine di un paese che dall’angolazione delle sue frontiere appare molto diverso da come si è proposto attraverso una ricostruzione mirata della sua storia e della sua letteratura. Le differenze profonde che segnano, ad esempio, la cultura trentino/alto atesina e quella triestino/giuliana sono evidentemente dovute non solo a motivi geografici, economici, morali, ma anche ai conflitti ideologico-politici che hanno talmente inciso gli animi da confermare l’idea che una demarcazione forte tra popoli esista. In un momento così delicato per l’unità europea può valere la pena interrogarsi sui motivi che l’hanno resa così fragile.

Misconosciuta è la storia di queste terre anche da parte degli italiani di buona formazione culturale, da cui l’importanza di un testo pensato per una diffusione anche a livello accademico. Diversamente, non conoscendo la storia in tutti i suoi meandri e le sue sfumature è impossibile cogliere il radicamento in un territorio tanto complesso e nella sua mentalità stratificata, di opere e autori che hanno raggiunto fama mondiale. Un esempio per tutti, la novella di Italo Svevo, Una burla riuscita, che l’autrice cita, ambientata a Trieste il 3 novembre 1918, un giorno in cui sottintende Svevo, con magistrale ironia, la città aveva altro a cui pensare.

 

 

Copertina:

 

Cristina Benussi

Confini. L’altra Italia

Scholé Editrice, Brescia 2018

  1. 183, euro 16,00