L’anno che se ne va

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Nell’ultimo editoriale di quest’anno ci starebbe bene, per aprire quest’ultimo numero del 2020 alla vigilia di Natale o poco prima, un articolo riassuntivo delle attività che abbiamo svolto, un’indicazione sulle molte cose che abbiamo in progetto per l’immediato futuro e soprattutto un sincero augurio di buon anno rivolto a collaboratori e lettori, ma mai come questa volta mi sembrerebbe una ritualità vuota di contenuti, con la cronaca quotidiana che in questi giorni ci propone, con la variante del virus osservata in Inghilterra, una mutazione del mostro.

Difficile resistere allo scoramento di fronte a questa nuova manovra tattica dell’invisibile nemico che continua ad esigere il suo tributo quotidiano di vittime e di sofferenze, colpendo duro e inesorabile sul piano degli affetti, su quello delle risorse economiche, su quello della coesione sociale, su quanto consentiva, prima del suo manifestarsi, di programmare per quanto possibile credibili obiettivi da raggiungere nei mesi e negli anni che sono ancora davanti a noi. Su ciascuno di questi ambiti siamo messi in crisi dall’offensiva che dobbiamo subire: la necessità del distanziamento sociale che ci colpisce sul piano dell’affettività, l’incremento esponenziale dell’indebitamento pubblico e, per moltissimi, di quello privato, l’espulsione di legioni di lavoratori dal circuito produttivo, la condizione di precarietà che colpisce, per due anni di fila, l’istruzione ad ogni livello, dalle primarie all’alta formazione, e, ancora, l’impossibilità di fare previsioni per dopodomani, quando non sappiamo se allora sarà possibile viaggiare per raggiungere una meta qualsiasi, se sarà possibile visitare un museo, andare in un teatro o in un cinema, promuovere un incontro pubblico o qualsiasi altra cosa. «Il virus – osservava Ezio Mauro in un suo editoriale di qualche giorno fa – ha spezzato il filo naturale che collega l’oggi al domani, separando definitivamente i giovani dai vecchi, segnalandoli come portatori di interessi opposti o almeno concorrenti».

Pure in questo quadro decisamente inquietante, qualcosa si muove a nostro favore, contro l’aggressione nemica: il via libera ai primi vaccini, il prossimo insediamento di un Presidente degli Stati Uniti meno irresponsabile, anche in questa materia, di quello uscente, una più diffusa consapevolezza delle necessità di misure igieniche e profilattiche e dell’opportunità di limitare i contatti interpersonali. E poi il fronte comune messo in campo dall’Unione europea per fronteggiare la crisi, nonostante il freno a mano tirato da alcuni paesi, tra i quali i sodali sovranisti di Ungheria e Polonia.

Si tratta delle prime reazioni che stiamo mettendo faticosamente in atto. Alla fine vinceremo noi la guerra: questo è sicuro. Certo, avremo lasciato sul campo due o tre milioni di morti, probabilmente cento e più milioni di contagiati, avremo disperso una quantità difficilmente computabile di risorse economiche che impegneranno generazioni intere a ripristinare condizioni di sviluppo paragonabili a quelle disponibili nell’anteguerra (e speriamo anche più equamente distribuite). Comunque vinceremo, nonostante il fronte interno che abbiamo dovuto fronteggiare in ogni fase di questo conflitto, costituito dai negazionisti, da quelli che «in pratica è un’influenza come un’altra», dagli iperliberali per i quali indossare una mascherina è soccombere a un’inaccettabile coercizione del potere, gli specialisti improvvisati che hanno pontificato dall’alto della loro ignoranza esercitandola sui media come fosse un distillato di scienza generosamente elargita.

Vinceremo nonostante i politici, reduci spesso da vistosi fallimenti e ciononostante impegnati – sotto il fuoco nemico del virus – a sollecitare crisi di governo ed elezioni anticipate, mentre per tutto l’infuriare delle battaglie si sono impegnati soltanto a mantenere o possibilmente ad accrescere la loro visibilità, contrastando e rallentando il lavoro dai chi cercava soluzioni anche impopolari, ma che hanno dimostrato la loro pur relativa efficacia.

Allora, che dire? Buon anno a (quasi) tutti!