L’arco di Ricarda

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Divagazioni triestine su una lettera finora inedita di Bonaventura Tecchi a Vittorio Sereni

di Alberto Brambilla

 

 

Ogni volta che sono a Trieste, non manco di passeggiare in quella che un tempo era la Città Vecchia, da me ricostruita mentalmente attraverso le poesie di Saba (“Spesso per ritornare alla mia casa / prendo un’oscura via di città vecchia…”). La strada, ora fiancheggiata da diverse case restaurate che hanno sicuramente modificato l’aspetto trasandato di una volta, si inerpica verso San Giusto, mirabile sintesi della storia triestina, lunga due mila anni e più; e prevede di solito il passaggio sotto l’Arco di Riccardo, nome quest’ultimo ancora da svelare su cui gli archeologi hanno proposto diverse ipotesi. Quel monumento romano, forse di epoca augustea, mi sorprende sempre, incassato com’è fra le case, straordinaria testimonianza dell’elasticità del tempo che possiamo attraversare con il corpo e l’immaginazione.

Come spesso accade, però mai per caso, in una libreria antiquaria sono stato attratto dalla copertina rossa di un libro in cui spiccava una vecchia incisione che raffigurava appunto l’Arco. Il libro si intitolava, anzi, si intitola Vicolo del Trionfo. Racconti di vita; e ne è autrice Ricarda Huch (1864-1947), una tra le maggiori scrittrici tedesche tra Otto e Novecento, non molto conosciuta in Italia. Si trattava della traduzione italiana – a cura di Marina Bressan con un’introduzione di Gerd Biegel, Edizioni della Laguna 1997 – di un romanzo pubblicato nel 1900 in Germania (a puntate su rivista) e due anni dopo raccolto in volume: Aus der Triumphgasse. Lebensskizzen (Diederichs, Leipzig, 1902). Confesso che il libro, una volta acquistato è rimasto sepolto per anni nella mia libreria, ben nascosto nella fila interna dello ‘scaffale giuliano’. Pochi mesi or sono, un’altra fortunata trouvaille mi ha ricordato la presenza di quel romanzo, che ho scovato e finalmente letto con interesse: preziosa testimonianza di vita quotidiana triestina, ed anche documento biografico di un’anima travagliata (l’ossimoro potrebbe essere la cifra, l’emblema dell’intero romanzo), alla ricerca – così romanticamente-drammaticamente ‘tedesca’ – di una sintesi dialettica, ma che intanto ama soffermarsi sull’orlo del baratro e guardare giù con terrore-tremore. Dunque non di un arco di Trionfo si tratta, ma piuttosto di un gioco o di un simbolico rito di passaggio tra il Male e il Bene, l’Odio e l’Amore. Certo stupisce l’analogia tra nome dell’autrice, Ricarda, quello del monumento che a sua volta richiama Ricardo, uno degli sfortunati protagonisti dell’opera ‘corale’ messa in scena dalla Huch.

Le pagine del libro, così geograficamente (verrebbe da dire antropologicamente) precise, ambientate sostanzialmente all’ombra dell’Arco, in Città vecchia, discendono da un’esperienza diretta. Travolta da improvvisa passione, Ricarda si era infatti sposata nel 1898 con il medico dentista italiano Ermanno Ceconi, che aveva poi seguito a Trieste risiedendovi per alcuni anni. Da qui una conoscenza di prima mano dell’ambiente urbano ed umano dell’antico dedalo di vie, frequentate – rubo ancora a Saba – da marinai, prostitute, ubriachi, poco di buono e persino assassini; dove tuttavia non mancano episodi di generosa e contagiosa convivenza (“Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la via”). Una sorta di famiglia che forse mancava a Ricarda, presto delusa dall’amore coniugale.

Mi sono dimenticato di precisare che la lettura del romanzo (che alla fine ho trovato, confesso, un po’ farraginoso e ‘datato’, ma forse ciò è determinato dai miei limiti di lettore) è stata provocata dall’acquisto di una lettera – suppongo fin qui inedita – del germanista e scrittore Bonaventura Tecchi (1896-1968) indirizzata il 12 febbraio 1967 a Vittorio Sereni (1909-1972); quest’ultimo in veste non tanto di poeta ma di capace direttore editoriale della Mondadori. La lettera in questione (‘girata’ ad un altro dipendente della Mondadori, abile nel settore della comunicazione, cioè Domenico Porzio, 1921-1990) infatti, oltre a sollecitare la ristampa di un vecchio libro (I Villatàuri, 1935), proponeva a Sereni di stampare la traduzione del romanzo della Huch. Autore della traduzione sarebbe stato il valente professore triestino Carlo Tivoli, mentre Tecchi avrebbe fatto da supervisore e sarebbe stato l’autore dell’introduzione. La prestigiosa collana della “Medusa”, nella quale Tecchi aveva pubblicato nel 1935 L’Adolescenza, traduzione di Eine Kindheit un romanzo del tedesco Hans Carozza (1878-1956) uscito nel 1922, sarebbe stata la collocazione ideale del volume della Huch; che – come ricordava Tecchi – era stato già segnalato da due illustri intellettuali triestini, Silvio Benco e Giani Stuparich, nonché dal giovane e promettente Claudio Magris. Per dare un’idea più concreta dell’importanza del romanzo, Tecchi allegava alla lettera una scheda riassuntiva (in undici punti) di quello che sarebbe stato il contenuto della sua introduzione.

L’edizione mondadoriana non ebbe esito – e non è facile capirne i motivi – e dunque la traduzione sarebbe comparsa solo trent’anni dopo grazie ad un diverso editore. Tuttavia i due documenti (anche per l’importanza degli interlocutori) consentono di entrare nel vivo di un progetto interessante, soprattutto per il rapporto tra Trieste e la sua rappresentazione letteraria. Contando di tornare in altra sede su questi scritti, offro dunque ai lettori la loro fedele trascrizione, che di sicuro susciterà interesse e stimolo a nuove ricerche.

 

La lettera di Bonaventura Tecchi

Roma, 12. II. 67

 

Caro Sereni,

scrissi alcuni giorni fa al Presidente annunciandogli che in primavera I Villatauri (di cui Mondadori ha fatto quattro edizioni) sarebbero stati dati alla TV in tre puntate, riduzione e regia di Diego Fabbri. La cosa è sicura perché ho il contratto in mano e sono stato anche pagato.

Non credo che ci si debba lasciare sfuggire l’occasione e, come mi fu promesso con Vostre lettere anche prima del contratto con la TV, si debba procedere a una nuova edizione del libro. Tanto più che, a quanto pare, il libro non si trova più in commercio nonostante che nei Vostri resoconti siano date presenti in magazzino ancora 800 copie della IV edizione. Ma sta di fatto che Diego Fabbri, per averne alcune copie in mano per sé e i suoi collaboratori, non ha trovato I Villatauri in alcuna libreria di Roma e ha dovuto ricorrere a copie sparse in antiquariato. In ogni modo, la promessa fu di ristampare I Villatauri ne “Gli Oskar”. Spero che ciò si farà, data la favorevolissima occasione della TV; e sarebbe strano che, per tre volte il pubblico italiano (e straniero, poiché la trasmissione avverrà anche in tedesco) vedesse I Villatauri e non li trovasse in libreria. Attendo due righe di risposta.

 

Ho da dirti un’altra cosa. Come ricorderai sono un collaboratore da tanti anni della collezione “La Medusa”: la mia traduzione da Carossa ha avuto quattro o cinque edizioni. Da tempo pensavo di pregarti di includere ne “La Medusa” un romanzo di Ricarda Huch, la più grande scrittrice dell’800 tedesco, la cui traduzione in italiano fu già raccomandata più volte in pubblico e in privato, da Silvio Benco, Gianni Stuparich e ultimamente dal germanista Claudio Magris, che ne ha scritto sul “Piccolo”. Giacchè il romanzo della Huch, intitolato Via del Trionfo si svolge tutto a Trieste negli anni a cavallo fra fine ‘800 e principio ‘900 ed è un appassionato quadro della vita del popolino italiano a Trieste, con sorprendenti anticipi di socialismo, di descrizione esatta del popolino, anticipando il cosiddetto “populismo” dei nostri anni.

Quel che penso del libro lo direi in un saggio-prefazione (di una decina di pagine e forse più) che vorrei premettere alla traduzione. Questa non ho potuto farla io, l’ha eseguita un bravo professore di Trieste Carlo Tivoli, mio amico; la traduzione è stata letta da me e sto portando a termine la rilettura d’ogni pagina.

Della cosa ho già parlato a Porzio; ma, come è naturale, mi rivolgo a te perché la decisione è nelle tue mani. Ti accludo un “abbozzo”, cioè un elenco dei motivi critici e informativi della mia presentazione dell’opera; presentazione non ancora scritta ma che scriverò appena tu mi darai la speranza di vederla accolta nella “Medusa”.

 

Un caro saluto dal tuo vecchio amico

Bonaventura Tecchi

 

 

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Per la prefazione di Bonaventura Tecchi al romanzo di

Ricarda Huch: Via del Trionfo

 

 

  1. La vitalità di questo libro è difficile da scoprire: sembra evidentissima (e a un certo punto diviene evidentissima).
  2. Ma prima bisogna sgombrare il terreno da molti pregiudizi che sono nella nostra mente e bisogna riportarsi – per questo libro forse più che per ogni altro – alle condizioni del tempo: tra la fine dell’800 e il principio del ‘900.
  3. Miseria vera nel quartiere popolare di Trieste, proprio quello che aveva più vivi e monumentali i ricordi dell’antichità romana.
  4. Questa miseria – e il consequente sudiciume – era non solo in questa postrema città dell’Impero Austro-Ungarico (e il Governo di Vienna lo permetteva) ma era allora anche in molti altri parti d’Europa, specialmente in Italia e soprattutto nell’Italia del sud. Certe casupole, certe scene di delitti, sotto il sole o di fronte agli sbuffi della Bora di Trieste, sembra siano dei “bassi” di Napoli o di Palermo.
  5. La frequenza di delitti orribili, che a più di un lettore sembrerà esagerata, è documentata, invece, se non altro dai giornali del tempo e dagli atti dei processi avvenuti. Purtroppo, quel piccolo mondo triestino che abitava “Cittàvecchia” era non solo funestato dalla miseria ma anche dalla violenza delle passioni e da delitti d’una ferocia incredibile.
  6. Questa violenza è rappresentata con grande efficacia dalla Huch e certo viene condannata con orrore.
  7. Ma il caso singolare è che questa donna coltissima – la quale viveva allora con una figlioletta e col marito italiano a Trieste – non aveva superato, in se stessa, la passione violenta e funesta e peccaminosa per il suo cugino Richard che era anche il suo cognato, il marito della sorella. Tanto è vero, che cinque o sei anni dopo la dimora a Trieste, la funesta passione non ancora vinta, porterà Ricarda Huch ad abbandonare il marito, a rubare il marito della sorella e a vivere con lui. Ciò che poi condurrà a una delusione non meno forte che la passione.
  8. Questa non ancora vinta violenza di passioni porta il grande ingegno e la sensibilità di Ricarda Huch a comprendere a fondo le passioni violente del popolo di quel quartiere triestino: popolino, sempre illuso da un sogno di felicità e di fortuna.
  9. Questo spiega certe caratteristiche dello stile; e un confronto con l’opera, venuta dopo della Huch, per esempio col romanzo Federico Confalonieri, scritto dopo la delusione d’amore, è quanto mai significativo.
  10. La stessa passionalità del popolino italiano per i tratti fisici dei personaggi giovani, e dell’attrazione del sesso nell’amore, è tipico in questa donna, che allora era appassionata in un sogno d’amore.
  11. I contatti come preannunci del “populismo” italiano (Pratolini ecc.) possono aggiungere interesse per la lettura di questo romanzo.