L’arte è antica? Stia in castigo

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O se ne vada altrove, tanto qui non si vede

di Roberto Curci

Si sa: nemo propheta in patria. Occorre uscire dal pomerio per essere compresi, apprezzati, valorizzati. Ma non ci saremmo francamente aspettati che, da Trieste, occorresse volare a Erevan, capitale dell’Armenia, per ottenere la giusta gratificazione. D’altronde, è spesso la sottovalutazione o la disattenzione di cui si soffre (e che si sconta) restando “in patria” a rendere sconcertante ma forse comprensibile, in qualche contorto modo, la necessità di ottenere dal Caucaso una patente di legittimità, anzi di esistenza in vita.

Pochi, troppo pochi sanno che a Trieste esiste una Galleria nazionale d’arte antica nella sede della Soprintendenza, a Palazzo Economo. Quanti sanno che cosa contiene? Quante sono le collezioni già proprietà di privati cittadini acquisite illo tempore dallo Stato? Quanti hanno visto con i propri occhi le opere ivi custodite? (Suvvia – dice il malpensante -, queste sono, ben che vada, operazioni da Giornata del FAI, quando si schiudono anche porte solitamente sprangate).

Ci voleva dunque un articolone nella Cultura del Piccolo per notificare a chi interessasse l’avvenuto invio a Erevan di “gran parte” delle opere della Galleria, in particolare dei quadri della collezione di Pietro Mentasti divenute proprietà statale negli anni Cinquanta e quindi scampate alla dispersione. Ora esposte con tutti gli onori nella capitale armena, quelle opere – e mica operine di artisti minori – sono uscite dai depositi di Palazzo Economo e, a mostra chiusa, inesorabilmente vi torneranno. Per loro, a Trieste, non vi sono spazi adeguati, non vi è chance di visibilità.

Ohibò! Chi ci ha privati del piacere di ammirare, nella “città natale” (per così dire), i quadri di Domenico Robusti, figlio del Tintoretto e Tintoretto egli stesso, di Nicola Grassi, di Francesco Fontebasso, di Pompeo Batoni, e poi del Guercino, di Bernardo Strozzi, di Giuseppe Maria Crespi, del Morazzone, e via elencando? Quasi tutta arte sacra, certo. Ma ne avrebbero goduto, di sicuro, anche i laici e gli atei.

In realtà, lo sconcerto dovrebbe ridimensionarsi (e l’indignazione attenuarsi) ponendo mente e andando a ritroso nel tempo. Fino al 2010, in effetti, i quadri oggi in trasferta erano a disposizione dei triestini, e troppi di loro li hanno colpevolmente snobbati, forse per scarsa informazione o per pura pigrizia mentale. Il fatto che siano poi finiti in castigo è dipeso non solo dalla penuria di spazi (quelli espositivi, in Palazzo Economo, sono stati sacrificati per far posto ad uffici), ma anche dal naufragio di un bel progetto sinergico per cui Stato e Comune avrebbero fatto confluire le rispettive chicche d’arte in una sede che più acconcia non si sarebbe potuta immaginare: quel Palazzo Carciotti, emblema del Neoclassico triestino, ora scandalosamente in vendita al miglior offerente.

Da nove anni, dunque, le opere della Galleria – divenute invisibili in loco – se ne vanno altrove, ove richieste: a Pavia, a Gorizia, in gruppo o singolarmente (un Cranach qui, un Canaletto lì). Niente di male, tutt’altro. E quindi niente di male se ora è l’Armenia a volerle ammirare, anche per gli stretti vincoli culturali ed economici che in un paio di secoli si sono stabiliti fra Trieste e una comunità armena qui ben viva, attiva e spesso benemerita.

Rimane una perplessità di fondo. Ci si continua a chiedere (invano) come mai non sia possibile realizzare, in queste faccende d’arte, una sorta di “dare e avere”, un programma di mostre-scambio con paesi vicini ma anche non tanto. L’Armenia, per dire, non è propriamente dietro l’angolo e chissà quante belle cose avrebbe potuto offrirci come corrispettivo dei quadri della collezione Mentasti.

Domande ingenue, insensate, chi scrive queste righe è il primo a saperlo. Così, in maniera un tantino sgangherata, vanno le cose nella coltissima Trieste. Non si valorizza l’esistenza di una Galleria nazionale d’arte antica ricca, se non di capolavori assoluti, di opere di alto lignaggio, relegate nelle cantine. E d’altro canto, con la memoria corta che ci contraddistingue, ci si scorda di fatterelli altrettanto singolari: troppi per metterli qui in fila.

Un solo esempio, agli antipodi dell’”arte antica”. Chi rammenta più che l’ex Pescheria di Giorgio Polli, ristrutturata nel 2006 a spese della Fondazione CRTrieste, era ufficialmente destinata a “Centro espositivo d’arte moderna e contemporanea”? L’inaugurò, difatti, la mostra sulle “Timeboxes” di Andy Warhol. Tredici anni dopo sarebbero arrivati i fasti della squadra cittadina “de balon” (per carità: tifiamo tutti Unione-Unione!) e, a ruota, le mirabilie degli ubiqui mattoncini… Che peccato!