Narrare l’Adriatico

| | |

A Trieste ha preso forma un notevole progetto espositivo creato dalla sinergia di numerosi enti e privati delle due sponde di quello che fu chiamato Golfo di Venezia

di Laura Ricci

 

“L’Atlantico e il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è il mare della vicinanza, l’Adriatico è il mare dell’intimità”. È da questa annotazione di Predrag Matvejević, il grande geniale scrittore slavo che in Breviario mediterraneo ha narrato la storia geopoetica del mare Mediterraneo e delle terre che lambisce, che è partita la progettazione dell’affascinante mostra “Nel mare dell’intimità. L’archeologia subacquea racconta l’Adriatico”, a lui dedicata. In un felice allestimento dello spazio del Salone degli Incanti di Trieste, è allestita la mostra, voluta e organizzata dall’ERPAC in collaborazione con enti italiani, croati, sloveni e montenegrini, che dal 17 dicembre 2017 al primo maggio 2018, esplora le molte declinazioni dell’Adriatico: per ricostruire, capire e comunicare come, non solo nella cartografia ma soprattutto nell’immaginario, l’idea geografica e antropologica dello spazio Adriatico si sia saldata, in effetti, con la percezione di un luogo sempre in oscillazione tra le prospettive molteplici della visione esterna e l’impressione interiore, sentimentale di un universo di intimità. Che costituisce poi, di per sé, uno degli aspetti dell’attrattività ubiqua del mare, e che tanto più vale per un’estensione così strettamente, profondamente incuneata tra terre cariche di fitte e varie narrazioni.

In un trionfo di azzurri, e non poteva essere altrimenti, senza tuttavia dimenticare i grigi cerulei o imbronciati dei giorni di bonaccia opaca o di tempesta, l’allestimento, curato dall’architetto Giovanni Panizon, ha trasformato i duemila metri quadrati del Salone degli Incanti in un fondale sommerso su cui si innestano, organizzati e sviluppati nei setti dell’impronta dello scafo di una grande nave, i temi e i reperti scelti per raccontare le storie che il mare custodiva nei fondali o dispiegava lungo le rive. I porti e gli approdi, le navi, le merci, le persone, le attività, le guerre, i luoghi sacri, le migrazioni, la ricerca sotto il mare – queste le aree tematiche – rendono conto della dovizia delle infrastrutture e del dinamismo delle coste, delle specificità della costruzione navale antica, dell’intensità degli scambi culturali e dei traffici commerciali, degli uomini e delle donne che hanno attraversato e vissuto questo mare, a ragione definito “intimo”. Brindisi, Ravenna, Ancona, Aquileia, Pola, Spalato, Durazzo, porti, approdi, imbarcaderi, empori e basi navali narrano, attraverso la cultura materiale svelata da significativi reperti archeologici, del fiorente trasporto di generi alimentari, materie prime, ceramiche, vasellame vitreo, legname, schiavi. Accanto al commercio, l’attività ittica, l’allevamento e la conservazione del pesce, la produzione del sale. E accanto ai luoghi dei flussi del commercio, quelli del sacro e della sosta, dove si pregava e si riposava, o si lasciavano offerte votive per lo scampato pericolo.

Al centro di tutto, la presenza degli abitanti e dei frequentatori delle sponde, evocati da oggetti d’uso, da rappresentazioni o da insegne: marinai, pescatori, commercianti, ammiragli, cortigiane, schiavi, imperatori. Ceti e persone che parlano di comunità sociali, e nuclei più strutturati e consistenti che testimoniano di peregrinazioni, spostamenti, invasioni, nei flussi migratori di una storia millenaria che dal passato interroga sull’oggi, chiamando alla riflessione sui concetti, non certo nuovi, di appartenenza, mutazione e accoglienza. Migrazioni e, in un passato anche recente, guerre: nella cerniera adriatica bacino di incontro, e dunque anche di scontro, tra Occidente e Oriente, dall’espansione veneziana alle incursioni turche, alla guerra minore corsara, alle due guerre mondiali.

Uomini e donne di un più o meno antico passato, e anche, attraverso la proiezione di due interessanti filmati, donne e uomini di oggi, impegnati nelle sfide progettuali e metodologiche della ricerca subacquea, che ha restituito e può continuare a restituire importanti e illuminanti patrimoni perduti. La mostra, infatti, curata da Rita Auriemma, Direttrice del Servizio di catalogazione, formazione e ricerca dell’ERPAC – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, mira a configurarsi come un progetto di ricerca che possa essere punto di partenza per altri progetti e iniziative, oltre che a stimolare una riflessione sull’archeologia subacquea e sul futuro del patrimonio sommerso in Italia, facendo tesoro dell’esperienza della Croazia, che vanta ben otto parchi archeologici subacquei. Ed è proprio questo Paese a spiccare positivamente in tale ambito, giacché dei circa mille reperti della mostra, conservati da cinquanta musei dislocati in Italia, Croazia, Slovenia, Montenegro e da prestatori privati, più di un terzo del patrimonio esposto viene proprio dall’area croata, grazie a un accordo bilaterale tra i due Ministeri dei beni culturali croato e italiano volto a realizzare iniziative congiunte. Un contributo significativo si deve anche alla vicina Slovenia, e in particolare al Museo del Mare “Sergej Mašera” di Pirano, da cui provengono un’ancora romana con il ceppo originale, alcuni esemplari di ex-voto dipinti e una stupenda polena dorata raffigurante l’immagine della mitica Medusa, simbolo di Capodistria, che ornava la prua del veliero Corriere d’ Egitto, di proprietà di due capitani e armatori capodistriani: i fratelli Nazario e Domenico Zetto.

Nell’impianto espositivo non manca un aspetto più irreale e giocoso. All’ingresso, prima di inoltrarsi nella grande nave, un’installazione illustra, con ventidue modelli emergenti da onde cerulee, le imbarcazioni che nei secoli hanno solcato l’Adriatico; dai porti virtuali che si affacciano sul fantastico bacino, è possibile osservarle in dettaglio o giocare all’avvicinamento delle onde tramite una serie di binocoli. Le imbarcazioni vere, invece, sono esposte nello spazio che circonda il corpo centrale dello scafo, dove è possibile ammirare la riproduzione della sezione della nave di Zambratija, la nave cucita più antica del Mediterraneo, lo zoppolo di Aurisina, una marotta, la prua del sommergibile Medusa affondato a Venezia nel 1915, al largo delle Bocche di Lido, perché colpito dal siluro lanciato dal sottomarino U-11, il sommergibile Molch e la ricostruzione in scala 1:1 della sezione trasversale del relitto della Iulia Felix. Ritrovata al largo di Grado con parte del carico originale esibisce, nella suggestiva riproduzione, le anfore originarie utilizzate per il trasporto di salse e conserve di pesce, e costituirà il primo nucleo del futuro allestimento del Museo Nazionale dell’Archeologia Subacquea di Grado.

Nella chiglia dell’immaginario scafo, infine, è stata giustamente ideata l’Agorà, un arioso spazio dove sono collocati i reperti statuari: la replica dell’Apoxyomenos, opera bronzea nota come l’atleta della Croazia, rinvenuta nel 1999 a est dell’isola di Lussino, il Navarca di Aquileia, statua funeraria in marmo di un ammiraglio ispirata ai modelli eroici della Grecia classica ma risalente al I secolo d.C., l’Atleta di Barcola, scultura in marmo greco rinvenuta durante gli scavi di una villa marittima eseguiti alla fine dell’Ottocento a Barcola, copia romana di una delle sculture più famose di Policleto, il Diadumeno, e Il “principe” di Punta del Serrone, statua bronzea proveniente dal Museo Archeologico “Francesco Ribezzo” di Brindisi che raffigura, con ogni probabilità, Lucio Emilio Paolo, il comandante romano che nel 168 a.C. sconfisse, a Pidna, Perseo di Macedonia.

Il sobrio, luminoso trionfo dell’Agorà rende onore all’intenzione non esaustiva, ma poetico-narrativa della mostra. I reperti non sono pochi, ma esposti con leggerezza e raffinatezza, senza ingombro eccessivo dello spazio, si fanno apprezzare nei loro singoli particolari e nella congruenza dell’insieme. Luce e respiro conducono a gustare fino in fondo tanta bellezza e tanta materiale rivelazione di storie di vita, e a farne realmente un’esperienza di insospettata o ritrovata intimità.