Laura Stor: tecnica e sentimento

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Espone a Trieste le sue calcografie Laura Stor

 

La sala della Piccola Fenice a Trieste ospita, dal 30 novembre al 18 dicembre, una notevole raccolta di grafiche di un’artista triestina operante a Roma, Laura Stor. Notevole per il numero delle opere esposte e anche perché la Stor ha alle spalle una consuetudine con tali manifestazioni articolata ormai su ben tre decenni, in un continuo succedersi delle occasioni espositive affrontate con impegno e costanza, cui corrisponde un progressivo illimpidirsi degli esiti espressivi, basati su un costante incremento della competenza e dell’abilità tecnica, prerequisito indispensabile per chi si accosti alla calcografia.

Non casualmente, la mostra è intitolata “Tecnica e sentimento”, a sottolineare il duplice binario sul quale procede il lavoro artistico della Stor, preoccupato dall’esigenza di conseguire risultati sempre più impeccabili dal punto di vista formale e di rivelare in ogni occasione il movente emotivo che sta alla base dell’agire mediante matrici e bulini, torchi ed inchiostri, piegando il mezzo tecnico all’esigenza di rappresentare con la massima efficacia quanto è immediatamente percepito dall’artista, emotivamente fatto proprio e quindi restituito sulla carta.

La personale di questi giorni assume la connotazione di un’autentica antologica per la quantità delle opere esposte – un’ottantina – e per l’estensione temporale dell’intervallo in cui esse sono state prodotte. Tutto ciò può indurre a ritenere come incostante e ondivago l’impegno dell’artista che si esercita in una pluralità di tecniche incisorie, muovendosi tra diverse forme d’ispirazione. Impressione è subito smentita dalla qualità delle opere proposte al visitatore, e dalla sostanziale continuità tra le diverse modalità esecutive, che sono tali da far comprendere invece che il variare della produzione è inerente alla determinazione di esplorare continuamente sempre nuove vie. Sono percorsi che consentono di dar dar corpo sulla carta alle idee e alle emozioni che muovono, fin dalle prime fasi della progettazione dell’opera, la ferma volontà di pervenire a un approdo creativo aderente a quanto fin dall’inizio s’era pensato di realizzare.

È così che si propongono al visitatore della rassegna una quantità d’immagini che, di volta in volta, attingono ad ambiti diversi dell’esperienza e dell’emotività dell’artista: si passa da un intenerita immagine di sé stessa bambina ritratta a fianco della madre, a una nutrita serie di paesaggi, di volta in volta declinati secondo i canoni di un composto realismo oppure individuandone frazioni che si prestano a un raffinato gioco compositivo, com’è nel caso di un gruppo verticale di betulle in un bosco innevato, dove sono scanditi da un elegante bianco/nero i ritmi dell’ambiente trasfigurato e rarefatto, del quale par quasi di percepire il silenzio ovattato. O ancora le lapidi funerarie del cimitero ebraico di Praga, rovesciate e ammassate l’una a contatto con l’altra a comporre un altro spazio magistralmente scandito dai segni che le delimitano, e poi ancora figure, donne inserite in contesti onirici, dettagli di quotidianità trasfigurati dal loro stesso isolamento dall’usuale contesto, e di nuovo altri approdi, ed altri paesaggi, stavolta con l’uso del colore che fornisce alla composizione ancora un altro elemento di dinamismo, com’è ad esempio in alcune vedute urbane di una Trieste retrò narrata nelle articolazioni essenziali del suo centro e delle rive.

Una promenade (ogni riferimento ai Quadri di un’esposizione di Musorgski è voluto) tra immagini che si nutrono di una perizia tecnica al servizio di un suadente lirismo.