Le case di Veronika

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Tradotto in italiano il romanzo della scrittrice slovena Veronika Simoniti

di Sandro Pecchiari

 

Un periodo drammatico della storia europea, in quello scontrarsi/incontrarsi di popoli, rappresentato da Istria ed ex Jugoslavia, Trieste e Slovenia, è descritto con elegante ma obiettiva delicatezza nel nuovissimo romanzo Ivana pred morjem di Veronika Simoniti, ora tradotto con il titolo Ivana davanti al mare.

Al libro è stato conferito nel 2020 il Premio Kresnik come migliore romanzo dell’anno ed è stato ufficialmente presentato a Trieste il 16 giugno 2022 in cui l’autrice ha dialogato con la scrittrice Federica Marzi.

«Il ricordo, per me, era diventato come la polvere descritta dalla mia collega Marta di Eunilangue:’strofinare non sarà mai sufficiente, lei penetrerà, si sovrapporrà sugli oggetti e li renderà grigio cenere. Diventeranno più scuri o più sbiaditi, e non torneranno mai più gli stessi’».

Il romanzo conduce a meditare sulla natura della memoria e i suoi percorsi inafferrabili: si svela per segmenti spesso atemporali, affastellando e arruffando i ricordi come una manciata di elementi sparsi sulla tavola: carte da gioco, pedine, lettere ritrovate o fotografie. La memoria permette di spaziare emotivamente tra ricordi adiacenti e ricostruirne un filo conduttore che varia sempre, si dipana e si dirama. I ricordi si prestano docilmente a venire illuminati e travisati. Sotto sotto dimostrando con un po’ d’ansia che gli accadimenti della vita e quindi la vita stessa sono continuamente rimodulabili e rispiegabili. Ma ci sono volte in cui la memoria subisce uno scacco e, invece di celare e rivelare a suo piacimento, è costretta a fare i conti con elementi esterni del tutto inaspettati con cui è costretta a resettarsi e risistemare un intero lasso di tempo-vita con un qualcosa di mai conosciuto né mai vissuto, men che meno rimosso. È la situazione in cui si comprende che non si può andare in giro per il mondo e costruirsi una vita senza sapere quali siano le nostre origini.

Ivana davanti al mare inizia con un incipit potente: «Se, a dicembre, un agente immobiliare di Lubiana non mi avesse scritto a Parigi, dicendomi che aveva un acquirente serio per la nostra casa sul Litorale, io non avrei, poco dopo, trovato quella foto, né avrei scoperto la storia occultata dall’immagine e dal tempo».

Il lettore è immediatamente coinvolto in un inizio in cui presente, passato, passato personale, ricordi di avvenimenti storici dolorosi, le ricadute della Storia sulle vite di ognuno, durante e nel lungo periodo difficile dopo la guerra, l’attacco doloroso al Bataclan Club a Parigi, le coordinate familiari della narratrice, succinte ma precise si susseguono e intersecano come caselle di un gioco da risistemare: tra i reperti del passato spunta una foto del 1943, della nonna incinta che tiene per mano la figlia di cinque anni, mentre la mamma della narratrice si credeva figlia unica.

Il libro si rivela un vero page turner in cui ci si trova a dipanare e divorare le storie parallele di due periodi storici diversi, il passato collettivo e i destini individuali attraverso tre generazioni di una famiglia, scoprire che cosa collega luoghi diversissimi quali Parigi, il Litorale sloveno, la Serbia, Trieste, Duino, paesini sparsi dove gli stessi personaggi vengono sparsi quasi a casaccio dagli avvenimenti bellici. Ma soprattutto «cos’era successo del figlio […]? Era nato veramente, era davvero venuta al mondo?».

Gli avvenimenti ci vengono incontro su due piani temporali diversi, ma capovolti. La storia passata viene narrata al tempo presente, riprendendosi il ruolo di protagonista. Mentre il diario dello svuotamento e del trasloco dalla casa nel Litorale viene raccontato nel tempo passato. Come se alla fin fine il passato stesse sempre davanti a noi.

E sono sempre presentissime le possibili case da abitare, abitate effettivamente, precarie o immaginate. La casa, le diverse case nei diversi posti sono sì luoghi veri, da riorganizzare, da scoprire e da immaginarne le storie se sono case altrui, o provvisorie; ma sono anche luoghi e percorsi interiori, organismi viventi, stati d’animo, modi di essere, scelte difficili da fare nelle diverse fasi dell’esistenza. E gli oggetti in esse contenuti non hanno potere se non quello di rimanere alla mercé di chi decide di mantenerli in vita, se sanno tenere vive in sé delle storie, o di eliminarli per sempre.

«Se si suppone che la casa e la dimora siano spazi di un ordine interiore, ma anche luoghi di libertà e di anarchia intima celata agli occhi altrui, allora ad un primo sguardo il nostro appartamento sul Litorale non era assolutamente tale: ricordava troppo una determinata epoca antica, più severa. Dopo la morte dei miei nonni, nei primi anni Novanta, e poi di mia madre pochi anni fa, Pierre e io ci venivamo soltanto in occasione delle vacanze e, ad eccezione di alcune piccole modifiche, non avevamo avuto il coraggio, o comunque non avevamo mai voluto cambiarvi niente. […] L’appartamento conteneva le tracce delle mani che avevano appeso un ben preciso quadro in un ben preciso punto, il tenace odore di sale di muri che attraevano l’umidità, sempre lo stesso tubare di piccioni sul pino davanti casa, il quale era più distinguibile durante i vuoti pomeriggi domenicali. Frammenti di tre vite – il capitolo finale di mio nonno e, dopo la sua morte, di mia nonna da sola, e una parte della giovinezza di mia madre… a non mettere in conto le mie estati con Pierre».

E ancora: «Dopo aver rimosso degli armadi e alcuni quadri, apparve sulle pareti, qui una vernice color verde chiaro, lì un’altra giallo mostarda, risalenti a trenta anni prima o forse più. La tinta sbiadita mi restituiva lo sguardo fisso silenziosamente e pigramente, mentre io m’aspettavo stupidamente non so che tipo di teletrasporto quantico al tempo che fu. Ogni volta che scoprivo il bordo irregolare della chiazza chiara lasciata dai quadri sui muri ricordavo un evento connesso con questa o quella stanza, con questo o quell’oggetto. […] Dunque inscatolavo. Classificavo. Spostavo. Accartocciavo documenti. Cestinavo […]. Giudice impietoso, decidevo cosa sarebbe entrato nell’eterno nulla e cosa avrebbe continuato a vivere».

La casa viene venduta e con il ricavato ne viene acquistata un’altra, ma rimane dovunque, nei pochi mobili e quadri traslocati, nella sovrapposizione della vita a quella dei precedenti proprietari, negli oggetti, nei libri, nelle lettere ritrovate per caso che rivelano quanto successo al misterioso bimbo/bimba della foto del ’43, proprio alla fine del libro.

È piuttosto raro e una piacevole sorpresa, leggendo questa storia avvincente, venire condotti nella consapevolezza della percezione degli odori nelle loro varie sfumature. L’olfatto nella nostra cultura sembra piuttosto ignorato se non addirittura ostracizzato, mentre qui nelle descrizioni ci rimane impresso nella mente l’odore di crini di cavallo ammuffito del divano, la mistura di aria fresca, la resina del pino davanti alla finestra del soggiorno, la polvere, la vecchia carta di libri non aperti da lungo tempo, il disagio nel primo incontro creato dall’odore greve del treno preso da Jadran e l’umidità impressa nei vestiti di Ivana che li segue per tutta la giornata e non li fa avvicinare. E che dire del corpo di Vitalij nell’amore nel bosco, corpo che sapeva di umidità, di marcia e di fumo ecc…

O le associazioni visive spiazzanti, come le macchie di sangue lasciate sulle lenzuola di Jadran dalle cimici, che assomigliavano a mirtilli schiacciati e i mirtilli del sottobosco dove Ivana si era unita con Vitalij. Sono tutti particolari olfattivi e visivi di azioni precedenti che si prolungano e permeano gli accadimenti quanto la scorzatura della vernice nel trasloco dell’armadio o le tracce di colore più intenso nel rimuovere i quadri e i mobili.

La rimozione appare ancora più visibile della presenza effettiva delle cose: viene in mente il capitolo nell’Atlante occidentale di Daniele Del Giudice in cui, durante una visita alla villa-castello Voltaire, l’angosciata guardiana mantiene le finestre sbarrate poiché le tracce degli arredi restano visibili solo se le stanze rimangono al buio. Mantenendole invece in piena luce, persino spolverate, come nel romanzo di Simoniti, si riesce ad assumerle quietamente in noi, causando contemporaneamente la loro pacificazione, la loro sparizione, suggerendo che tutto si ripete e si rivive come ci fosse sempre una prima altra volta

Un libro meritatamente pluripremiato che sa lasciare un segno profondo nel lettore.

 

Veronika Simoniti

Ivana davanti al mare

traduzione di Sergio Soti

Morellini editore, 2022

  1. 200, euro 19,90