Uno scandalo sovrastato dal sentimento

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La Morte della Vergine di Caravaggio

di Nadia Danelon

 

Lo scenario è quello della Roma dei primi anni del XVII secolo: una città sempre caotica, sfarzosamente ricca ma anche (e soprattutto) miseramente povera, dove un famigerato pittore lombardo risiede ormai da un decennio. Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), uomo tanto irascibile e rissoso quanto geniale nella sua interpretazione della pittura in chiave realistica e tutt’altro che ideale, viene contattato dal giurista Laerte Cherubini: il committente desidera un grande dipinto, da collocare nella cappella funeraria di famiglia acquistata poco tempo prima nel contesto di un celebre edificio religioso del rione di Trastevere. Si tratta della chiesa di Santa Maria della Scala, legata all’ordine dei Carmelitani Scalzi: il luogo a cui viene destinato il dipinto di Caravaggio è la seconda cappella di sinistra, dedicata al Transito della Vergine e adibita inizialmente alla celebrazione delle Messe per i defunti.

Il contratto viene firmato il 14 giugno 1601: il soggetto del dipinto è chiaramente indicato (La morte e il transito della Beata Maria Vergine), così come viene concordato il lasso temporale utile alla realizzazione e alla consegna dell’opera. Tuttavia, i tempi si protraggono: Caravaggio lavora con impegno all’opera solamente nel 1604 e il dipinto viene collocato sull’altare intorno al 1605-1606. Basta uno sguardo, l’esposizione della tela a committente, frati e fedeli per tramutare il tanto atteso capolavoro in un oggetto di scandalo e disprezzo: Merisi ha tentato di elevare a rappresentazione della Madonna “qualche sua bagascia” annegata nel Tevere!” Una terribile accusa, accompagnata dai resoconti dei crimini commessi dal pittore: infatti, risale allo stesso periodo il suo coinvolgimento nell’omicidio di Ranuccio Tommassoni e la conseguente fuga di Caravaggio da Roma.

Considerando tutte queste ragioni, non è difficile immaginare le motivazioni per cui la tela è stata giudicata indegna e fatta rimuovere dal contesto originale per ordine del frate rettore della chiesa trasteverina, nei primi giorni del mese di ottobre 1606. Caravaggio in quel momento si trova a Napoli: questo tipo di “condanna senza appello” (Calvesi) non è una novità per il pittore, considerando ad esempio il caso della Madonna dei Palafrenieri rifiutata dalla Basilica di San Pietro, ma piuttosto potrebbe essere interpretata come un fraintendimento del soggetto rappresentato.

Il motivo dello scandalo dal punto di vista morale è più che evidente osservando l’opera: per dirla con Longhi, la scena sembra ambientata all’interno di una “stanzaccia in affitto”, suddivisa malamente per mezzo del drappo rosso sangue che rende la composizione quasi teatrale, dove non tanto la Maddalena (seduta su una seggiola, rannicchiata in uno stato di tremenda disperazione) quanto gli apostoli sembrano popolani del rione accorsi al capezzale della morta. L’ambiente è povero, quasi totalmente privo di suppellettili: risaltano pertanto i pochi elementi messi opportunamente in evidenza, tra cui la bacinella per le pezzuole bagnate (o contenente la soluzione d’aceto per il lavaggio dei cadaveri). Non è una scelta casuale: molto spesso Merisi decide di elevare alla dimensione divina delle rappresentazioni terrene, dove Cristo e la Vergine vengono collocati in mezzo alla gente comune. Lo stesso avviene anche nella Madonna di Loreto, nelle due versioni della Cena in Emmaus e nella Madonna del Rosario. Sono scelte che lo ricollegano al dibattito contemporaneo, alle correnti che hanno influenzato più da vicino la sua arte: questa esaltazione dei più miserabili ricorda la lezione evangelica ripresa anche dai cardinali Borromeo, che recita “Gli ultimi saranno i primi e coloro che si umiliano saranno innalzati”. Inoltre, la rappresentazione si ricollega alla dottrina di san Filippo Neri, dove la morte viene concepita con umiltà e serena accettazione (Bruno). Per i Carmelitani Scalzi (e forse per lo stesso Cherubini) questa interpretazione non è ammissibile: ciò che appare davanti ai loro occhi è semplicemente oltraggioso, nient’altro che una prostituta a piedi nudi morta annegata, orrenda nella sua esaltazione del ventre gonfio. Un elemento che inequivocabilmente rimanda al suo ruolo di madre del Redentore, così come la sua eterna giovinezza allegoricamente rappresenta la Chiesa e il suo braccio sinistro ciondolante (accompagnato dalla linea disegnata dagli apostoli schierati) ricorda il Cristo crocefisso. Per un osservatore esperto, l’effetto luminoso è davvero apprezzabile: la luce arriva da dietro e mette in risalto alcuni dettagli importanti, come il volto della Madonna e le mani degli astanti. La scena è talmente calata nella dimensione quotidiana da presentare un solo dettaglio spiccatamente divino: si tratta della sottilissima aureola di Maria, che risalta a malapena in quell’atmosfera da “asilo notturno” (Longhi).

Tuttavia, se il rifiuto dell’opera da parte della committenza è quasi immediato, ben diversa è la reazione degli artisti romani: la tela di Caravaggio riscuote molta popolarità, nonostante venga inizialmente tenuta nascosta a causa dello scandalo. Questa curiosità diventa più forte nel momento in cui l’opera viene venduta al duca Vincenzo I Gonzaga di Mantova: le trattative, condotte su consiglio di Pieter Paul Rubens e iniziate nel mese di febbraio 1607, vengono portate a termine alla fine di marzo dello stesso anno. La consegna dell’opera a Giovanni Magno, agente del duca di Mantova in Roma, viene accompagnata dalla necessità di un’esposizione del dipinto all’Università Romana dei Pittori (dal 1° al 7 aprile 1607): per gli artisti attivi in città, si tratta dell’ultima occasione di poter ammirare il capolavoro del Caravaggio prima della partenza.

Alla fine di aprile, la Morte della Vergine entra ufficialmente a far parte della celebre collezione mantovana dei Gonzaga. Insieme a molte altre opere appartenenti alla stessa raccolta, nel 1627-28 approda delle collezioni reali di Carlo I d’Inghilterra: acquistata nel 1649 dal banchiere Everhard Jabach, viene successivamente ceduta a Luigi XIV per essere esposta nella reggia di Versailles (1671). Nel 1793 entra a far parte delle collezioni del Musée Central des Arts e quindi in quelle del Louvre, dove si trova ancora oggi.

Alla sua originaria collocazione, l’altare di quella chiesa trasteverina rimasto vuoto dopo lo scandalo, viene destinato un altro dipinto del medesimo soggetto: la nuova tela, commissionata al veneziano Carlo Saraceni (1585-1625), deve essere stata eseguita entro la fine del primo decennio del XVII secolo. Il nuovo dipinto viene realizzato in fretta e anche in questo caso le critiche dei frati non tardano ad arrivare, costringendo Saraceni a ritornare sui suoi passi: “ma poiché i padri vi volevano la gloria con angeli in cambio di detta prospettiva, egli si ripigliò il quadro, che fu mandato a Venezia e in pochi giorni fece quello che ora si vede pagato col prezzo di scudi 300”. La pala dedicata al Transito della Vergine, priva di qualsiasi richiamo terreno alla morte della Madonna (che per ragioni spirituali e teologiche non può essere concepito), viene infine collocata sull’altare della cappella Cherubini nel 1610. Nello stesso anno, Caravaggio muore prematuramente presso la località toscana di Porto Ercole.