Le sibille non sono estinte

| | |

Cinque racconti di Joyce Lussu, collocati nel territorio del Piceno marino e collinare, quello della biografia esistenziale dell’autrice e delle leggende sibilline

di Alfredo Luzi

 

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo la prefazione di Alfredo Luzi

I Racconti Sibillini di Joyce Lussu, pubblicati da Livi Edizioni (2020), nascono da un’idea di storia in cui s’intrecciano varie accezioni: storia come «scienza degli uomini nel tempo», secondo la definizione di Marc Bloch in Apologia della storia; storia come novella, fiaba; storia come leggenda tramandata oralmente, archetipo culturale che ricompatta la diacronia temporale; storia come racconto della propria vita, narrazione autobiografica dell’io.

L’elemento unificante è il foscoliano incantesimo della parola.

Nel racconto Lo smerillone Joyce illustra, in una sequenza del suo dialogo col professor Patterson, a cui sta ricostruendo le vicende di Mago Merlino, la personale metodologia di ricerca storica a cui si è sempre attenuta nel duplice ruolo di studiosa e di scrittrice: «Raccolte tutte le fonti, è necessario esaminarle col metodo strutturalistico scomponendole nei vari elementi che la compongono: luogo, tempo, personaggi, azione, ambiente naturale e ambiente sociale, oggetti, simboli, linguaggio, ecc.

Analizzando l’immaginario si arriva al nocciolo del reale storico, dal quale parte e si dilata il gioco della fantasia; il punto di partenza non può essere che il nostro vissuto, la nostra concreta esperienza e conoscenza, e a questo ci riporta l’analisi scientifica della leggenda».

In effetti in quattro dei cinque testi l’autrice instaura un rapporto diretto con i suoi lettori e si pone come voce narrante la cui autobiografia (la microstoria) si rapporta con le vicende dell’intera umanità (la macrostoria), recuperando in funzione gnoseologica la presenza del mito. Emblematica, nel racconto Camilla, è la coincidenza cronologica dell’apparizione del fantasma della donna, vissuta nel ‘700, a Joyce nella casa di campagna, il giorno in cui giunge la notizia del lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, quando la scrittrice aveva trentatré anni tre mesi e tre giorni: uno stratagemma narrativo utile, con l’adozione del significato esoterico del numero tre, ad annullare la distanza tra passato e presente.

Pur nella varietà delle trame sviluppate, i racconti presentano una struttura ricorrente.

Un tema dominante è quello della nominazione e dell’etimologia. Joyce scrive in L’uovo di Sarnano: «La storia, diceva Erodoto, comincia dai nomi. Se alle cose e agli eventi non dessimo un nome, che storia potremmo raccontare?»

Nel racconto Lu règulu l’autrice spiega che il serpente bianco, di cui parlano le leggende della tradizione folclorica e fiabesca dell’Italia centrale, viene chiamato così nei dialetti del sistema linguistico mediano, quello fermano-maceratese-camerte, perché «sopra la testa ci sono delle piccole protuberanze, disposte in cerchio, che sembrano una corona. I vecchi lo chiamavano lu règulu, il reuccio». Così, nell’immaginario soggettivo riemerge come riferimento mitico e geografico, per attrazione semantica, la visione regale del Monte Sibilla «con la sua corona di rocce, sotto le quali era la famosa grotta che si apriva su un mondo felice, il paradiso della regina Sibilla descritto dal cavaliere De la Sale». (Lo smerillone).

Allo stesso modo, L’uovo di Sarnano, ha un avvio narrativo impostato su una iniziale digressione etimologica sul toponimo del paese ai piedi dei Monti Sibillini, mentre la trama de Lo smerillone è intessuta di continui rinvii ad ipotesi interpretative sulle origini del nome del rapace e sui legami con i nomi propri di personaggi presenti nella novella.

In controluce riaffiora la passione di Joyce per l’archetipo della Sibilla, per una mitica età dell’oro, fatta di comunanze, gestite da donne, società accoglienti e pacifiche. Gli stessi antroponimi rinviano a questo mondo se si tien conto che Camilla, il personaggio del primo racconto, etimologicamente significa ‘ministra’, Ilaria, l’incarnazione della sibilla nel terzo, ‘persona felice’, Itria, protagonista del quarto, ‘colei che guida’.

Ampio spazio è dedicato alla natura e al paesaggio che costituiscono lo sfondo visivo entro cui si svolgono le vicende narrate in un suggestivo incrocio tra fantastico e reale. Il lettore spesso si trova immerso in una nomenclatura botanica che unisce la scienza tassonomica alla attribuzione esperienziale del contadino o del boscaiolo. L’io narrante, in Camilla, si muove «nel groviglio di fiori e di foglie» e allevia la sua angoscia «con la vista dei due altissimi pini, del boschetto di bambù, del grande elce argenteo e rotondo, detto anticamente l’albero delle parole perché sotto l’ampio riparo si facevano riunioni e assemblee. Un roseto rampicante arrivava fino ai vetri, e le rose occhieggiavano tra i mazzi di bignonia e alle foglie verdi della vite selvaggia». In L’uovo di Sarnano descrive «un fitto bosco di carpini e di ornelli, di faggi e di roverelle, di aceri e di cornioli, di sanguinelli e di noccioli, in mezzo ai ginepri e alle ginestre, ai maggiociondoli e alle rose canine». In Lu règulu invece sono enumerate le varie specie di serpenti, «quelli innocui come la biscia, il biacco, l’orbettino, la luscéngola, la coronella, la natrice che vive vicino all’acqua perché si nutre di rane, ma anche l’aspide velenosa, e anche i grossi rospi color fango, i gechi, le lucertole, le salamandre». La serialità è la traccia stilistica del fatto che in questi racconti alla natura è riconosciuta un’identità propria con valore narrativo.

Comune, in tutti i testi, è anche l’ambientazione geografica collocata nel territorio del Piceno marino e collinare, quello della biografia esistenziale dell’autrice e delle leggende sibilline. La scrittura è fitta di toponimi che favoriscono la definizione di uno spazio concreto in cui si svolgono le vicende fantastiche narrate (San Severino, Sarnano, Porto Sant’Elpidio, San Tommaso alle Paludi, Monterubbiano, Tolentino, Fermo, Montefalcone, Smerillo, Montelparo, Offida).

Joyce fa così convivere la persistenza del mito veicolato dalla tradizione orale di fiabe e leggende con la storiografia ufficiale. Racconta di creature immaginarie come quelle del ‘mazzamurello’ e del ‘regolo’, del rito di ‘Scio’ la pica’, del ‘saltarello’, l’antico ballo contadino, ma nel contempo ricostruisce, come in Itria e le lontre, gli eventi militari ed economici che hanno segnato la storia della città di Tolentino. Questa dualità narrativa corrisponde, in ultima analisi, alla sua duplice formazione culturale: da una parte profonda conoscitrice dell’etnografia marchigiana e della poesia dialettale (in L’uovo di Sarnano è citata, a testimonianza del ricordo per il tempo felice delle sibille, una poesia di Enrico Ricciardi), e dall’altra studiosa attenta delle vicende politiche del territorio fermano. Un indizio dell’intreccio tra le due condizioni si può trovare nel fatto che Joyce, attribuendo al personaggio principale del racconto Lo smerillone il nome di Domenico Scatasta, abbia utilizzato l’appellativo di un comandante degli insorgenti nel 1799 contro i francesi, su cui aveva scritto in un saggio pubblicato negli Annali dell’Istituto Alcide Cervi (a. 2, 1980, p. 317-334).

La Lussu è attratta, un po’ sul modello della narrazione scapigliata di fine ottocento, dall’irruzione dell’immaginario nel recinto positivistico del reale, ma in itinere sente il bisogno di recuperare un certo grado di veridicità attraverso la documentazione storica. Nel caso di Itria e le lontre lo scopo è raggiunto con l’inserimento nel racconto, basato sul recupero di leggende magiche, di una lunga digressione sulla storia di Tolentino in cui Joyce cita, ad esempio, accanto a San Nicola, Nicola Mauruzi, condottiero dipinto da Paolo Uccello nella  Battaglia di San Romano e il cui monumento equestre è stato costruito da Andrea del Castagno. In Lo smerillone fa incontrare il personaggio inventato di Fabritius Emery, discendente di Domé lu Smerillu, con veri scienziati come Frederick Sanger, premio Nobel per la biologia nel 1980, Francis Crock, premio Nobel nel 1962, Giuseppe Attardi vincitore del premio Antonio Feltrinelli per la medicina nel 1989.

La presenza di queste figure reali favorisce nel lettore un processo di ‘attualizzazione’ che fa rientrare la morfologia della fiaba nella concretezza di una narrazione oggettiva.

L’azzeramento della distanza cronologica tra mito e storia, tra leggenda e realtà, risponde anche ad una esigenza strutturale della scrittura di Joyce: impostare la dinamica narrativa nel continuo confronto antropologico tra il primigenio pacifico universo femminile e quello strutturato sulla violenza del potere maschile. Attraverso la vitalità della natura la rievocazione della terra delle Madri s’insinua nella società contemporanea e funge da innesco per una attitudine psicologica di rivoluzione permanente. In alcuni racconti il tema è una sorta di fil rouge appena tracciato; in L’uovo di Sarnano costituisce invece l’asse portante della narrazione: «Quello che è certo, è che a Sarnano la memoria delle sibille sapienti e generose arriva ancora col vento che scende dalla montagna, e s’intrufola nei vicoli e nelle antiche filastrocche che narrano di comunanze, di società egualitarie, di pastori e di tessitrici, di erboriste e di coltivatori, di artigiane e di artigiani contrapposte alle società gerarchiche e squilibrate che ci affliggono tuttora».

Facendo rivivere il passato mitico nel presente storico la scrittrice afferma che «Le sibille non sono estinte, e in ogni angolo del pianeta rappresentano una cultura alternativa, una proposta di liberazione dai vecchi incubi e dai vecchi schemi; a volte coltissime e famose come l’americana Carolyn Marchant o l’indiana Vandana Shiva, a volte anonime e ignorate come le vecchie contadine del Guatemala».

In quanto depositarie della memoria e della fecondità («le nostre madri sibille avevano il compito speciale di memorizzare e tramandare il patrimonio culturale della comunità») esse condizionano il futuro dell’umanità e lo spingono verso il tempo ciclico dell’eterno ritorno: «Le sibille chiamano madri tutte le sibille che le hanno precedute, e s’identificano con tutte le bambine prescelte da queste per acquisire con l’esercizio una straordinaria capacità di memorizzazione, tramandata con continuità ininterrotta, sempre ricominciando dall’inizio, la storia della comunità e via via aggiornando con i nuovi eventi, di generazione in generazione».

Ma Joyce non si ferma in un atteggiamento di nostalgia per quelle comunanze da lei studiate amorevolmente, basate sul «rapporto umanità-natura, [sulla] femminilità come continuità e amore e rispetto per la vita». Proprio perché posseggono la totalità del tempo le Sibille hanno acquisito una capacità profetica dell’avvento di un mondo migliore, opposto a quello fondato su «poteri assoluti e indiscutibili, maschili e paterni e false morali di obbedienza e di rassegnazione». Nel presagio della sibilla madre di Ilaria, protagonista del racconto, c’è il senso profondo del permanere di un’utopia che alimenta la speranza: «voi ci manderete al rogo come streghe, sterminerete intere popolazioni più civili di voi, desertificherete terreni fertili e splendide foreste, avvelenerete le acque e l’atmosfera, ma a un certo punto la vostra energia distruttiva si affloscerà e toccherete il fondo. Quando il grande uovo di pietra riaffiorerà dal letto del torrente dove lo avete sepolto, questo sarà il segno del vostro declino verso la sconfitta, dell’inizio di una maturazione, di una risalita delle maggioranze espropriate verso assetti dettati dall’equilibrio e dal buon senso, da una morale che non sia quella pervertita e falsa di un gruppo umano che si arroga una superiorità su altri gruppi, ma che accomuni tutta la nostra specie. E che riconosca a ciascuno, dato che ci è nato, il diritto di vivere su questo pianeta, senza essere straziato e condannato a morire anzi tempo da fenomeni prodotti artificialmente dall’uomo stesso…».

Con la sua scrittura Joyce si è fatta sibilla di questa attesa.

 

Riquadro:

 

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

 

Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti ( Firenze, 8 maggio 1912 – Roma, 4 novembre 1998 ) nasce in una famiglia che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia di Fermo e Porto San Giorgio, nelle Marche. È la terzogenita dopo Gladys (1906-2000) e Massimo (1908-1992), storico e antifascista.

Sposata in seconde nozze con il politico e autore del romanzo  Un anno sull’altipiano Emilio Lussu, decide di adottare il nome di Joyce Lussu. Partigiana, capitano nelle brigate di Giustizia e Libertà, medaglia d’argento al valor militare, Joyce ha partecipato ai movimenti di liberazione dal colonialismo e alle lotte femministe. Ha studiato la civiltà delle Sibille, ha scritto saggi sulla storia del Fermano, romanzi, poesie, ed ha tradotto alcuni dei poeti più importanti del Novecento.

Opere:

Liriche, Ricciardi 1939; Fronti e frontiere, U 1944; Bari, Laterza, 1967; Theoria 2000; Tradurre poesia, Milano, Mondadori, 1967; Robin, 1999; Le inglesi in Italia, Lerici 1970; Ancona, Il lavoro, 1999; Storia del Fermano, con G. Azzurro e G. Colasanti, I, Padova 1971; Padre Padrone Padreterno, Mazzotta, 1976.

L’uomo che voleva nascere donna, Mazzotta, 1978; Sherlock Holmes Anarchici e Siluri, Ancora, Il lavoro, 1982 e 1986; Robin, 2000; L’olivastro e l’innesto, Cagliari, Della Torre, 1982; Il Libro Perogno, Ancona, Il lavoro, 1982; Storie, Ancona, Il lavoro, 1987; Portrait, L’Asino d’oro edizioni, 2012 [Transeuropa 1988]; Le comunanze picene, Fermo, Livi, 1989; L’idea delle Marche, Ancona, Il lavoro, 1989; Il Libro delle Streghe, Transeuropa 1990; Alba Rossa Un libro di Joyce ed Emilio Lussu, Transeuropa 1991; L’acqua del 2000, Mazzotta, 1997; Il turco in Italia, L’Asino d’oro edizioni, 2013 [Transeuropa 1998]; Sulla civetteria (con Luana Trapè), Voland 1998; Inventario delle cose certe, Fermo, Livi, 1998; Padre, Padrone, Padreterno. Breve storia di schiave e matrone, villane e castellane, streghe e mercantesse, proletarie e padrone, a cura di Chiara Cretella, Gwynplaine 2009; Il libro delle streghe. Dodici storie di donne straordinarie, maghe, streghe e sibille, a cura di Chiara Cretella, Gwynplaine 2011; L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra, a cura di Chiara Cretella, Gwynplaine 2012.

 

 

Joyce Lussu

Racconti Sibillini

Livi Edizioni, Fermo 2020

  1. 100, euro 12,00