Le “vedute” di Caffi tra tradizione e modernità

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A centocinquant’anni dalla sua tragica scomparsa

Fino al 20 novembre una grande mostra al Museo Correr di Venezia

di Michele De Luca

 

Ti assicuro, mio ottimo amico, che vi sono certi momenti della vita che il pericolo, qualunque esso sia, è nulla al confronto del compenso che se ne può trarre per l’arte, e pella gloria di un artista”. Poche parole indirizzate ad Antonio Tessari, tra le ultime scritte dal pittore Ippolito Caffi (Belluno – Lissa, Mare Adriatico, 1866), il più innovativo vedutista dell’Ottocento. Quel “momento”, per lui, arriva il 20 luglio del 1866, giorno in cui le navi della Regia Marina del Regno d’Italia e della Marina da Guerra dell’Impero Austriaco si danno battaglia nel Mar Adriatico, al largo di Spalato. Sul ponte di uno dei diciassette battelli (il “Re d’Italia”), che insieme a dodici corazzate costituiscono la flotta italiana, Caffi siede e dipinge, per testimoniare, da vero reporter munito di pennello e tavolozza, le fasi della battaglia di Lissa; una cannonata raggiunge la nave mandandola in frantumi: il suo corpo non verrà ritrovato. Quel giorno segna la morte di un personaggio che fu artista, viaggiatore e patriota, in un secolo dove il “Grand Tour” sentiva forti i richiami dell’Oriente.

L’opera di Caffi, pur se ispirata e attenta ai modelli del Settecento veneziano, riuscì a modernizzare il vocabolario pittorico delle vedute, sia esplorando nuovi punti di vista, come nelle scene notturne, sia con temi inusuali, come il volo della mongolfiera (che immortalò in un quadro di grande modernità). Ma, nonostante sia stato molto apprezzato in vita, Caffi ha dovuto attendere la metà degli anni sessanta per essere seriamente considerato dagli storici dell’arte, grazie anche alla grande mostra allestita a Venezia in occasione del centenario della morte, che fu l’occasione per una definitiva rivalutazione della sua pittura. Il centocinquantesimo anniversario della sua tragica scomparsa viene celebrato ora con un grande evento espositivo al Museo Correr fino al 20 novembre, promosso dalla Fondazione MUVE insieme a Civita Tre Venezie e a Villaggio Globale International e curato da una delle massime studiose del pittore, Annalisa Scarpa. Una mostra ( titolo: “Ippolito Caffi. Tra Venezia e l’Oriente. 1809 – 1866”) che fa riemergere un nucleo pittorico di oltre 150 opere che la vedova di Caffi, Virginia Missana, donò alla città natale nel 1889 insieme ad altrettanti disegni sciolti e a ventitré album.

Nato da Giacomo e Maria Castellani, studiò a Belluno, poi a Padova con il cugino pittore Pietro Paoletti, che lavorava assieme a un altro pittore bellunese di gusto neoclassico, Giovanni De Min, e infine all’Accademia di Venezia dove poté conoscere e studiare i vedutisti veneziani del Settecento. In quell’ambiente però da lui ritenuto piuttosto soffocante, di seria applicazione ma scarso respiro, Caffi cominciò a sentire un senso di disagio: così, nel gennaio del 1832, si trasferì a Roma, insieme con il cugino Paoletti, nella cui bottega, affinò la propria tecnica approfondendo il genere della veduta. La Città Eterna è stimolante, ricca di fermenti innovativi, crocevia di artisti provenienti da tutta Europa . Un primo breve soggiorno a Napoli lo arricchisce ulteriormente, mettendolo in contatto con le esplosioni cromatiche e luministiche della Scuola di Posillipo, con le opere di Gigante e dei Carelli. In questi anni (terrà base a Roma fino al 1848, pur con frequenti viaggi a Venezia e Belluno) mette a punto anche il metodo di lavoro che lo contraddistinguerà per tutto il resto della sua vicenda pittorica: realizzare sul luogo, en plein air, la prima ripresa, disegni e appunti che poi elaborerà in studio. Caso esemplare è la prima redazione nel 1837 del Carnevale di Roma. La festa dei moccoletti: forse il suo quadro più noto, con un’ambientazione ad effetto giocata su forti contrasti luministici.

Negli anni seguenti – tra Roma e Venezia e una breve permanenza a Trieste – elabora alcuni dei suoi soggetti più amati: le vedute dei Fori, di Castel Sant’Angelo e quelle del Colosseo, di giorno e di notte, con luci e fuochi artificiali o anche al chiaro di luna, ottenendo effetti davvero inediti e nuove atmosfere; e poi le vedute di Venezia con il Canal Grande, il Ponte di Rialto o il Campanile di San Marco, ma anche la sorprendente Festa sulla via Eugenia (attuale Via Garibaldi) e Bombardamento notturno a Marghera, 25 maggio 1849 in cui la sua tavolozza produce una miscela geniale di luce naturale e di bagliori artificiali. Del 1842 è invece Venezia: neve e nebbia, opera divenuta simbolo di un radicale cambio di registro nella pittura dell’Ottocento. Il pittore bellunese ci consegna qui un’immagine indelebile, e al di là di ogni retorica, di vita vera; ci fa sentire partecipi di un fenomeno atmosferico colto con straordinaria poesia. “Un veneziano – scriverà del contemporaneo Caffi il suo grande estimatore Thèophile Gautier – dopo Canaletto, dopo Bonington, dopo Joyant, dopo Wildt, dopo Ziem, ha trovato il mezzo di dipingere Venezia sotto un nuovo aspetto. La sua veduta del Canal Grande e di Santa Maria della salute in inverno, con un lenzuolo di neve sulle cupole e sui palazzi, è un’autentica novità”. Come scrive in catalogo (edito da Marsilio) Gabriella Belli, nelle “infinite possibilità di scorci, paesaggi, sguardi, angoli e viste che il pittore ci regala, attraverso guizzi di colori e macchie cromatiche… non possiamo non intravedere lo sviluppo di tanta tradizione pittorica veneta e al contempo le anticipazioni delle temperie artistiche a venire”.

Animato dall’esigenza continua di documentare la realtà dei tanti paesi visitati, tra cui la Grecia, l’Asia Minore, l’Egitto (ma anche i “luoghi dell’esilio”, come Parigi – stupendo anche qui il volto notturno e caotico, del divertimento e delle luci del Boulevard e Porte Saint Denis, che ci consegna in un olio su cartoncino intelato del 1955 -, Nizza, Genova (tante e bellissime le opere dedicate alla Città della Lanterna), Torino, Novara, Pallanza, Ginevra) il pittore unì ad una grande abilità prospettica un profondo senso di ampiezza atmosferica e un ricercato studio sugli effetti di luce, dei quali si servì con esiti assolutamente originali, nei suoi quadri ad olio popolati di feste suggestive e animatissime, di fuochi d’artificio, di vedute notturne umide di romantici chiarori lunari, di incantevoli atmosfere naturali. Ci dice la curatrice della mostra: “La capacità endemica di Caffi di inscenare situazioni cromatico-luministiche inedite sommate ad un indubbio talento scenografico, fa sì che egli ricrei il genere veduta in chiave indiscutibilmente moderna, dove il sublime si sposa con il pittoresco, senza tradire del tutto memorie e miti del passato”.