Letizia Battaglia, non solo mafia

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La fotografa siciliana in una grande retrospettiva alla Casa dei Tre Oci a Venezia

di Michele De Luca

 

“La fotografia l’ho vissuta come documento, come interpretazione e come altro ancora. L’ho vissuta come salvezza e come verità”. Inoltre: “Io sono una persona , non sono una fotografa. Sono una persona che fotografa. La fotografia è una parte di me, ma non è la parte assoluta, anche se mi prende tantissimo tempo”. Così, facendo un bilancio della sua lunga carriera di fotografa, Letizia Battaglia (Palermo, 1935) racchiude in poche parole qual è stato il senso del suo lavoro pluridecennale, la sua concezione e pratica della fotografia portata avanti lungo tutto il suo percorso con coerenza e coraggio. Una coerenza che si è tradotta innanzitutto in una “scelta” mai tradita e ritenuta assolutamente insostituibile per quello che è stato il suo principale (tanto da essere etichettata e ai più nota come “fotografa della mafia”), ma non certo esclusivo, terreno, è in cui ha sempre coniugato, in un rapporto simbiotico, lavoro di informazione con forte e appassionato impegno civile; la scelta cioè del bianco e nero, come più potente e anche suggestivo strumento espressivo. Ha detto in una recente intervista: “Il colore non mi piace, lo trovo orribile. Io ho un animo essenziale, e penso che non avrei mai potuto raccontare i morti di Palermo a colori … Provi a immaginare… Per quanto riguarda il digitale invece non ho nulla in contrario, anzi, oggi fotografo in digitale grazie a una Leica M8 che mi è stata regalata: è molto utile, si controlla meglio e non devo cercare dei bravi stampatori, che tra l’altro oggi non si trovano più”.

Quelle della fotografa palermitana sono immagini che non lasciano indifferenti, anzi creano correnti emotive forti per chi si sofferma ad osservarle; perché meritano, anzi pretendono di più di uno sguardo fugace e distratto. Di lei ha scritto sulla rivista online Liberoilverso Rosario Pinto: “Un’insegnante che ha smosso le coscienze; che ha saputo parlare con la forza delle immagini meglio di quanto giornali, tv e media in genere abbiano saputo fare”. In definitiva, sono le sue foto che ci “guardano”, e non viceversa, offrendoci una visione della realtà che scuote le coscienze, piuttosto che appagare gli occhi. Come si può verificare scorrendo i trecento scatti – molti dei quali inediti – selezionati da Francesca Alfano Miglietti, in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia e Maria Chiara Di Trapani – per la mostra organizzata da Civita Tre Venezie e promossa dalla Fondazione di Venezia, (“Letizia Battaglia. La fotografia come scelta di vita”), in corso fino al 18 agosto nella civettuola Casa dei Tre Oci nell’isola della Giudecca a Venezia (catalogo Marsilio).

Il materiale espositivo viene proposto per i temi che hanno scandito la sua lunga e approfondita indagine nel tessuto umano e sociale attraverso l’obiettivo della sua fotocamera, costruendo così una sua personale e originale “cifra” espressiva, evitando luoghi comuni e sfidando i canoni visivi consolidati e scontati della cultura per immagini: i meravigliosi ritratti di donne e uomini, di bambini e animali, Palermo, la cronaca politica e sociale, coinvolgenti considerazioni sulla vita, sulla morte e sull’amore. Quella della Battaglia è un’esperienza artistica e giornalistica riconosciuta ormai universalmente, con le sue immagini forti, dirette, autenticissime, in cui la freddezza (che sembra a volte addirittura impietosa e crudele) della cronaca si intreccia con una forte passionalità politica e morale, in un impegno assolto con grande determinazione e ineguagliabile rigore professionale. Al centro del suo universo rimane, comunque, Palermo, la sua città, che, ha sempre guardato con grande amore, ma anche con spirito critico, come oggetto di un’analisi “scientifica”, dolorosamente guardata in quelle che la storia sembra averla consegnata alle sue “impossibilità”, nelle sue profonde contraddizioni, tra la povertà, i “fattacci” di cronaca, le strade insanguinate dalle spietate esecuzioni mafiose, il degrado ambientale, il lavoro minorile, da una parte, e, dall’altra il sorriso dolcissimo e i giochi dei bambini, le incantevoli testimonianze dei suoi antichi fasti artistici e architettonici, l’eleganza delle splendide residenze e i riti di un’agiata e raffinata borghesia.

La fotografa inizia la sua carriera nel 1969 collaborando con il giornale palermitano L’Ora. Nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. Nel 1974 ritorna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia “Informazione fotografica”, frequentata da Josef Koudelka e Ferdinando Scianna. Quattro anni dopo si trova a documentare l’inizio degli anni di piombo della sua città, scattando foto dei delitti di mafia. Negli anni Ottanta crea il “Laboratorio d’If”, dove si formano giovani fotografi e fotoreporter palermitani; è stata la prima donna europea a ricevere a New York nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il “Premio Eugene Smith”, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il celeberrimo fotografo di Life. Dal 2000 al 2003 (anno in cui si trasferì a Parigi) dirige la rivista bimestrale realizzata da donne Mezzocielo, nata da una sua idea nel 1991; nel 2005 è tornata nella sua Palermo. Come alcuni forse ricorderanno, nel 2008 appare in un cameo nel film di Wim Wenders Palermo Shooting. Vale la pena qui di ricordare, per avere un suo ritratto “a tutto tondo, la bellissima monografia intitolata Passione giustizia libertà edita da Federico Motta Editore nel 1999.

Con le sue foto, Letizia Battaglia ci mette di fronte all’orrore della morte ma dà un volto anche al dolore di chi rimane: è diventata oramai una “icona” l’intenso ritratto di Rosaria Schifani, vedova di Vito, agente di scorta del Giudice Falcone, morto con lui a Capaci. Dopo le stragi del ’92 decide di smettere di fotografare altri morti: “Per anni – ha detto – ho fotografato cadaveri, ma mai gli assassini. Non si conoscevano mai. Se si trattava di un omicidio normale, il killer veniva scoperto subito, ma nei delitti di mafia mai. Ci sentivamo umiliati, un popolo umiliato e schiacciato da questa tragedia”. La mostra ai Tre Oci racchiude l’anima poliedrica della Battaglia fotografa, editrice, politica, ambientalista, regista. Per realizzare delle immagini belle e potenti, ha detto, “l’importante è che ci metti cuore e testa messi insieme e le gambe per camminare”.