Letteratura e turismo

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In un libro di Giovanni Capecchi raccolte utili indicazioni di politica culturale sul territorio

di Fulvio Senardi

 

Se si semplificasse l’approccio all’ultimo libro di Giovanni Capecchi, Sulle orme dei poeti. Letteratura, turismo e promozione del territorio, parlando di un’opera improntata allo spirito sistematico e tipologico dei manuali, si sarebbe solo in parte vicini alle finalità e alla natura del volume. Che ha, indubbiamente, qualcosa del manuale, perché come spiega l’autore nella breve premessa “il tentativo di capire meglio come funziona il turismo letterario, […] quali sono le problematiche relative alla gestione e alla nascita di un Parco letterario o di un Festival, quali tappe conducono all’apertura di una casa-museo e come questi spazi vengono pensati, allestiti, gestiti, promossi” è certamente connesso – quanto all’ideazione, alla stesura e, diciamo, all’eventuale impiego “didattico” dell’opera – al fatto che sia stata istituita, presso l’Università per Stranieri di Perugia (la sede di insegnamento di Capecchi), una laurea triennale dalla denominazione assai esplicita: “Made in Italy, cibo e ospitalità”, con discipline di insegnamento quali “Letteratura, turismo e promozione del territorio”; ma, a vivificare una materia che, ad uno sguardo superficiale, potrebbe anche sembrare arida, contribuisce l’estro narrativo dell’autore, la conoscenza perfetta del terreno d’indagine su cui spazia in prospettiva europea e mondiale (qui gioca certamente un ruolo l’essere stato Capecchi assessore alla cultura e turismo della sua città, Pistoia e i lunghi soggiorni come Gastprofessor in molte università del globo), le ricche competenze dell’italianista, ciò che l’autore è come sua prima qualificazione professionale.

Libro indispensabile dunque per approfondire un tema di assoluta attualità in un Paese come il nostro, in fase avanzata di de-industrializzazione, ma che può calare, come suo specifico atout, la carta del turismo di divertimento e di cultura (ed è ovviamente in quest’ultimo contesto, certo decisivo per l’Italia, che rientra il discorso di Capecchi). Osserva giustamente l’autore, scrivendo a proposito dei parchi letterari (ma è ovvio che l’osservazione è applicabile a tutta la filiera del turismo di cultura) che “quando un progetto nasce per poter avere finanziamenti significativi, contiene già in sé i potenziali limiti che lo conducono al fallimento”, ed è ciò che, in un primo momento, ha condotto al disastro l’esperienza italiana scaturita nella stagione dei finanziamenti europei per i Parchi, con tredici parchi appena costretti a chiudere i battenti nel giro di pochi anni. Senza una fase di studio e di ricerca, senza una seria stesura di progetto che misuri potenzialità turistiche, senza risorse a disposizione, competenza turistico-economica e culturale, disponibilità a interventi di investimento e promozione di ampio respiro e lunga durata, qualsiasi iniziativa di turismo culturale è destinata ad arenarsi. Il mordi e fuggi non è infatti la ricetta giusta: vale per i Parchi letterari (oggetto del IV capitolo del libro), quanto per le iniziative legate all’istituzione o alla conservazione delle “case degli scrittori” (il tema è affrontato, con particolare ricchezza di riferimenti nel capitolo III), quanto, infine, per i Festival letterari o di cultura (l’argomento del capitolo conclusivo, il V). Questi ultimi, con vent’anni di storia dietro le spalle, hanno proliferato in Italia fino a raggiungere la ragguardevole cifra di 1200 (censimento Guerzoni del 2008). Apparente paradosso, in un Paese di non-lettori o di lettori occasionali, che Melania Mazzucco, citata da Capecchi, spiega così: “in Italia il festival è prima di tutto un luogo. […] Quasi ogni borgo o metropoli ne vanta uno: nel momento in cui lo organizza esibisce anche se stessa. […] Bellezze che non sono solo una cornice o un fondale, ma la quintessenza del festival letterario italiano. […] In Italia la lettura è ancora un vizio di pochi. Ma è diventato un rito pubblico che rigenera e rafforza tutti gli officianti”.

Conclude Capecchi, appoggiandosi alla competenza di Giulia Cogoli ideatrice e direttrice del Festival della Mente di Pistoia: “i festival hanno innegabilmente cambiato in senso positivo l’immaginario e il panorama culturale della generazione dei nativi digitali”. E Dio sa se non ce n’è bisogno per distogliere i giovani dallo schermo e avvicinarli alla pagina scritta. Chi ora pensasse a Capecchi come a un “fondamentalista” dello sfruttamento turistico della cultura in tutte le sue forme e luoghi, sarebbe completamente fuori strada. Non gli è assente, sia pure al di qua di ogni catastrofismo, la consapevolezza, sulle orme di Stefano Bartezzaghi, dei rischi insiti nel “festivalismo”: “critiche e polemiche”, chiarisce, “ruotano sostanzialmente attorno alla ‘spettacolarizzazione’ della cultura, alla ‘superficialità’ degli eventi, all’allineamento tra cultura e consumismo”. Un dibattito che ricorda, per certi aspetti, le discussioni sul tema degli ‘apocalittici’ e ‘integrati’ che, negli anni Sessanta, riguardavano il valore, l’utilità, il senso stesso anzi della “cultura di massa” allora ai suoi primi passi e che tutt’oggi mantiene, proprio in prospettiva museografica e “festivalista”, un’assoluta attualità: è proprio di questi giorni infatti in Francia la polemica intorno al senso di mostre “blockbuster” dove pare più importante esserci che capire, come per i più effimeri appuntamenti mondani.

L’occasione è venuta dalla mostra su Tutankamon, in corso a Parigi, con un milione di visitatori in meno di quattro mesi, mediatizzata all’estremo e di cui qualcuno, lo storico dell’arte Didier Rykner per esempio, nega la capacità di “democratizzare” la cultura, mentre si trema pensando a cosa potrebbe succedere, in termini di difficoltà organizzative, sovraffollamento (e conseguente fruizione superficiale) in relazione alla grande mostra prossima ventura dedicata a Leonardo da Vinci. Concludo pensando a Trieste (cui, e dispiace, Capecchi, pur in un’analisi capillarmente esauriente, non dedica una riga, ma al cui proposito forse, in effetti, c’è assai poco da dire, e di quel poco molto in negativo), con l’auspicio che, a fronte delle grandi ambizioni (e dei miseri risultati nel recente, lungo passato) covate, nel settore “cultura” intesa come elemento di promozione turistica, dai responsabili politici del settore della nostra città (inclini alle “grandi mostre” che si concludono con grandi fallimenti), questo saggio possa diventare, se non livre de chevet, un’occasione almeno di riflessione di ampio respiro per chi guida gli assessorati del Comune e della Regione; e, di conseguenza, un vademecum operativo, propizio a quel salto di qualità che della città “della Barcolana e del caffè” (così si legge nel cartello toponomastico che saluta l’ingresso degli automobilisti sul territorio comunale) potrebbe fare, a pieno titolo e con molteplici possibilità di sviluppo turistico-educative, la città di Svevo, Saba, Joyce, Tomizza, ecc. ecc., perfezionando le iniziative cui alcuni professori universitari, alcuni intellettuali, oltre a un manipolo di valenti funzionari comunali del settore cultura hanno dato da tempo felice avvio.

 

 

Giovanni Capecchi

Sulle orme dei poeti

Letteratura, turismo e

promozione del territorio

Patron editore, Bologna 2019

  1. 170, euro 19,00