L’Europa secondo Masaryk

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Francesco Leoncini ha curato la nuova edizione del volume del fondatore della Cecoslovacchia

di Fulvio Senardi

Chi, se non Francesco Leoncini (già docente a Ca’ Foscari, membro della “Società Masaryk” di Praga, tra i migliori studiosi italiani di storia ceca) sarebbe stato capace di articolare un discorso tanto ricco su una questione così complessa come la nascita della moderna Cecoslovacchia sulle ceneri dell’Impero multinazionale intorno al perno storico e concettuale de La nuova Europa, il capolavoro della riflessione etico-politica di Tomáš G. Masaryk? La domanda si risponde da sola, come sicuramente concorderanno i lettori di La Nuova Europa. Il punto di vista slavo, il volume che, curato appunto da Leoncini, colma un vuoto scandaloso. Ormai introvabile l’edizione del 1997 pubblicata da Studio Tesi (per la medesima curatela), il libro ora riproposto, con traduzione stavolta dello stesso Leoncini, ripresenta la prefazione di Goloman Gajan e l’Introduzione al volume del 1997, ma si arricchisce di una aggiornata postfazione e offre inoltre ai lettori in appendice un testo di Benedetto Croce e un estratto, relativo a Masaryk (Masaryk e l’Italia), estrapolato dall’Enciclopedia della vita e dell’opera di Masaryk, in fase di completamento in Cechia; si aggiunga l’esauriente bibliografia, l’indice dei nomi, il repertorio fotografico e la panoramica del volume, esemplare sotto più aspetti, risulta così completa.

Ma perché riprendere oggi in mano il saggio che Masaryk scrisse mentre la Grande Guerra volgeva al suo termine (e i prigionieri cechi dell’Intesa, organizzati in legione, combattevano ormai a fianco degli italiani e dei francesi) per rendere esplicito il suo pensiero ai prevedibili vincitori?

Il libro, chiariamo prima di rispondere, ebbe nel 1918 un’edizione francese: L’Europe nouvelle e due inglesi: The New Europe, anticipate dalla conferenza che Masaryk tenne nel 1915 al King’s College di Londra e dalla rivista, The New Europa, fondata da Robert Seton-Watson, uno dei maggiori conoscitori delle questioni centro-europee, e lui stesso sostenitore delle idee di Masaryk (i cechi, al contrario, poterono leggerlo nello propria lingua solamente nel 1920). In esso, e siamo al dunque, viene abbozzata una visione dell’Europa di impronta mazziniana cha affida alle Patrie, finalmente sciolte da ogni catena di eredità “metternichiana” e quindi in grado di sviluppare la propria identità e libere di esprimere tutte le potenzialità, il compito di stringere il Continente in una rete “associazionistica” (il termine è, come si sa, di derivazione mazziniana: «senza una patria libera», ha affermato il patriota genovese, «nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l’Umanità che si realizzerà nell’associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea»). Prospettiva che fa pensare all’Europa di oggi, nel nuovo assetto che faticosamente (e contraddittoriamente) siamo in procinto di istituire.

Concetti del resto ben noti a coloro che hanno familiarità, e a Trieste si dovrebbe, con le idee ispiratrici dell’“interventismo democratico” e che proprio uno scrittore triestino, Giani Stuparich, espose sull’orizzonte di una serrata analisi di taglio storico, politico ed etico nella sua Nazione ceca del 1922, ultima ristampa: 1969 (cogliendo anch’egli occasione dalle vicende del popolo ceco, a dimostrazione di quanto stimolante sia stato e ancora sia il tema della rinascita delle piccole nazionalità centro-europee per i mazziniani di ieri e di oggi).

Ma ci sono anche altri aspetti della riflessione di Masaryk che ci riguardano da vicino, come triestini e come giuliani; e mi limiterò a sfiorare il tema delle minoranze, che è stato il punto dolente della storia del nostro microcosmo multietnico in eterna ebollizione (e di molti Paesi del calderone centro-europeo). Così Masaryk: «sebbene difendiamo il principio di nazionalità, vogliamo pure tutelare le nostre minoranze, soprattutto la tedesca. Ciò sembra essere un paradosso, ma le vogliamo tutelare proprio in base al principio di nazionalità. La Boemia è una caso particolare di terra etnicamente mista. […] In molti luoghi e in tutte le città [del nord della Boemia] ci sono cospicue minoranze ceche. […] I cechi esigono da sempre uguaglianza di diritti e non diritti superiori. Tenuto conto della sua posizione centrale, lo stato Cecoslovacco avrà sempre interesse a che siano assicurati pieni diritti ai tedeschi ed alle altre minoranze più piccole».

Com’era prevedibile, la Storia si assunse presto il compito di dimostrare quanto i buoni propositi fossero fragili di fronte alla durezza della realtà, e la convivenza di tedeschi e cechi in terra boema e morava fosse difficile e precaria. A partire dalla richiesta di auto-determinazione avanzata con energia da tale minoranza (più di tre milioni di persone su una popolazione di tredici milioni, quanti ne contava il nuovo Stato) all’indomani della cessazione delle ostilità alla fine del 1918 (richiesta che doveva sfociare nei tragici fatti di sangue del marzo 1919). Avrà poi buon gioco la propaganda nazista a far breccia in una comunità che si sentiva straniera a casa propria, coltivava frustrazioni e desiderio di rivincita, alimentando un incendio che sarebbe presto divampato in tutta Europa. La dirigenza politica della nuova Cecoslovacchia (Masaryk, Beneš. Kramář, per fare qualche nome di assoluta rilevanza) avrebbe potuto condurre ad altro esito la storia del Paese, gettando acqua sul fuoco piuttosto che benzina? Francesco Leoncini, che sposa appassionatamente la causa ceca, pensa di no; io sono dubbioso, e tendo a ritenere che molti errori vennero fatti dall’una e dall’altra parte della barricata, sullo sfondo di condizioni storico-psicologiche difficilmente conciliabili: la rabbia rancorosa dei tedeschi da un lato, che da nazionalità dominante erano stati retrocessi al ruolo di una minoranza di cui diffidare e con cui l’autorità centrale si relazionava con una certa ruvidezza, il trionfalismo arrogante dei cechi dall’altro che tenevano finalmente il timone nel Paese in cui erano maggioranza e che consideravano, per ragioni storiche, esclusivamente proprio (a questo proposito utilissima lettura, se si ha un paio d’anni di tempo: Arnold Suppan, Hitler – Beneš – Tito: Konflikt, Krieg und Völkermord in Ostmittel- und Südosteuropa, Accademia delle scienze, Vienna 2014, 3 volumi per complessive 2048 pagine; ma importante soprattutto, ai fini del nostro discorso, e certo di più rapida assimilazione, il capitolo Tschechoslowakisch-deutsch-österreichische konfliktgeschichte 1918-1939).

Tomáš Garrige Masaryk

La Nuova Europa

Il punto di vista slavo

a cura di Francesco Leoncini

Castelvecchi, Roma 2021

pp. 294, euro 25,00