L’Italia secondo Isnenghi

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Ronzani pubblica una raccolta di saggi dello storico, datati dal 1968 al 2022

di Gabriella Ziani

 

Ci è planato in testa il passato (in Italia non passa mai). Si sgranano i giorni del primo governo a guida di una destra che ha radice nel partito post-fascista, evento già di per sé storico poiché non accadeva dal secondo dopoguerra, e tracima dal nuovo corso una quotidiana dose di parole sbagliate, omesse, traviate, rivendicate, sanzionate, rifiutate e corrette che fanno riferimento non tanto al Ventennio in sé che la Repubblica ha rigettato e derubricato a sciagura nazionale, quanto a una identità impossibile tanto da lavare quanto da mettere a bandiera, ma che con piccoli scarti verbali tende a ri-raccontare, spesso con maldestri svarioni, una storia che si dava ormai per oggettivata. Che cosa ne capiranno i giovani, già orribilmente digiuni di storia, ma anche tanti altri? Ridiventano luogo di aspro confronto le date, i simboli, le commemorazioni, i ruoli, i posti in gerarchia, come se i nuovi governanti stessero facendo un tutt’uno, già che hanno tribuna, di politica e di storia. Da queste acque torbide fa capolino il libro di un neo-ministro, Nello Musumeci, già presidente della Sicilia (nato politicamente nel Msi di Almirante), che con tempismo pubblica da Rubbettino La Sicilia bombardata in cui denuncia «la feroce aggressione», i «vili atti di sadismo» di cui si macchiarono gli anglo-americani sbarcati per liberare l’Italia dal nazifascismo, e loda la «resistenza» dei siciliani aggrediti. Ogni guerra è infame, si sa, e anche la guerra di liberazione lo è stata, ma è lecito spostare in questo modo il baricentro di vicende così epocali?

Nella travagliatissima storia italiana è forse un vizio a tal punto ben forgiato da essere diventato antropologico, ma di cui oggi vediamo picchi acustici inediti. Alle radici, nei risvolti, nei piani bassi e alti di questo tempestoso percorso, offrendo criteri di lettura e lenti interpretative ad altissimo tasso di complessità e chiarezza insieme, è – un’altra volta, occorre dire – l’illuminata analisi di uno storico-letterato come Mario Isnenghi, che da Il mito della Grande Guerra (1970, ora all’ottava edizione), a Le guerre degli italiani (1989), L’Italia in piazza (1994), La tragedia necessaria. Da Caporetto all’Otto settembre ha messo in palcoscenico con appassionata intelligenza ciò che si tende a non vedere e sapere, e dunque a non cucire assieme: le relazioni appunto tra i fatti e le parole che li precedono, accompagnano e seguono, tra propaganda, memoria, oblio, simboli, trasformazioni, falsificazioni, edulcorazioni, e punti di vista che si frastagliano non solo per parte politica, ma anche per stratificazioni e fratture di classe sociale.

Tanto che proprio dalla sintesi di questa enciclopedica opera di dissodamento, che ha creato e ancora germina una visione delle dinamiche storiche che prima non c’era, Isnenghi fa derivare lo stuzzicante titolo del suo nuovo volume. Oggi professore emerito di Storia contemporanea alla veneziana Ca’ Foscari, dopo l’intensa autobiografia Vite vissute e no. I luoghi della mia memoria (2020), torna infatti a sollecitarci con Tragico controvoglia. Studi e interventi 1968-2022, una corposa raccolta di 36 testi prodotti per varie occasioni di convegni o riviste nell’arco di ben 54 anni, e qui organizzati per sezioni a tema, entro le quali soltanto è contemplato l’ordine cronologico, così da farne un vero e proprio, unitario, testo “militante”, ben pubblicato dall’editore Ronzani.

«Il presupposto è questo – scrive lo storico – , che un marchio collettivo degli Italiani sia stato e rimanga difettare di autocoscienza tragica, per cui i personaggi e gli eventi intrinsecamente tragici che pur fondano l’Italia […] restano un limbo, contraddetti o obliati». Provocazione che ha il suo brillante dispiegamento nel capitolo Vincere perdendo e specialmente nel paragrafo intitolato Le gloriose disfatte (1997), dove è analizzato lo strano fenomeno per cui noi per esempio abbiamo fissa in testa più la tragedia di Caporetto (di cui abbiamo fatto anche un popolare modo di dire) che la vittoria del Piave. Ma si va dentro le letture e controletture anche delle guerre risorgimentali dell’800 e di quelle “imperialiste” in Africa del Novecento. Con un altro assunto-guida: che è esistito anche il rovesciamento e scivolamento dell’eroe nel suo contrario. È esplicitato proprio in questo capitolo a proposito di eroici gesti votati allo scacco, entrati a far parte del «martirologio risorgimentale», e trova contesto in una succosa rilettura del destino di Giuseppe Garibaldi, traslocato da eroe dei Mille a maschera burlesca della filastrocca «Garibaldi fu ferito, fu ferito a una gamba…», dove annega nel ridicolo delle vocali che via via si alternano il fatto, tragico, che più violenti delle sue azioni “rivoluzionarie” furono i poteri moderati del Regno che all’Aspromonte gli spararono addosso.

Dice Isnenghi che «non si può sottovalutare il peso incisivo e durevole del teatro d’opera come ingrediente della cultura e forma precipua di mitologie e autorappresentazioni nazionali». Di più, abbiamo avuto il «protagonismo degli uomini di lettere» attivi nell’«”invenzione della tradizione”» a legittimare il movimento nazionale. Da Alfieri, Foscolo, Berchet, Manzoni, Guerrazzi e Nievo «sono – scrive lo storico – i professionisti della parola a evocare e a promuovere fra i primi l’idea di Italia. La parola, la musica, e al limite, anche la musica delle parole, circolano prima e più spiccatamente dei fatti e delle cose, nei decenni del “Nation building”». Con questa chiave di lettura, che rende palpabile il carattere franoso del farsi della nazione, vengono dotate di altro senso anche le conseguenze: «Poi può anche accadere che i fatti e le cose si vendichino di non essere abbastanza considerati. Arrivano cioè – prosegue Isnenghi – le sconfitte, che la cultura delle parole che ha contribuito a determinarle si veda costretta a capovolgere e sublimare in gloriose». Ecco la ricetta della mitografia, espediente retorico di forte efficacia e “arma bianca” sempre funzionale.

Ma non solo. C’è una coda a questo pensiero che riguarda direttamente l’oggi. Lo storico sottolinea come, alla luce di quanto appena detto, appaia «congeniale e giusto che la prima storia dell’Italia unita e dell’autocoscienza nazionale sia stata scritta da un patriota che di mestiere faceva il professore di letteratura e sia la Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis. […] Chi ha contribuito a lungamente espungere il fascismo dalla storia d’Italia, sminuendolo come un mero “regime di parole”, finiva, così facendo, per radicarlo nella linea maestra del nostro “carattere nazionale”». E qui siamo.

Lavorando con questa griglia interpretativa, Isnenghi raccoglie degli eventi storici tutte le loro floride appendici, le mette in laboratorio, e ne estrae gli elementi costitutivi, mostrando che effetto fanno (e hanno fatto) se messi in relazione, in linea orizzontale guardando al loro tempo, e con i loro effetti e contro-effetti rileggendoli in linea verticale. Il quadro che sembrava geometrico si fa complesso e caleidoscopico, portando a conclusioni originali. Per esempio, allo storico che ha guardato a «soggettività, diritti, memoria, sfera pubblica/sfera privata; e poi formazione e caduta delle grandi narrazioni, eclissi dei significati, morte delle ideologie ed altre malinconiche o festose varianti del lutto», la storia d’Italia pare, in maniera «costitutiva», una «storia di ex, cioè di soggetti che hanno spezzato la propria vita in due, disfatti e rifatti, da catastrofi, abiure, conversioni e palingenesi». Già, a proposito…

Nella rilettura angolare del Risorgimento, della guerre perse e vinte, della Grande guerra, di personaggi iconici come Mazzini, Garibaldi, Battisti, e mirabilmente di Scipio Slataper (nel capitolo Nati troppo tardi, nati troppo presto e nati al momento giusto), nel dare forma e senso a una enorme quantità di diari e memoriali di reduci e di pubblicistica post-bellica, nell’interpretare inni, canzoni e canzonette, iscrizioni su lapidi, o nell’esame certosino di titoli di giornali e intitolazioni di edifici in epoca fascista, ma anche in più recenti scenari, Isnenghi ci porta in un sottotraccia frutto di infinite letture per una conoscenza capillare del sostrato di tante parole. E lo ha fatto – si vede qui – sempre con il medesimo stile elettrico, animato da infiniti riverberi, emanazione di una personalità e di un profilo intellettuale che non cedono, proprio per la natura del racconto, alle facili sintesi: «A torto o a ragione – ci dice nell’introduzione – , la mia scrittura – come la mia oralità – hanno bisogno di più sfumature, associazioni mentali, divagazioni e parentesi quadre e tonde».

Da ultimo, invitando a questa tonificante lettura di un libro prismatico e tutto vivo nonostante le diverse datazioni dei capitoli, è opportuno citare il fatto che vi è inserita la prefazione al volume Elody Oblath. L’ultima amica. Lettere a Carmen Bernt Furlani (1965-1969), che fu pubblicato nel 1991 a cura di chi scrive queste righe proprio grazie all’intuito e all’iniziativa di Isnenghi, che captò sulla rivista Belfagor (di cui è stato costante collaboratore, vedere il capitolo dedicato) la notizia dell’esistenza dell’epistolario inedito tra l’ormai anziana moglie di Giani Stuparich (ma che del giovanile amore per Slataper aveva fatto mito) e l’amica che era stata allieva prediletta del poeta Biagio Marin. Per dire che non è dei curatori che bisogna curarsi, ma del fiuto editoriale e del pregnante contenuto. Piuttosto, è divertente l’opinione sulle prefazioni, invece, sollecitate: «Autore e editore sembrano andarne in cerca, ma spesso quel che veramente vogliono è solo una firma, e si aspettano in fondo un soffietto (…). Sospettoso di questo, seleziono e accetto le richieste in vista di un minisaggio in cui dire quel che ho da dire. Il punto di equilibrio può non essere facile da cogliere, ma chi ha cercato chi?». In quattro o cinque casi vi sono stati «imbarazzati e imbarazzanti rifiuti». Ecco perché questo libro non è “d’occasione”: perché in ogni occasione Isnenghi ha fatto un suo minisaggio originale, e ora il distillato di testi bene organizzati tematicamente è un punto di vista, un metodo, che dovremmo fare nostro mentre assistiamo alla storia che si fa, o si vuol rifare daccapo.

 

Mario Isnenghi

Tragico controvoglia.

Studi e interventi 1968-2022

Ronzani editore, 2023

  1. 495, euro 32.00