Livio Rosignano al Magazzino 26

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“Disegnare il vento” è la poesia trasformata in pittura dell’artista triestino

di Francesca Schillaci

 

Disegnava a memoria. Si sedeva negli autobus e osservava la gente. Poi, su un foglio sempre a portata di mano e una penna, schizzava l’istante che notava. La maggior parte del tempo la passava a scrutare, quasi volesse entrare dentro la carne delle persone per afferrarne l’anima e poterla imprimere per sempre sulla tela. Livio Rosignano è ricordato ancora così, oggi, a Trieste nella mostra “Livio Rosignano: dipingere il vento” curata da Marianna Accerboni, promossa dall’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste in coordinamento con il Comune di Trieste, la Biblioteca Statale Isontina di Gorizia e visitabile fino al 10 luglio 2022 al Magazzino 26 del Porto Vecchio di Trieste.

Grazie all’accurata ricerca del dettaglio, l’esposizione permette al fruitore di conoscere per la prima volta il pittore triestino nella sua totalità. Ma non solo: anche per chi Rosignano si conferma materia conosciuta, la mostra conferisce al pittore un’aura di novità, la sensazione che qualcosa, finora, era andato perduto e andava riconsegnato alla città di Trieste, ai suoi cittadini, e a Rosignano stesso. “Dipingere il vento” è infatti la prima antologica realizzata dopo la scomparsa dell’artista che vede esposti ben settanta pitture ad olio di grandi dimensioni, alcune delle quali inedite come un nudo e un autoritratto, gentilmente concesse da collezioni private della famiglia d’origine e dalla collezione dell’avvocato Sergio Pacor. L’obiettivo è ripercorrere l’evoluzione del linguaggio del pittore triestino in uno spazio-tempo che si contrare e dilata tra paesaggi (a Rosignano molto cari) di mare e periferia, caffè letterari di Trieste in tutta la loro vacuità che nelle pennellate dell’artista, invece, assumono una dimensione mitteleuropea che ricorda qualcosa di sospeso, antico, ancora fluttuante nel nostro presente al punto tale di volerlo verificare con i propri occhi, ritornando là, in quei caffè che Rosignano ha tanto saputo cogliere. Poi, i ritratti. Inutile cercare di sottrarsi alla folgorazione del “matto” che saltella in una stanza semivuota, avendo come unici compagni una sedia rotta e un rotolo di carta igienica. I “poveri cristi” è una delle sezioni scelte per ricordare come Livio Rosignano fosse naturalmente predisposto all’attrazione dei miserabili, i relitti umani dimenticati dal mondo, la gente di San Giacomo da lui tanto amata, gli innamorati nascosti tra l’erba di un sottopassaggio di periferia triestina, gli ubriachi nelle osterie. I poveri cristi, come li chiamava lui, erano fatti della sua stessa materia, cercavano il modo di resistere al tempo, all’ignoto, cadendo e ricadendo in gesti quotidiani, eventi imprevisti, scelte sbagliate, oppure no. E Rosignano li sentiva, li capiva, quasi li bramava. Se non fosse stato per i suoi “poveri cristi”, muse della sua pittura più autentica, oggi di Rosignano avremmo i paesaggi, qualche nudo – straordinario – di sua moglie e i dipinti del periodo milanese, dove cambiò la sua vivacità coloristica, prima calcata in modo espressionista, in tratti che in alcuni quadri ricordano il fauvismo, per raggiungere una coerenza tonale che definì la sua mano d’artista.

La mostra esibisce tele di grandi dimensioni sulle pareti principali del Magazzino 26, ma una nicchia d’eccellenza è riservata anche ai suoi schizzi, i suoi disegni di piccole dimensioni, attinti sia al passato, sia all’ultimo periodo prima della scomparsa, e alle fotografie scattate da Umberto Vittori, che ci permettono di vedere l’artista all’opera davanti alla tela, oppure riflesso davanti ad un autoritratto, con quell’aria tipica di Rosignano, un po’ sorniona, autoironica, pronta alla battuta e al desiderio bohemien di vivere in mezzo alla gente per scavarne i sentimenti fino quasi a ridurli in fossili.

Ha vissuto di pittura tutta la vita. Disegnava, dipingeva e vendeva. E poi offriva da bere a tutti in osteria, ebbro di generosità per l’arte capita, la vita rapita nelle sue acqueforti, conscio del fatto che in pochi ce la facevano e allora bisognava condividere, onorare il dono della pittura, ringraziare con un mezzo di Terrano tutti i suoi modelli di passaggio che, senza saperlo, lo avevano ispirato. La pittura, però, non fu l’unica arte che Rosignano esplorò: la mostra “Dinpingere il vento” ha riportato volutamente anche i testi scritti dall’artista, tra prosa e poesia, riflessioni sull’arte e sulla critica, memorie dei maestri che l’avevano visto e guidato come Giovanni Giordani, Adolfo Levier, Romani Rossini, Vittorio Bergagna con il quale condivise lo studio a San Giusto, Edgardo Sambo che teneva i corsi di nudo al Museo Revoltella nel 1945 e Carlo Sbisà che insegnava incisione all’Università Popolare, luogo che portò Rosignano alla scoperta e all’amore eterno per l’acquaforte.

Ad integrare l’atmosfera poetica veicolata dalle opere, viene proiettato anche un video-documentario sul pittore, che narra visivamente i luoghi che lo ospitarono, come la sua soffitta di via della Geppa; e le mostre dove nelle inaugurazioni si evidenzia quanto l’artista fosse tutt’altro che un solitario, ma vivesse con pienezza i suoi rapporti con altri colleghi, con critici, galleristi e collezionisti. Proprio per rendere omaggio a Rosignano, la mostra prevede anche degli appuntamenti collaterali come laboratori per bambini, conferenze sull’artista e premi pittorici per far vivere Rosignano nella condivisione degli intenti, riunendo quanti manifestano interesse per forme e colori che si concretano sulle sue tele, per sentirsi parte di un messaggio che percorre per intero la poetica dell’artista, attenta ai valori della collettività, della semplicità, di una palpitante umanità.

 

Amanti di periferia

olio su tela, 1976

Coll. privata, Trieste