L’orco in canonica

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L’orrore della pedofilia in un libro di Paolo Cendon

di Pierluigi Sabatti

 

Leggendo questo romanzo ho capito che cos’è uno stupro, come può accadere, come può continuare nel tempo e come si sviluppa il rapporto tra la vittima e il carnefice. Non è esagerato definire così, carnefice, chi viola il corpo e l’anima di una persona.

L’orco in canonica di Paolo Cendon non può essere però ridotto alla storia di uno stupro pedofilo, da parte di un prete, come le cronache di questi ultimi anni ci hanno abituato. Questo libro è molto di più perché l’Autore non è soltanto un romanziere, è un docente di diritto che ha elaborato nel corso degli anni una dottrina giuridica per la protezione dei più deboli, colmando il vuoto che era rimasto nel Codice civile italiano su questa materia.

In quella che infatti viene comunemente chiamata la “bozza Cendon” del 1986, viene previsto il nuovo istituto giuridico dell’Amministrazione di sostegno. Quindi non più la semplice interdizione e inabilitazione, ma l’introduzione di una nuova figura che si pone “come modello generale per la soluzione dei problemi civilistico-patrimoniali della maggioranza delle persone disabili: infermi di mente, anziani, portatori di handicap fisici, alcolisti, lungodegenti, carcerati, internati in manicomio giudiziario, tossicodipendenti e, in generale, chiunque avesse bisogno di essere protetto nel compimento degli atti della vita civile”.

Tra i soggetti svantaggiati trovano ovviamente spazio e hanno bisogno di tutela i minori, come la protagonista di questo romanzo, Anna che a sette anni comincia ad essere vittima degli abusi.

Un’elaborazione giuridica “che nasce – come ha affermato Cendon in un’intervista – da un lato, dall’esperienza basagliana, dall’altro dall’idea del manicomio da superare. 
Ci voleva un diritto per manicomi: non dentro, ma un diritto fuori dai manicomi. Il punto di partenza per me è stato quello. Un’intesa vincente: il dialogo, il sostegno, l’appoggio alla persona non erano più dentro il manicomio, ma fuori da questi centri. Come hanno raccontato quelli che questo lavoro lo facevano, c’era una nuova esigenza. C’era l’esigenza di aiutare questi soggetti fragili a risolvere problemi pratici, anche solo parlare con gli altri condomini: ci voleva un sostegno giuridico. Quindi una spinta molto forte, “basagliana”, dal volto umano, aperta al territorio. Dall’altra v’è l’esperienza di paesi europei, come Francia ed Austria, che avevano introdotto nuovi strumenti di protezione alla persona, assai diversi”.

Forte di questa esperienza di studioso dei soggetti svantaggiati e di episodi conosciuti come consulente in questa materia, Paolo Cendon ha affrontato questo delicatissimo argomento con rara maestria, riuscendo a conciliare la narrazione di questa tragica esperienza di una bambina oggetto delle attenzioni di un prete ventiseienne, con i vari aspetti psicologici, sociali e giuridici della vicenda. La vicenda di Anna si svolge con un crescendo, in cui il prete. Don Fulvio, la costringe, usando metafore religiose, inventando un “percorso” di fede “dedicato “solo a lei”, a cedere ai suoi desideri, coinvolgendo in un secondo tempo anche un ragazzo. E riuscirà a renderla succube, complice, provocandole sensi di colpa che si manifesteranno in una serie di problemi anche fisici.

È terribilmente difficile narrare con i necessari particolari vicende come questa, eppure Cendon ci riesce senza scadere nella volgarità o nel compiacimento. Perché i particolari, che Cendon non risparmia al lettore, sono necessari a far capire che cosa significhi essere stuprati, subire atti sessuali che possono anche procurare momentaneo piacere e quindi ancor più senso di colpa, ma che finiscono per corrompere la sessualità, trasformandola in un incubo, in qualcosa di sporco, di malsano, di triste.

Anna vuole liberarsi da questo giogo, ma è prigioniera. Come quel passero che viene ghermito da un gabbiano davanti ai suoi occhi di fanciulla di nove anni e mezzo. Una scena, vista tornando da scuola, che le rimarrà nella memoria. Il giogo dura ben cinque anni e il desiderio di Anna di liberarsene si scontra con le complicità che mettono il carnefice al riparo: la complicità del parroco, quella della maestra, e più tardi, quella del vescovo. La gerarchia cattolica fa da scudo, vuol nascondere l’obbrobrio. Non era ancora arrivato papa Francesco, che finalmente ha scoperto il vaso di Pandora degli abusi commessi dai preti e non ha concesso più alibi e coperture.

Ma al tempo dell’offesa di Anna Bergoglio non c’era. La sua rabbia è impotente anche quando trova il coraggio di urlare a don Fulvio: “Hai finito di disonorare la tua tonaca!”. Lo grida, brandendo un coltello, davanti alla maestra, che interviene per calmarla, dopo uno sguardo complice col prete, che, rosso di indignazione, esce alla stanza. L’incubo finisce perché don Fulvio si stanca di lei: è cresciuta, non è più una bambina. La traumatica esperienza viene rimossa, anche se è conficcata nella sua carne e nei suoi sentimenti, impedendole di vivere un’adolescenza normale come le sue compagne.

E la famiglia? Come spesso accade, i suoi non se ne accorgono o forse, non vogliono accorgersene, come le persone che le stanno intorno, alle quali manda messaggi dai quali dovrebbero capire che sta male, ma non capiscono. E lei cresce tormentata da incubi, squassata da scatti d’ira immotivati, con desideri suicidi.

Lucidamente non ripensa a don Fulvio e a quanto è accaduto, però gli amori adolescenziali sono funestati da questo suo malessere interiore. La salverà l’amore di Luca. Sintesi che può sembrare un happy end, ma non è così. Sarà la sua forza di volontà, il suo carattere a spingerla a questa sfida contro il passato, quando ormai adulta e studentessa universitaria si renderà conto che deve affrontare quanto è accaduto, anche se indubbiamente la presenza di Luca e il desiderio di una vita normale saranno fondamentali in questa scelta.

Il suo ragazzo la aiuterà ad affrontare un altro percorso, un percorso virtuoso stavolta, ma durissimo che Anna farà per liberarsi dalla sporcizia che la lascivia di don Fulvio le ha trasmesso, anche se non ricorda.

Inizierà proprio a riportare alla luce i vari momenti in cui si è dipanata la sua storia con don Fulvio. E ci vuole coraggio perché ricordare è doloroso, affrontare le oscurità e gli inganni della memoria è doloroso, perché inevitabilmente coinvolgere coloro che si ama è doloroso, però Anna in questo suo percorso assume consapevolezza di se e vuole giustizia. Forse il fatto di studiare legge la influenza e la induce a imboccare questa strada. Un’altra svolta tormentata e coraggiosa della sua vita: denunciare don Fulvio, seguire la via giudiziaria, che è costellata di ostacoli. I processi, gli interrogatori, il confrontarsi in aula con il carnefice, con i testimoni reticenti o mendaci. Un autentico calvario che Anna affronta con determinazione e che Cendon racconta con la perizia di chi maneggia gli argomenti giuridici. Anna si trova a lottare contro falsità, bugie, diffidenze e, in primo grado, perde. Alla lettura della sentenza “Anna era rimasta senza parole – scrive l’Autore -; un senso di vuoto l’aveva afferrata, le erano salite le lacrime agli occhi: cinque anni di battaglie buttati via. In fretta era scivolata fuori dal palazzo di giustizia, tra le braccia del padre; all’esterno stazionava qualche giornalista, erano però riusciti a imboccare una porta laterale, nessuno l’aveva disturbata. Anche sua madre e Luca erano sfuggiti alle richieste di commenti più tardi”.

La reazione in città è notevole e qui Cendon tocca un altro aspetto di queste vicende: l’informazione. Sottolineando che i giornali spesso ricercano l’effetto più che della verità dei fatti, adeguandosi alle reazioni d’istinto dell’opinione pubblica, favorevole al prete, per di più assolto. Salvo poi cambiare atteggiamento quando la sentenza di primo grado viene rovesciata.

Anna che in appello ottiene giustizia. Bellissime le pagine con cui viene spiegata punto per punto la bocciatura delle sentenza del Tribunale, che fanno capire i meccanismi della giustizia che tante volte ci sembrano oscuri.

Anna sarà felice dopo l’appello in suo favore? Di certo sarà più serena, anche se il passato non la lascerà mai.

 

Copertina:

Paolo Cendon

L’orco in canonica

Marsilio, Venezia 2016

  1. 302, euro 17,50