SPECIALE SG Le traduzioni di Giotti

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di Liliana Bamboschek

 

A sessant’anni dalla morte di Virgilio Giotti è opportuno fare una riflessione sui riconoscimenti che la sua poesia ha avuto, soprattutto negli ultimi tempi, all’estero e sulla diffusione delle sue opere attraverso numerose traduzioni. Ma l’attenzione verso questo scrittore che per esprimersi aveva scelto il suo dialetto come “lingua di poesia” nasce già prima e, qua e là, ne troviamo degli interessanti esempi.

Nel 1975 è stata pubblicata un’antologia dal Dipartimento di Lingue Moderne dell’Università di Brown, Inghilterra, in cui vengono tradotte in inglese liriche di vari autori (cinesi, russi, il tedesco Rilke) e un gruppo di sette poesie di Giotti (Ai mii fioi morti, Autunno, A la sorte, El Paradiso ecc.). Traduttore è il professor Anthony Odcorn, docente all’Hispanic Italian Studies Dipartment che dimostra una sensibilità particolare nell’aver reso l’espressiva sinteticità del linguaggio originale mantenendone in qualche modo la freschezza e il ritmo.

 

UTUNO

No’ più sul bianco, in tola,

i raspi de veludo

de la ùltima ua;

no’ el vin novo bevudo

tra i viseti d’i fioi;

 

ma le lagrime longhe

de piova su le lastre,

ma el lamento del vento;

e l’inverno za in noi.

 

AUTUMN

No more on the white of the table

the velvet clusters

of de last grapes,

no new vine now

drunk among children’s faces,

 

only the long tears

of rain on the windowpanes,

and the wind moaning,

and winter already in us.

 

A LA SORTE

Insègnime ti, sorte,

come che go de far

a morir e restar

l’istesso qua nel mondo;

 

come che posso far,

insègnime, a finir

senza dover tradir

chi che ghe vòio ben,

 

che no’ sa, che no’ pol

viver senza de mi:

l’impossibile, ti

sorte, insègnime a far.

 

TO FATE

Teach me, fate,

what I have to do

to die and to stay on

here in the world like now;

 

teach me what I can do

so I can come to an end

without having to betray

the people I care about

 

who can’t, who don’t yet know how

to live without me there:

you, fate, show me how

to do what cannot be done.

 

Una pubblicazione importante esce nel 1986 prodotta dalla Wayne State University Press Detroit: A bilingual Edition of italian dialect poetry di Hermann W. Haller, in cui i maggiori poeti dialettali italiani risultano tradotti regione per regione (Carlo Porta per la Lombardia, Biagio Marin e Giotti per il Veneto, Pasolini per il Friuli). Vi figura una scelta di poesie del nostro tratte dalle diverse raccolte.

 

VECIA MOGLIE

La xe in leto, nel scuro, svea un poco;

e la senti el respiro del marì

che queto dormi, vècio anca lui ‘desso.

E la pensa: xe bel sintirse arente

‘sto respiro de lui, sintir nel scuro

ch’el xe là, no èsser soli ne la vita.

La pensa: el scuro fa paura, forsi

perchè morir xe andar ’n un grando scuro.

‘Sto qua la pensa; e la scolta quel quieto

respiro ancora, e no’ la ga paura

nò del scuro, nò de la vita, gnanca

no del morir, quel che tuti ghe ‘riva.

 

OLD WIFE

She is in bed, in the dark, barely awake;

and she hears the breathing of her husband

who is sleeping quietly, an hold man himself, now.

And she thinks: it’s nice to feel

his breath close by, to feel in the dark

that he’s there, to feel that one is not alone in life.

She thinks: the darkness is frightening, maybe

because dying is going to a vast darkness.

That is what she things, and she listens again

to the calm breathing, and she isn’t afraid

of the darkness, of life, not even

of dying, which happens to everyone.

 

Anche questa lirica mantiene intatta tutta la sua suggestione, nell’atmosfera rarefatta che si sprigiona da ogni singola parola.

Citiamo come curiosità una traduzione in lingua olandese di sei componimenti giottiani, con testo a fronte, ad opera del professor Jan Louter che è stato docente alla Scuola Interpreti e Traduttori di Trieste. Figurano nella rivista di studi italo-nederlandesi Incontri (anno IV n.4, 1989) edita dall’Università di Amsterdam. È una bella sorpresa che delle persone di elevata cultura non abbiano saputo resistere alla tentazione di rendere nella propria lingua una scrittura tanto particolare come quella del poeta triestino, colpiti nello stesso tempo dalla universale umanità e dalla semplicità francescana dei suoi versi.

Ma per noi triestini c’è ancora una chicca da gustare: nel 1991 Natalia Belli, la figlia di Giotti, ricevette un volumetto scritto a mano con dieci poesie del padre tradotte in friulano da Giorgio Faggin, studioso di lingue e letterature ladine, nato a Isola Vicentina nel 1939. Più tardi ne furono pubblicate tre nel volume Il Mandolâr. Poeti triestini tradotti in friulano (edito nel 2007 da Biblioteca Civica, Pordenone).

Ecco una versione più vicina a noi della stessa Vecia moglie

 

Muîr viele

A iè tal jet, a scûr, miege dismote;

e a scolte il respirâ di so marît

ch’al duâr cujet, vieli ančhe lui cumò.

E a pense ch’al è biel sintî donghe

il sfladâ dal so omp, sintî tal scûr

che lui al è dacîs, no sèi bessole.

Il scûr al scaturiš: forsi parcè

che cui ch’al mûr al va t’un scûr grandon.

Cussì a pense; e po a torne scoltâ

chel cujet respirâ, e no à paùre

ni tal scûr, ni te vite, nančhe nò

tal murî: chel che a dučh cuančh ur točhe.

 

Completano l’orizzonte le traduzioni più ampie e artisticamente impegnate degli ultimi anni di cui ho già dato notizia (Il Ponte rosso aprile 2015): l’antologia spagnola Colores di Herrera e Perez Carrasco (Editorial Pre-Textos, Madrid 2010), settanta liriche con testo a fronte; l’antologia tedesca Kleine Töne, meine Töne – Pice note, mie note di Hans Raimund (Drava, Klagenfurt, 2013), cinquanta liriche e gli Appunti inutili. Splendidi lavori che offrono ai lettori un’immagine ben meditata e approfondita della scrittura giottiana collocando l’autore e la sua tormentata vicenda umana in una dimensione sovranazionale.

Ringrazio di cuore la signora Vittorina Vianello, nipote di Giotti, per il materiale prezioso fornitomi dal Centro Studi Virgilio Giotti-Archivio Natalia Belli di Trieste.