L’Ungheria dopo la Grande Guerra
Fulvio Senardi | giugno 2023 | Il Ponte rosso N°93 | storia
di Fulvio Senardi
Fra gli ultimi nati della encomiabile (e fluviale) attività di ricerca e di pubblicazione del Centro studi Adia-Danubia, emanazione dell’Associazione Culturale Italoungherese “Pier Paolo Vergerio”, spicca un volume, di cui si sentiva l’assoluta necessità perché prende in analisi il travagliato Dopoguerra in Ungheria: Disincanto magiaro. L’Ungheria nel primo dopoguerra (Luglio editore, Trieste 2021).
Curato da Gizella Nemeth, Adriano Papo e Antonio Donato Sciacovelli, che guidano una nutrita schiera di studiosi (oltre ai citati, Pasquale Fornaro, Gianluca Pastori, Mária Szabò, Sergio Tazzer, Alessandro Rosselli, Lorenzo Marmiroli), il volume cerca di correggere, almeno per quanto riguarda lo spazio danubiano, un costante difetto italiano, il nostro strabismo occidentalista, per il quale tutto sappiamo (o ci interessa conoscere) di Francia, Inghilterra, ecc., mentre, soprattutto in prospettiva storica, la parte orientale dello spazio europeo è per molti di noi terra dove “sunt leones”, come si scriveva negli spazi bianchi, le aree inesplorate, delle mappe antiche.
Quale giovane italiano, in uscita dal liceo, o quale nostro connazionale anche di buona cultura ha almeno una pallida idea degli anni terribili che videro in Ungheria la breve stagione di una dittatura bolscevica, nata sulle ceneri di un fragile governo di coalizione formatosi dopo la sconfitta militare del 1918 e la dissoluzione della Doppia Monarchia? E dopo di essa una solo “stagionale” parentesi rivoluzionaria che durò poco più di quattro mesi e che cadde il 1 agosto 1919 a causa delle sconfitte che l’esercito rivoluzionario (che pure in Slovacchia aveva riportato qualche vittoria contro i Cecoslovacchi) patì per opera dell’esercito rumeno (nello spirito di quell’eterno antagonismo che ancor oggi non si è placato).
Vi fu poi un periodo di “terrore bianco”, ovvia reazione al radicalismo estremista del governo “rosso”, di cui fu protagonista l’Esercito nazionale dell’ammiraglio Horty, che ristabilì lo status quo ante, divenendo Reggente d’Ungheria fino al 1944, quando i tedeschi lo deposero, mettendo al suo posto Ferenc Szálasi, il capo dei nazisti d’Ungheria (le “croci frecciate”), per impedirgli di proseguire sulla strada di un accordo segreto con la Russia sovietica con il quale egli cercava di salvare il Paese. Si può certo ironizzare su un ammiraglio di un Paese senza mare (ma era stato ufficiale dalla K.u.k. Kriegsmarine) e su un Reggente di uno Stato senza re, resta il fatto che egli seppe ben interpretare l’essenza conservatrice di una società ancora fondamentale agricola di latifondisti, piccoli proprietari e contadini (con una capitale, invece, Budapest, sviluppata e moderna), che mal aveva tollerato le riforme socio-economiche di impronta collettivistica imposte dalla dittatura rossa di Béla Kun (a sua volta vittima, secondo copione, delle purghe staliniane del 1938).
Bene, in questo vespaio mettono le mani, con diligenza di studiosi, gli autori chiamati a raccolta per il convegno del 2019, di cui il libro del quale parliamo raccoglie gli atti. E non solo affrontando il tema storico nel suo nucleo più rovente (le relazioni di Nemeth, Fornaro, Pastori), ma anche con aperture laterali (senza dimenticare la letteratura: Sciacovelli e Marmiroli), che gettano luce su risvolti ed episodi importanti ancorché non centrali (come per esempio l’impegno umanitario del colonnello Gustavo Romanelli, a capo nel 1919 della Missione militare italiana in Ungheria, colui che seppe frenare le rappresaglie rumene e “bianche” contro i rivoluzionari), e approfondimenti del contesto est-europeo anche in relazione alla (spesso maldestra) politica italiana, che dal 1919 comincia subito a giocare la carta dell’allettamento revisionista (di sicuro successo in un Paese, l’Ungheria, così drasticamente mutilato dal trattato del Trianon) in funzione anti-jugoslava.
Disincanto magiaro.
L’Ungheria nel primo dopoguerra
a cura di Gizella Nemeth,
Adriano Papo e
Antonio Donato Sciacovelli
Luglio editore, Trieste 2021
- 184, euro 23,00