Ma non è una cosa seria

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Giusto cent’anni or sono Luigi Pirandello completava la stesura della sua fortunata commedia Ma non è una cosa seria, che sarebbe andata in scena per la prima volta nel novembre del 1918. Uno dei classici delle sue Maschere nude, la storia di un seduttore, Memmo Speranza, convalescente per via di un duello causato dal suo comportamento sopra le righe con le donne, che decide di sposarsi per fuggire la noia di inopinate richieste di matrimonio riparatore da parte delle numerose donne con cui egli si univa in via del tutto transitoria. La storia di un cinico “sciupafemmine” che organizza con fredda determinazione un sostanziale imbroglio del quale finirà poi vittima lui stesso.

Salvo il lieto fine dettato al drammaturgo dal gusto dell’epoca e dai canoni della commedia borghese, la vicenda messa in scena da Pirandello pare in qualche modo presagire queste prime fasi della campagna elettorale che agita le varie forze politiche in queste settimane. Soprattutto per via del titolo.

Come altrimenti si potrebbe commentare la pioggia di impegni programmatici che sta cadendo addosso da ogni parte a chi ancora si attarda ad ascoltare o a leggere le mirabolanti promesse cui nessun leader politico e quasi nessun comprimario ancora in caccia di un posto sicuro in lista pare sottrarsi?

Praticamente non pagheremo più niente, nel Paese di Bengodi che ci stanno preparando, tranne forse i sacchetti biodegradabili nei quali infileremo la merce nei supermercati. Non pagheremo la tassa di circolazione, odioso balzello iniquo, anche perché colpisce di più i possessori di veicoli con maggiore potenza. La faremo finita anche con il canone RAI, dopo che siamo costretti a pagarlo tutti per via del suo inserimento nelle bollette dell’energia elettrica. Nemmeno i figli dei milionari (in euro) dovranno più sostenere la spesa per le tasse universitarie, anche se si tratterà di attempati fuoricorso.

E poi, ovviamente, sarà cancellata la povertà, almeno quella degli Italiani. Le pensioni minime saliranno a mille euro netti per tredici mensilità, nessun pensionato prenderà un centesimo di meno. Anche “le nostre mamme che hanno lavorato tutti i giorni a casa e che devono poter avere la possibilità di trascorrere una vecchiaia serena e dignitosa”, magari senza aver versato un euro di contributi previdenziali.

Vi sarà un reddito di cittadinanza garantito per tutti coloro che non lavorano, almeno 720 euro al mese per gli oltre nove milioni di italiani che attualmente non ci arrivano.

La flat tax (finalmente una misura egualitaria!) farà risparmiare un sacco di soldi ai contribuenti, soprattutto a quelli più ricchi: un’aliquota unica del 15% per tutti, anzi no: del 25%, anzi no: del 23%. Dovrebbe costare una sciocchezza, perché tutti i soldi che risparmieremo, nella mente dei sostenitori, andranno in aumento dei consumi e quindi incrementeranno ulteriormente le entrate. Un affare senz’altro, tranne che per le risorse che finiranno in conti esteri, ma non si può avere tutto.

Aboliremo la cosiddetta legge Fornero. Anzi no: alcune cose pare vadano mantenute e quindi la modificheremo.

Intanto, in attesa del paradiso (economico) in terra, continua a salire il debito pubblico, nel momento in cui scrivo pari a 2.455.822.615.896 euro, in grado di strangolare del tutto l’economia del Paese ove dovesse salire esponenzialmente il tasso sugli interessi che lo Stato deve pagare. Pochi sembrano preoccuparsi, tra i nostri politici, del divaricarsi della forbice di reddito, che sempre più evidenza come il problema della disuguaglianza sia dirompente, altro che flat tax!

Allora, potremo certo stare a sentirli ancora questi imbonitori onnipresenti nei telegiornali e nei salotti televisivi, potremo fingere di prendere sul serio le fanfaluche che propinano a questo pubblico distratto, disinformato e soprattutto smemorato. Potremo, anzi dovremo, esprimere il nostro voto riguardo ai candidati che loro, e non noi, hanno scelto per il prossimo parlamento, ma ci lascino almeno dire che non è una cosa seria.