Maldobrie e compagnia bella

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Possiamo ben definirlo come un regalo della Contrada a tutto il pubblico lo spettacolo Maldobrie e compagnia bela andato in scena nell’ambito di Trieste Estate il 15 luglio in piazza Verdi. L’affezione verso il mondo, i personaggi, il linguaggio particolare di Carpinteri e Faraguna (autenticamente triestino e insieme altrettanto istroveneto) è radicata in noi da decenni per cui una serata così ci riporta indietro nel tempo colorandosi un po’ di nostalgia, ma rievoca anche quell’umorismo pienamente nostrano, schietto, autoironico, che forse, purtroppo, oggi andiamo perdendo.

La magia nasce per opera loro, sono gli attori della Contrada con in testa Ariella Reggio a dar voce a quel lontano mondo austroungarico così colorito e vivace in tutte le sue sfaccettature ma mettendoci dentro anche battute di oggi e lo fanno con grande naturalezza seduti al tavolino di un bar all’ora dell’aperitivo. Ci sono, con Ariella, Maurizio Zacchigna, Adriano Giraldi, la giovane Laura Antonini, Carlo Moser con la sua fisarmonica che, grazie alla regia innovatrice di Elke Burul, sono pronti ad accoglierci come amici nel loro salotto. E ci propongono un po’ di tutto, alcune Maldobrie fra le meno note, due addirittura “ritrovate” e rappresentate con tutto il sapore della novità (Piccolo mondo antico e La porta ottomana), poesie del “noneto”, le classiche “telefonade de mama”, echi inconfondibili di un mondo che ci riporta a “Co ierimo putei” (o putele, a seconda dei casi). Ricompaiono come d’incanto sulla scena siora Nina e Bortolo a raccontarci storie mirabolanti di navi ottomane e strani comandanti oppure gli scherzi agli amici che si facevano col telefono quando questo nuovo aggeggio aveva appena tre numeri e lo possedevano in pochissimi. Storie di pappagalli parlanti scambiati per i padroni di casa che pare masticassero perfino un po’ di tedesco. La più incredibile, e la più divertente, La vecia dei Pilepich descrive una famiglia di marittimi di Arbe che trascorre tutta la sua vita all’ombra di una mitica, onnipresente, indistruttibile “mama”. C’è poi quella delle telefonate che, seppure più moderna, è anche lei una madre inossidabile nelle sue manie, che si tratti magari dell’acquisto di una nuova tomba per tutta la famiglia (facendo gli adeguati scongiuri !) e tenendo presente l’ossessione quotidiana della Debegnac sulla porta accanto.

Si ride sì, ma quanto umani e in fondo quanto vicini alla nostra realtà ci sembrano questi personaggi! Certi ruoli nel tempo sono passati poi da un attore all’altro, pensiamo alle prime edizioni radiofoniche e poi a quelle teatrali, ai Bortoli, ai noneti storici, alle siore Nine.

Ariella Reggio è il simbolo stesso della continuità e insieme del rinnovamento di questo teatro visceralmente triestino e insieme agli altri attori, tutti bravissimi e diretti con cura, rappresenta il punto di riferimento, una grande lezione per le generazioni future.

Non piccola parte, naturalmente, ha la musica che con la fisarmonica creativa di Carlo Moser ci porta all’interno delle case triestine di una volta in cui si suonava o si cantava con gusto motivi come Do gati sui copi, filastrocca che si conclude col solenne, eroicomico funerale del povero caduto o la divertente parodia del matrimonio descritta ne Le due lune, (prima “luna de miel” e poi “luna de fiel” !) canzonetta di largo successo negli anni Venti.

E la bella serata estiva seduce il pubblico accorso numeroso ad ascoltare il suo teatro più vero, proprio nel cuore della città.

Liliana Bamboscheck