MANCE PER LA CULTURA

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La legge di stabilità da poco licenziata dalle Camere contiene, tra altri provvedimenti, una previsione di spesa di 300 milioni di euro “per la cultura”, che costituiranno la dotazione per pagare cinema, teatro, ingressi a mostre e musei e quant’altro ai ragazzi che compiono nel 2016 il diciottesimo anno d’età.

Facciamo finta, per un momento, che si tratti di una cosa seria, che il provvedimento veramente sia stato predisposto per incrementare nei giovani l’interesse verso argomenti di carattere culturale. Facciamo finta cioè di non esserci accorti che i beneficiari dei 300 milioni, in ragione di 500 euro ciascuno, non siano diciottenni, elettori che si accosteranno al voto per la prima volta quest’anno, e dovranno esprimersi sia per le amministrative che per il referendum di convalida delle riforme costituzionali, fiore all’occhiello del governo e della maggioranza che, con un assetto a geometria variabile, ha votato per quelle modifiche alla Carta costituzionale. Fingiamo di non aver pensato mai neanche per un momento a un parallelismo tra le campagne elettorali che impegneranno il Paese nei prossimi mesi e remote campagne elettorali in cui Achille Lauro distribuiva a Napoli pacchi di pasta agli elettori.

Ecco, nonostante questo sforzo di fantasia, permangono non poche perplessità in merito alla trasparenza, all’efficacia e all’equità del provvedimento pensato dal governo. Per renderlo più trasparente e fugare qualche dubbio di un tentativo di captatio benevolentiae nei confronti di un corpo elettorale evidentemente percepito come massa facilmente manipolabile sarebbe stato sufficiente, ad esempio, concedere i benefici ai diciassettenni, che non voteranno nei prossimi mesi.

Quanto all’efficacia dell’iniziativa, si può avanzare qualche dubbio: come si distinguerà tra le spese per uno spettacolo di puro intrattenimento e quello che invece si propone come un fatto culturale di rilevante interesse? E lo stesso si può dire per l’acquisto di un libro, e per ogni altra spesa del genere. E poi: non sarebbero meglio spesi per la cultura denari per esempio da utilizzarsi per la creazione o l’ampliamento dei servizi offerti da biblioteche pubbliche? O per la realizzazione di siti web per l’apprendimento di lingue straniere fruibili in maniera interattiva da tutti i cittadini? O per ridurre il costo di libri di testo per le scuole secondarie e/o per le università?

E infine, ultima ma certo non meno importante, un’obiezione sull’equità del provvedimento. Iniziando dal fatto che la stessa cifra di 500 euro sarà erogata indifferentemente al figlio di un pastore dell’Aspromonte come a quello di un agiato industriale di Varese, come se disuguaglianze abnormi non attraversassero il nostro Paese.

In un articolo sul Corriere dello scorso 26 novembre, Maurizio Ferrera faceva presente come “Nel Sud quasi un quarto dei minori non possono permettersi attività ricreative di tipo intellettuale o sportivo, di contro al 13% del Nord e al 9% del Centro. Le scuole non aiutano: nel nostro Paese solo il 30% dei quindicenni frequenta istituti con programmi extracurriculari. Sempre nel Mezzogiorno, il 16% dei minori vive in famiglie che hanno da zero a dieci libri: la metà di questi ragazzi ha scarsissime probabilità di raggiungere livelli minimi di competenze in matematica e in lettura, percentuale quasi doppia rispetto a chi vive in case con più di 25 libri (dati tratti da Save the Children). In Campania e Calabria un quindicenne su due fa regolarmente giochi d’azzardo, più del triplo rispetto al Veneto o al Trentino. Che dire poi dei 50 mila minori arrivati con i barconi negli ultimi quattro anni, più della metà non accompagnati?”, naturalmente esclusi dal contributo, questi ultimi; i più maliziosi sospettano che sia anche perché non possono votare.

E con un quadro di questo genere investire nella cultura significherebbe elargire 500 euro a tutti? Per favore, non prendiamoci in giro e chiamiamo quel contributo per quello che è: una mancia clientelare (pagata coi soldi di tutti), altro che un investimento nella cultura!