MEMORIA STORICA E POSTCOLONIALISMO

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copCover18Riflessioni sulla letteratura post-coloniale italiana

di Fulvio Senardi

 

Viene a merito di Martine Bovo Romoeuf (Università di Bordeaux) e di Franco Manai (Università di Aukland) aver raccolto e prefato una miscellanea di studi, Memoria storica e post-colonialismo – Il caso italiano, che contribuisce ad allargare, tanto in ambito teorico che di critica applicata, il dibattito sulla letteratura postcoloniale così come è andato configurandosi in Italia a partire da Tempo di uccidere (1947) di Ennio Flaiano, testo fondante di un discorso narrativo, inteso, cito dalla prefazione firmata a due mani, come «insieme di testi incentrati in modo critico sulla storia coloniale in generale e su quella italiana in particolare» (p. 9). Andrà premesso che, concresciuta in maniera inscindibile con i temi del post-modernismo e della globalizzazione, la riflessione sul post-colonialismo, nei suoi precipitati epistemologici, ideologici e artistici, è ben lungi dall’aver trovato una sistematizzazione teorica soddisfacente. Opportuno dunque fare il punto con un’esplorazione di orizzonti di natura interdisciplinare che contribuisce con un nuovo tassello a una discussione che incontra, in Italia, ostacoli culturali e ideologici di particolare natura, perché incarnati, si dice in generale e all’ingrosso, nella coscienza identitaria di un popolo mal guidato e peggio catechizzato, e quindi ancora troppo incline all’autoassoluzione. Il fantasma falso e buonista degli “Italiani brava gente”, cito il titolo di un recente volume di Angelo Del Boca che andrebbe lungamente meditato e ampiamente diffuso nelle scuole, è difficile da esorcizzare e continua ad aliare sui grigi pianori del senso comune. Il dialogico punto di partenza dell’Introduzione si individua in una contrapposizione ben delineata ma in fondo aperta (forse il positivo portato della co-autorialità di queste pagine) tra istanze che ereditano posizioni di sapore post-moderno («la superiorità epistemologica della storia sulla memoria e sulla letteratura è messa in forse», p. 11; «il compito attuale non è quello di realizzare una ormai impossibile riabilitazione della storiografia scientifica, né quello di ricostruire il senso della storia secondo gli ideali della modernità, ma piuttosto quello di recuperare dalle macerie della storia la realtà e trovare un nuovo linguaggio per raccontarla», p. 21) ed esigenze di riconoscere sostanzialità e verità al discorso storico (nella consapevolezza che cancellando «la differenza fra racconto e realtà» e rendendo indistinguibile «la letteratura dalla storiografia» si ottiene il risultato di «neutralizza[re] la possibilità di parlare della realtà», in maniera che «non solo la storia ma anche la letteratura resta disarmata», p. 16). La prima voce risente della preoccupazione che la ricerca storica possa subire il condizionamento del «sistema di valori occidentale» che tende a fagocitare quegli studi post-coloniali i quali proprio in quel codice valoriale individuano il loro «principale idolo polemico» (p. 22). Annullando in questo modo «le spinte centrifughe provenienti dalle critiche alla razionalità occidentale e dalle proposte di visioni alternative provenienti dalle culture altre» (p. 14). La seconda, tenendo presente che «la storiografia in quanto pratica sociale riveste una fondamentale funzione di memoria pubblica, quindi di fondamento dell’identità comunitaria» (p. 20) e constatando che «le risultanze della storiografia accademica non sembrano essere penetrate a livello di coscienza comune» (p. 31) parrebbe al contrario riaffermare la necessità di riconsegnare al lavoro degli storici, condotto secondo specifici principi regolativi, il privilegio e il prestigio della “verità”. Durissime prese di posizione a proposito «dell’identità italiana», contrassegnata da una «pervasiva opera di rimozione del passato coloniale italiano», tanto da marcare «una sostanziale continuità tra l’epoca fascista e l’Italia repubblicana» (pp. 25-26, ma Del Boca, ma Labanca?) e inquinata «dall’ossessione nazionalistica ciecamente e inconsapevolmente condivisa dagli scrittori da sempre italiani» (p. 25) sembrano da un lato chiamare alla riscossa narratori capaci di rivendicare un «nuovo canone letterario multiculturale» (p. 24), come risposta al «razzismo inconscio» del canone occidentale, evidente soprattutto nella diffusa approvazione nei confronti di un ipocrita postcolonialismo – aiuti allo sviluppo, accordi bilaterali, interventi militari “umanitari” – «che altro non è che il colonialismo di sempre» (p. 17); mentre richiedono dall’altro un rilancio di procedure di uso pubblico della storia, tali da rendere intelligibile e quindi agibile un presente che spesso sfugge alla comprensione. Ascoltare dunque, ciò che ci giunge dall’Altro e dall’Altrove per farne ragione di critica alla monoliticità occidentale. Che però, a ben vedere, tanto monolitica non è né a livello continentale né sul piano nazionale, come certo Bovo Romoeuf e Manai avrebbero dovuto riconoscere se avessero operato l’ulteriore passaggio da una schema teorico che rischia di incartarsi nelle sue stesse premesse al piano etico-ideologico che fa da sfondo ai dibattiti storiografici, alla dialettica politica, ai temi gramsciani dell’egemonia. Un procedimento che li avrebbe probabilmente obbligati a declinare al plurale, e perfino in termini di interno antagonismo, concetti quali Occidente, sistema di valori occidentali, identità italiana. Monoliti incrinati perché sottoposti a dibattito in comunità tutto sommato ancora democratiche e liberali, nonostante un inconscio politico impregnato, anche a sinistra, di capitalismo neoliberista. Resta il fatto che guardare e guardarsi attraverso gli occhi dell’Altro, l’esperienza cui ci obbliga la letteratura postcoloniale, oppure articolare con vigorosa problematicità la relazione tra entità mobili quali memoria individuale, memoria collettiva e memoria ufficiale è un necessario apprendistato di apertura tollerante e di salutare spaesamento, in un contesto che inizia a profilarsi come post-nazionale e che deve quindi trovarci pronti a dialettizzare/relativizzare anche i principi primi (quanto poco lo si sappia fare mostra l’ozioso dibattito intorno al Presepe nell’Italia natalizia del 2015). Così, a fianco delle avventure dell’immaginario e dell’invenzione narrativa, dall’innegabile stimolo affettivo ed etico, non meno storia, ma più storia, come suggeriva Giovanni De Luna ne La ragione e la passione. Il mestiere dello storico contemporaneo (2004). Un saggio in cui – sull’orizzonte implicito di un progetto “neo-illuministico” di emancipazione politico-sociale che risente delle riflessioni di Habermas (a sfida tanto del pensiero neo-conservatore che del post-moderno) – si ribadiva la necessità di una storiografia ancora capace di secernere e diffondere robusti succhi civili mettendo in opera rigorosi filtri teorici per offrire alla discussione competente una trasparente proceduralità: analisi delle fonti, esame delle prove, deduzioni. Una “prova del nove” di correttezza metodologica in controtendenza rispetto allo sproloquiare populistico degli storici da terza pagina, quegli onnipresenti e saccenti “opinionisti” subalterni ai tatticismi della politica. Di seguito ora, per una più ricca informazione, l’elenco dei contributi di Memoria storica e post-colonialismo: M. Domenichelli, Gramsci, Said. Colonialismo, postcolonialismo: l’Occidente e le rivoluzioni islamiche del maggio 2011; L. Marrocu, “Africa, bel suol d’amore”: la memoria, la storia, il romanzo; F. Manai, Note su Conrad e il postcolonialismo italiano; M. Bovo Romoeuf, Vers un canon postcolonial multiculturel: les cas paradigmatiques de Gabriella Ghermandi e Martha Nasibù; G. Benvenuti, Memoria e métisssage nel romanzo italiano postcoloniale; V. Deplano, Come il colonialismo ha fatto gli italiani: “Tamira” tra storiografia e letteratura; G. Prioglio, Riflessioni a margine del rapporto storia-letteratura: il (post)coloniale italiano tra forclusione e afanisi narrativa; D. Comberiati, Fra metropoli e colonia: rappresentazioni letterarie degli italiani “insabbiati”; M. Actis-Grosso, Da una sponda all’altra del Mediterraneo: sguardi incrociati sull’esodo italo-libico; M. Marras, Alcuni elementi per la definizione letteraria di un postcoloniale sardo; M. Di Gesù, Un “oriente” domestico: ipotesi per una interpretazione postcoloniale della letteratura siciliana moderna; M.-F. Courriol, “Più turista che fascista”: mémoire colonial e figure du soldat dans le cinema italien contemporain; D. Guzzo, “Le rose del deserto”: la quarta sponda fra arditismo e colonialismo straccione; L. Mari, “Adwa” e i suoi figli: Etiopia anti-coloniale e post-coloniale nel cinema di Hailé Gerima; C. Greco, La costruzione del sé e dell’altro. Il caso del postcolonialismo italiano nel “graphic novel”: “Etenesh. L’odissea di una migrante” e “Ilaria Alpi. Il prezzo della verità”, G. Pias, Quando il genere “noir” sposa il postcoloniale.

 

 

Copertina

 

 

Martine Bovo Romoeuf e Franco Manai

Memoria storica e post-colonialismo

Il caso italiano

P.I.E. Peter Lang SA. Editore

Bruxelles, 2015, pp. 355, € 51,40