Michele Zacchigna narra una storia istriana

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di Silva Bon

 

Ho letto il libro di Michele Zacchigna (Umago, 1953 – Gemona, 2008), Piccolo elogio della non appartenenza l’altra sera, in poche ore, rapita dal ritmo della narrazione e dal messaggio, alto, problematico, che ho sentito come possibilità di condivisione.

Il libro mi è stato regalato da Annarita, moglie di Michele, come dono prezioso, e io mi sono avvicinata al testo con curiosità e con pudore, subito stimolata anche dalla elegante edizione che fa del volumetto un bell’oggetto da manipolare e da sfogliare, per la raffinatezza dei caratteri a stampa, il bel supporto cartaceo, il pulito e sobrio progetto grafico della copertina.

È il sottotitolo, Una storia istriana, a offrire la chiave di lettura di un testo fortemente autobiografico, che però, nelle esperienze fattuali di vita, ho sentito molto vicino, e in cui, credo, molti altri, uomini e donne appartenenti alla generazione dell’Autore, hanno l’opportunità di riconoscersi.

Michele Zacchigna parla di se stesso, delle proprie difficili esperienze giovanili, dei rapporti biologici primari in una famiglia che, abbandonata l’Istria, in seguito alle vicende note del secondo dopoguerra, vive precariamente a Trieste, nei campi profughi; manda il figlio bambino nelle colonie estive perché la condizione di difficile sopravvivenza non permette altre opzioni; evita l’emigrazione nelle lontane Americhe per le cagionevoli condizioni di salute del capofamiglia.

La nonna, il padre, la madre, però non hanno mai veramente lasciato la cittadina natale di Umago d’Istria: la loro mentalità, il modo di condurre la vita nella città giuliana, ribadiscono il senso del continuum dell’appartenenza al mondo che hanno dovuto e hanno comunque scelto di lasciare; loro non si sono mai del tutto inseriti a Trieste; vivono un dolore, che si è raggrumato in rancore per le offese subite, un nonno infoibato, la casa e le terre perdute, e che non si è mai sciolto, forse invece si è esasperato e acutizzato nello scontro con il figlio Michele, sessantottino.

E Michele ribadisce la propria individualità, il diritto a pensare e a vivere la propria vita con libertà, coltivando le proprie passioni politiche; sfruttando l’opportunità che gli è stata fortunosamente data di acculturarsi, di frequentare l’Università, di seguire l’esempio e l’insegnamento di Maestri illustri.

La non appartenenza, centrale nell’elogio cantato da Michele, è affermata verso/contro una ideologia, un sentimento che guarda, fissa, al passato, mentre lui si pone domande sulla responsabilità della discendenza, sui legami, così d’amore come di sofferenza, che si intrecciano in un piccolo mondo antico… e allora guarda con lucidità, con trasparenza alle occasioni formative della sua vita, riconosce un proprio filo esistenziale, fatto di indipendenza, di intelligenza, di propositività.

Prende in mano il proprio destino, tradendo con dolore, con consapevolezza, i messaggi fatti passare su di lui dai propri familiari, che comunque, con pietas, ama, comprende, accoglie; di cui vede la continuità nelle proprie sembianze fisiche, corporee, e, almeno in parte, anche psichiche. Ma la sua unicità di persona pensante, cristallina nell’analisi rigorosa e graffiante, è riconosciuta come un diritto, come forza indispensabile alla vita.

 

Copertina:

 

Michele Zacchigna

Piccolo elogio della non appartenenza

Una storia istriana

postfazione di Paolo Cammarosano

Nonostante Edizioni, Trieste 2013

  1. 68, euro 10,00