Mimmo Rotella, improvvisazioni visive

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A cento anni dalla nascita Roma celebra l’artista calabrese

di Michele De Luca

 

Mimmo Rotella (Catanzaro 7 ottobre 1918 – Milano 8 gennaio 2006) viene considerato come uno dei maggiori protagonisti dell’arte italiana del secondo dopoguerra. Trasferitosi a Roma nel 1945 per dedicarsi alla pittura – dopo un soggiorno americano nel 1951 e ’52 – comincia a strappare piccole porzioni di manifesti dai muri della città, brandelli di materia che porta nel suo studio, lanciando così il suo stile décollagista, nato da “una intuizione Zen”, come egli stesso soleva raccontare. A capire per primo la sua rivoluzione artistica sarà il poeta e critico Emilio Villa che lo invita a esporre in un barcone sul Tevere, evento cui seguirà una mostra alla Galleria del Naviglio di Milano. “Al mio ritorno dagli Stati Uniti – ebbe a dire – non volevo più dipingere. Scrivevo poemi fonetici. All’epoca, ascoltavo molto jazz e mi piaceva Dizzie Gillespie quando suonava il Bebop. Il mio atto di strappare i manifesti voleva dire alla gente: guardate che per le strade abbiamo dei magnifici musei, la segnaletica urbana è incomparabile. Il linguaggio più consono alla nostra epoca è quello pubblicitario”. È nella seconda metà degli anni Cinquanta che si dedica al décollage figurativo, lacerando immagini e ricomponendo colori e forme.

La sua è una improvvisazione visiva, un “imbrattare” i segni codificati per cambiarne il significato e il messaggio; un modo di controbattere, ad armi pari, i linguaggi della comunicazione di massa che andavano propagandosi in quegli anni. Questa, che non è una semplice tecnica, ma una sorta di nuova filosofia comunicativa, veniva così spiegata da Germano Celant nel presentare la grande mostra che gli venne dedicata nelle sale di Palazzo Reale di Milano nel giugno del 2014, intitolata “Mimmo Rotella. Décollages e retro d’affiches”: «Il décollage, come i suoi relativi papier collé e photomontage, è una questione di ritaglio, di articolazione e di accostamento. È un insieme frammentario che totalizza le sue componenti per rinviare ad un concetto o ad un racconto, ad un soggetto o ad un problema di un mondo possibile, ma nascosto e sotterraneo. Tale linguaggio di una profondità e di una località altra è servito fino agli anni cinquanta a praticare una sorta di scavo intuitivo da residui manifesti o superficiali. Ha funzionato come strumento di ricerca e d’interrogazione sui sintomi del pensare e dell’agire, sull’inconscio rispetto a se stesso e gli altri: l’uso di una somiglianza tra le cose e l’artista, dove gli scarti servono a enunciare una parte nascosta del reale e del soggetto».

Nel presentare ora la grande mostra “Mimmo Rotella Manifesto” alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (catalogo Silvana Editoriale), lo stesso Celant illustra come l’originale progetto di allestimento di questa esposizione scaturisca dalla architettura del Grande Salone centrale della Galleria Nazionale e interpreti lo spazio espositivo come una grande ‘piazza’ interna circondata da pareti o facciate di edifici, per proporre un’antologica dove le opere potessero fornire «un ampio spettro dell’estetica di Rotella, mettendo insieme tutti questi elementi – l’aspetto urbano del luogo, la spinta a concretare una retrospettiva con un numero elevato di opere – e considerando il caratteristico linguaggio dell’artista focalizzato sul manifesto, è emersa la concezione di ‘tappezzare’ la piazza e i suoi edifici con sei grandi cartelloni o billboards, dal formato in media 3 x 10 metri circa, come se il pubblico si trovasse a camminare e a fruire dell’opera di Rotella in un contesto cittadino».

Le opere scelte, oltre centosessanta, vanno a comporre sei grandi “insiemi-manifesto”, ognuno incentrato su una delle sperimentazioni più significative che l’artista ha inventato e il cui punto di partenza è sempre la rielaborazione del poster pubblicitario, offrendo, in un colpo d’occhio davvero suggestivo, una puntuale ricognizione sull’attività dell’artista, mettendo a fuoco le varie fasi della sua lunga vicenda creativa, che si estende dal 1953, anno delle prime sperimentazioni sul manifesto lacerato, per arrivare al 1964 quando Rotella partecipa alla XXXII Biennale di Venezia, analizzando un momento specifico o ormai maturo di massima ricerca a livello mondiale. «I lavori presenti nei sei insiemi-manifesto testimoniano», come afferma Antonella Soldaini, che insieme a Celant ha curato la mostra, «delle differenti tecniche adottate da Rotella negli anni. Si tratta di uno spostamento linguistico continuo che dimostra il forte gusto per la sperimentazione, tipico della personalità dell’artista. Osservando in maniera sincronica il suo excursus e potendo avere per la prima volta una panoramica totale del suo operato, si riesce a recepire la logica sottostante il fare di Rotella. Come una carrellata in slow motion la successione cronologica degli insiemi-manifesto permette di meglio comprendere le diverse fasi che l’artista ha attraversato durante la sua lunga carriera».

Il percorso dell’esposizione non manca di analizzare alcuni momenti fondanti dell’inizio della sua carriera, a partire da Roma, dove si trasferisce subito dopo il rientro in Italia dalla residenza alla Kansas City University e stabilisce subito un proficuo dialogo sia con la generazione precedente sia con i suoi coetanei, orientando definitivamente la sua sperimentazione nel rimodulare il poster quale “luogo” di partenza per l’approfondimento dell’aspetto materico che esso assume a contatto con la tela grezza, quale elemento primario per la costruzione di un immaginario astratto e come banco di prova per lo studio della forma che va a concretarsi sul retro del manifesto, tramite l’azione di colle e ruggini. Quella del maestro catanzarese è stata una ricerca assolutamente innovativa, per non dire “rivoluzionaria” e “provocatoria”, nel senso di distruggere, di dissociare e di disarticolare le cose, per poi funzionare come primo approdo verso una nuova visione del reale, che già da allora incominciava ad essere ed apparire dominato dall’irrealtà mediatica della pubblicità e dei nuovi strumenti di comunicazione, dalla radio al cinema e alla televisione.