Nelle mani di Erdoğan

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di Cristina Bonadei

 

C’era una volta un Paese musulmano che aveva fatto della laicità un fondamento identitario: la Turchia. Un Paese che progressivamente ha cambiato volto ed essenza, grazie alla svolta autoritaria del suo presidente. Cosa è accaduto e come si è arrivati a questa metamorfosi strutturale, la cui regia è nelle mani di Recep Tayyip Erdoğan, l’ uomo che in quindici anni è riuscito a cancellare anni di politiche liberali e filoeuropee? Ne abbiamo parlato con una giornalista che ha vissuto ad Istanbul per otto anni, e che le dinamiche sul Bosforo le ha vissute in prima persona, tanto da essere considerata una dei maggiori esperti, a riguardo. Qualche considerazione a margine del suo libro Il Reis, che analizza l’ascesa e il presente del leader turco.

 

Da leader a tiranno – così come si intitola il IV capitolo. Ma come ha fatto a diventare così potente?

Erdogan è diventato il Reis grazie al voto popolare. Successivamente ha da una parte saputo ben sfruttare il vuoto di potere che c’era in Turchia e che era stato creato da una classe politica inadeguata e corrotta. Dall’altra parte ha colto al balzo l’opportunità che arrivava dall’ingresso in Unione Europea e che gli avrebbe permesso di indebolire gli apparati laici dello Stato, che poi erano i suoi oppositori più efficaci. In un secondo momento, diciamo a spanne a partire dal 2011, è iniziata la sua deriva autoritaria. Erdogan ha cominciato a indebolire anche le correnti interne al suo partito Akp, fino a metterlo completamente sotto controllo. Contemporaneamente si è affacciato anche il sogno presidenziale e l’esuberanza internazionale che ha prodotto in lui ambizioni egemoniche.

Chi lo sostiene?

Erdogan in politica estera e in politica interna tende a essere indicato nelle alleanze. Il bacino elettorale del suo Akp, soprattutto dal 2007 al 2013 è stato alquanto variegato, formato soprattutto dalla borghesia anatolica ma anche da tutta quella classe imprenditoriale che apprezzava il suo programma economico di liberalizzazione e apertura ai mercati esteri. In mezzo, ovviamente, c’era anche un elettorato più conservatore e radicale, che ha iniziato a trovare sempre più spazio per esprimersi fino a entrare di diritto anche nelle correnti e nei posti di dirigenza del Partito.

Il fallito colpo di Stato del 2016 rappresenta una modificazione genetica degli apparati del Paese?

Il golpe del 2016 ha lasciato delle tracce profonde, determinando un vero punto di non ritorno nel Paese. Non solo per le purghe che hanno cambiato e cambieranno letteralmente il volto della burocrazia e le classi dirigenti sul lungo termine, ma anche per l’impatto che questi cambiamenti avranno sulla società. Ci sono centinaia di insegnanti e imam rimossi, saranno sostituiti con persone gradite al nuovo ordine costituito e si tratta di figure che hanno un ruolo centrale nella formazione della società civile di domani. Il problema è che questo golpe lascia anche una situazione solo apparentemente sotto controllo. Le tensioni nel Paese sono tante, all’infiltrazione di Isis alla questione curda. Tutte cose che prima o poi scopriranno. Senza contare l’economia che non è più quella di una volta e che ha sempre rappresentato uno dei motivi del successo elettorale di Erdogan.

Cosa poteva fare l’Europa per contenere la spregiudicatezza di Erdogan sul piano internazionale?

L’Europa di errori con la Turchia ne ha fatti a decine quello dell’accordo sulla questione migranti è il più clamoroso e l’ultimo solo in ordine di tempo. Di fondo il club di Bruxelles ha deciso di girare la testa dall’altra parte, non ha voluto raccogliere le sfide che la regione mediterranea che sta cambiando volto impone. Pur di non trovare una soluzione condivisa si è messa nelle mani di Erdogan, che non aspettava altro che avere una merce di scambio per fare valere le sue condizioni. Come sempre però sta chiedendo troppo. Crede che la minaccia di aprire le frontiere lo autorizzi ad accampare pretese sempre più vincolanti e dove soprattutto la possibilità di mediazione da parte di Bruxelles è molto ridotta. Credo che proprio il capitolo migranti dovrebbe essere l’occasione per l’Unione Europa per ritrovare una coesione interna e un progetto sul futuro.

 

 

 

Copertina:

 

Marta Ottaviani

Il Reis. Come Erdoğan

ha cambiato la Turchia

Textus Edizioni, L’Aquila 2016

pp.350, euro 17,50