Non luogo a procedere

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Il nuovo romanzo di Claudio Magris

di Anna De Simone

 

”Hanno scaricato le immondizie in mare, nel vallone, ci hanno scaricati qui… l’acqua non dev’essere molto profonda ma andiamo giù giù, gettare immondizie in mare è reato e anche gettare uomini, ma il giudice dichiara non farsi luogo a procedere”

Claudio Magris, da Non luogo a procedere, p. 360

 

 

Prima di tutto: un grande grazie a Claudio Magris per lo splendido regalo che ci ha fatto con il suo nuovo romanzo, Non luogo a procedere, un libro bellissimo, profondo e coraggioso, attraversato da storie di guerra, di amore e di morte, da accadimenti reali, da vicende e situazioni altamente drammatiche. Un libro che ho letto, meditato e amato da subito. Si tratta infatti di un’opera straordinaria nella sua verità e nella sua dolorosa rappresentazione/evocazione di atti di crudeltà e torture atroci subite dai prigionieri rinchiusi nella Risiera di San Sabba a Trieste, cuore nero di quella città, il solo lager nazista che l’Italia abbia avuto. All’interno di quest’edificio cupo e tozzo sono successi fatti di cui ci si vergogna ancora oggi: come il fumo che usciva dal camino della Risiera: acre, scuro, nausabondo. Ma pare che nessuno a Trieste se ne fosse accorto o almeno si fosse interrogato sulla sua provenienza. Le scritte lasciate dai prigionieri sui muri di quella fabbrica della morte sono state cancellate con una mano di bianco. Come se nulla fosse accaduto. Ma qualcuno aveva visto, letto e copiato sui suoi taccuini quelle scritte. Questo qualcuno è il protagonista maschile del romanzo, un personaggio singolare, per il quale Magris si è ispirato in parte a “una persona realmente esistita e di grande spessore, Diego de Henriquez, un geniale e irriducibile triestino” (p. 362), che ha passato la vita a mettere insieme armi di ogni genere per creare un singolarissimo Museo della Guerra in funzione della pace. Un’impresa ciclopica, la sua, che si è chiusa con l’incendio del luogo in cui viveva. Un rogo provocato quasi certamente ad arte per distruggere ogni testimonianza dei delitti perpetrati nella Risiera. Questo personaggio fuori dagli schemi aveva dormito sempre dentro una bara, e l’incendio se lo portò via con i suoi segreti e le sue scoperte. Impossibile, quindi, per i giudici condannare i responsabili di quanto era successo. L’archivista aveva previsto di riempire con il materiale raccolto tutte le sale del Museo e di corredare ogni oggetto con una descrizione. Ad esempio, nella Sala n. 15 aveva pensato di mettere archi da frecce di diversa lunghezza e provenienza: “L’ascia di pietra verde ornata di piume, dal manico di legno Nazareth (Bignonia), proviene probabilmente dai Tumanà, un’altra popolazione india” (p. 61). Aveva predisposto ogni cosa lavorando per molti anni a quel progetto. “La Storia è tutta una crosta di sangue, grattarla via ormai è impossibile, ma forse sotto quell’escrescenza c’è ancora vita, acqua che scorre, un cuore che ama”.

La protagonista femminile del romanzo è Luisa, una creatura dolcissima e coraggiosa che dopo la morte dell’archivista, sarà incaricata di realizzare il progetto di un Museo della Guerra, che la fondazione vorrebbe assomigliasse a un bel teatro. Come se fosse possibile dimenticare tante atrocità. La sparizione dei taccuini dell’archivista, secondo Luisa, “è la chiave, il pezzo forte di tutta quella storia – ce ne fossero anche alcuni sugli odori della Risiera, odori di prima e di dopo, di celle piene e vuote, degli abiti in lavanderia, delle immondizie bruciate” (p. 169).

Luisa è figlia di un’ebrea triestina e di un soldato afroamericano, morto in un banale incidente di volo, sulla pista dell’aeroporto di Aviano. Porta dunque in sé “un’eredità dei due esili plurisecolari che si erano fusi in lei dopo aver attraversato il deserto e il grande mare” (p. 16). I ricordi d’infanzia di questa creatura quasi stilnovistica sono lampi di felicità, una felicità fatta di nulla, che nessuno, morto suo padre, le avrebbe mai più regalato. Il pensiero del Museo della Guerra occupa ormai tutte le sue giornate, ma i dubbi, le incertezze e l’inquietudine non cessano di dominare la sua mente. La narrazione procede quindi su due binari paralleli: uno è quello percorso dall’archivista del Museo della Guerra nella sua attività insonne in funzione della pace, fino alla tragica notte del rogo. L’altro binario vede Luisa in primo piano: lei vorrebbe realizzare al meglio quanto era nei propositi del professor Diego de Henriquez e lavora infaticabilmente per valorizzare al massimo l’immenso materiale accumulato da lui negli anni. Per quanto riguarda la sua famiglia, il ricordo dei genitori non abbandona mai Luisa, che ricostruisce, tassello dopo tassello, una vicenda familiare angosciosa e inquietante, forse la causa prima della tristezza di sua madre. Luisa invece ha come riferimento costante solo l’amore. Come diceva nel suo De reditu, tanti secoli fa il poeta latino Rutilio Namaziano: “… pulsato notae redduntur ab aethere voces, / vel quia perveniunt, vel quia fingit amor” (… l’aria, percossa, mi rende voci note, / volino qui davvero o sia, a plasmarle, l’amore”, R. N. , De reditu suo, 1, 201-204, trad. A. Fo).

Sull’amore Magris ha scritto pagine meravigliose, che da sole fanno di questo romanzo-poema un capolavoro: «… La loro vita era divenuta un giardino aperto, un giardino di corse e di giochi. […] Luisa non l’aveva mai vista dopo, così». Felice era stata Sara, sua madre, fino a quando aveva vissuto tra i boschi e il mare. «Per quanto tempo felice? Sì, felice. Felice e ignara». Quanto sarebbe durato quello stato di grazia?

Amore e morte si inseguono e fuggono l’uno dall’altra nel romanzo e nella vita della protagonista e di tutti noi; sono squarci d’azzurro, è una stretta di mano sincera o un sorriso fatto di niente, simile alla “luce di certe sere. Ma forse la felicità se ne sta nascosta proprio in quel niente.”(p. 224). All’improvviso, dopo un lunghissimo letargo, ci si risveglia e ci si accorge che il mondo si è rinnovato: “Senza cercare nulla e dopo tanta strada d’inverno, / un giorno ci svegliamo e siamo la primavera / non abbiamo bisogno di altro…” (Carlo di Francescantonio, da Millenni, in Memoriabilia, Zona Ed. 2016, p. 113).

 

 

Si propone di seguito una pagina del romanzo di Claudio Magris, centrata sulla figura di Don Marzari, che all’indomani di torture indicibili viene liberato e dà il segnale dell’insurrezione antinazista a Trieste: sono le cinque e trenta del 30 aprile 1945.

 

CINQUE E TRENTA DEL 30 APRILE DEL 1945

 

Don Marzari liberato nella notte precedente dalle carceri del Coroneo, dove era stato portato dopo le torture subite a Villa Triste dalla banda Collotti, dà il segnale dell’insurrezione antinazista con due fischi della sirena antiaerea. Due fischi e l’insurrezione ha inizio. L’arbitro fischia l’inizio (di cosa? della libertà, del fratricidio, della pace?) o la fine? Due fischi, è l’ora della libertà e della morte, forse il porto e l’intera città salteranno in aria. La libertà è un ultrasuono, ti scoppia dentro, ti fa a pezzi, tanti pezzi, uno sull’altro, uno contro l’altro […] Don Marzari è stato appena liberato dalle carceri del Coroneo, la tortura subìta a Villa Triste perfora ancora il suo corpo come un fischio lacerante; rompe il timpano, attraversa il cervello. La spalliera della rudimentale ma efficace sedia elettrica è alta […] La corrente elettrica attraversa il corpo, un impulso dopo l’altro, regolare, folle, insostenibile – il mondo scoppia nella testa e nel cuore. Dio è una parola che fuochi d’artificio sparano e disegnano un attimo nella notte e subito esplode e sparisce. Notte oscura. Il sudore di sangue è una secrezione; cosa avrebbe fatto, detto, gridato Gesù con il cavo della corrente elettrica in bocca. La banda Collotti lavora bene. Cervello, cuore, fede si spappolano eppure l’uomo di Dio abbandonato da Dio non molla […] Lui vorrebbe scendere dalla croce ma la sua carne, la sua fede divenuta carne dice di no al grido, alla supplica, al comando del suo cervello e del suo cuore martoriato e lui non dice niente. L’aguzzino non gli cava niente dalla bocca arsa dalla lava e così, liberato con un colpo di mano, alle 5,30, ancora barcollante, confuso, don Marzari dà l’ordine di lanciare quei due fischi convenuti” (pp. 242-243).

 

Claudio Magris

Non luogo a procedere

Garzanti, Milano 2015

  1. 368, euro 20,00

 

Foto di Fabio Rinaldi