OMBRE DIFFUSE A MIRAMARE

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di Maria Irene Cimmino

 

Andrea Ribezzi, triestino, ha legato il suo nome alla serie poliziesca che ha per protagonista l’ispettore Massimo Ravera. Nel 2009 è uscito Sette fine, la prima indagine dell’ispettore Ravera e l’anno successivo Eredità Blindate, l’ispettore Ravera indaga entrambi per i tipi di Ibiskos Editrice Risolo. L’ultimo in ordine di tempo, Ombre diffuse, l’ispettore Ravera e l’intrigo di Miramare edito da Luglio Editore completa ora la trilogia.

L’autore ha tratto ispirazione dal suo lavoro di ispettore di polizia e dalla sua passione per la Storia per disegnare le trame dei suoi romanzi, tutti ambientati a Trieste a metà degli anni ’90, anni testimoni della dissoluzione della Jugoslavia. Il periodo storico è stato scelto non casualmente in quanto uno dei più controversi e complessi nella storia della città: allora il confine che correva a pochi chilometri dal suo centro urbano, segnava lo spartiacque non solo di un territorio fra Est e Ovest, ma fra due mondi distanti e antitetici facendo di Trieste un unicum nel panorama geopolitico e sociale d’Italia e dell’intera Europa. Gli echi non ancora sopiti della seconda Guerra Mondiale, i continui rovesciamenti di fronte, le trame occulte, lo spionaggio internazionale e gli intrecci della malavita costituivano un mondo che ora non esiste più e sul quale molto resta da scoprire ancora.

La Storia e la città di Trieste non semplici quinte dunque, ma protagoniste a pieno diritto dei suoi libri.

Nel 2011 Andrea Ribezzi pubblica un noir storico: Ciliegie in Autunno (Ibiskos Editrice Risolo) la cui trama fa emergere le tragiche vicende legate all’isola di Goli Otok, campo di rieducazione degli oppositori titini. Un suo racconto Il sorriso della Polena pubblicato nella raccolta Nero13 da Libra Edizioni nel 2012 diventerà presto testo teatrale.

In Ombre Diffuse, sua ultima fatica letteraria, i fatti prendono spunto dall’omicidio di un ricercatore presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Miramare su cui Ravera inizia a indagare anche se non ufficialmente incaricato.

Ma, come spesso accade, nulla è come sembra: parallelamente alla morte dello scienziato si innescano una serie di avvenimenti che, partendo da presupposti diversi e lontani, finiranno poi per trovare una convergenza. Ravera, riappropriandosi della veste che maggiormente gli si addice, e accettando malvolentieri le rigide regole imposte dalle indagini ufficiali, scopre un vaso di Pandora dagli sviluppi imprevedibili in un mondo dove tutti hanno qualcosa da nascondere. Si lancia come sempre a capofitto nell’inchiesta che si addentra nel sottobosco della prostituzione e dello spaccio di stupefacenti e coinvolge anche i traffici illeciti internazionali e i servizi segreti della ex Jugoslavia.

L’ispettore, ricorrendo al suo fiuto investigativo e con l’aiuto dei colleghi (i quali nonostante gli attriti, sono sempre pronti a sostenerlo e a perdonargli i colpi di testa), cercherà di sbrogliare le intricate matasse che non toccano solo vicende giudiziarie, ma pure i sentimenti delle persone, le loro tragedie personali, mantenendo uno sguardo attento alla fragilità dell’essere umano, ai suoi segreti spesso inconfessati, e persino alle esagerate ostentazioni.

L’analisi a volte spietata del male si accompagna a una spasmodica ricerca della verità, là dove molti fingono di non vederla.

La trama, in linea con le vicende narrate, prende vita in una Trieste minore, per nulla iconografica, lontana dagli sfavillii e dalle immagini da cartolina; grazie alla forma dialogata (cifra stilistica dello scrittore), le persone si svelano lentamente al lettore con le parole e i gesti, in tutta la loro umanità e le loro miserie.

Figura centrale del racconto è ancora una volta il nonno Settimo che rientra da protagonista come memoria storica e per sostenere il nipote nei momenti più difficili: un confronto/incontro generazionale dal forte valore simbolico per imparare a mitigare le esuberanze con saggezza e umiltà e soprattutto a coltivare l’arte del dubbio.