Palcoscenici in zona gialla

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Avviata la stagione di prosa, con qualche apprensione dovuta alla pandemia

di Paolo Quazzolo

Proseguono a ritmo serrato le programmazioni dei teatri di prosa cittadini, nonostante la pandemia abbia decretato il passaggio della regione in zona gialla. I primi timori di dover nuovamente ricorrere al dimezzamento della capienza sono stati sventati dalle nuove regole che, in virtù dell’effetto positivo sortito dalle vaccinazioni, hanno consentito di mantenere il tanto agognato cento per cento dei posti disponibili. Nonostante ciò, è pur vero che il pubblico continua a manifestare un certo timore nell’entrare a teatro, sebbene i gestori delle sale abbiano immediatamente messo in opera tutti gli accorgimenti richiesti dalla legge, volti a tutelare i frequentatori. Ma è innegabile: nelle sale si continuano a vedere numerose poltrone vuote, simbolo di un’abitudine che fatica ancora molto ad essere ripresa, nonostante la nostra città, come ben noto, possa contare su un pubblico numeroso e appassionato.

Cominciamo dunque con la Contrada, sul cui palcoscenico si sono visti alcuni spettacoli divertenti e proprio per questo, in un periodo certamente non facile, molto apprezzati dal pubblico. Il rompiballe, ormai un classico della risata di Francis Veber, ripropone sulla scena la celebre “maschera” di François Pignon, uomo sciocco che con la sua dabbenaggine finisce per provocare danni irreversibili. Deciso a porre fine ai suoi giorni a seguito di una delusione amorosa, Pignon si chiude in una camera d’albergo che confina con quella di un killer, qui giunto per uccidere un importante personaggio pubblico. Inutile dire che, in una irrefrenabile girandola di equivoci e malintesi, il progetto del killer verrà inconsapevolmente rovinato da Pignon. Tutti bravi gli interpreti, a partire da Paolo Triestino e Giancarlo Ratti a capo di una compagnia molto affiatata.

Sempre sul palcoscenico del Teatro Bobbio, è stato proposto uno dei più grandi testi del teatro comico francese, Il malato immaginario, estremo capolavoro di Molière. A cimentarsi con il difficile ruolo di Argante è stato Emilio Solfrizzi, attore ben conosciuto dal pubblico televisivo, ma che non ha deluso neppure in palcoscenico. Lo spettacolo, coprodotto dalla Contrada e diretto da Guglielmo Ferro, ha proposto numerose interpolazioni al testo, ora aprendo alcuni tagli, ora aggiornando le battute a un contesto più vicino a noi. Il risultato è stato uno spettacolo molto gradevole che scorre via rapido, anche grazie alla presenza di una compagnia ben rodata. Gradevoli la scenografia di Fabiana Di Marco e gli eleganti costumi di Santuzza Calì.

Anche sul palcoscenico del Politeama Rossetti si è visto uno dei grandi testi di Molière, Tartufo, una commedia che narra l’inquietante storia di un raggiro ai danni di un uomo troppo ingenuo e credulone. Un testo che, nonostante i suoi trecentocinquanta anni, conserva intatto tutto il graffiante vigore perché, ahimè, l’uomo non è mai cambiato e i suoi vizi si ripetono sempre uguali nel corso del tempo. Diretto da Roberto Valerio, Tartufo è stato ambientato nella più stretta contemporaneità, con una scelta che avrebbe potuto essere vincente, se solo si avesse avuto il coraggio di andare fino in fondo, adeguandone anche il linguaggio. Stridono infatti gli abiti contemporanei con un padre che dà del voi ai figli; stride la presenza di una suocera “pistolera” (peraltro molto divertente) con una situazione drammaturgica che difficilmente la rende credibile in questi panni; stride il bigotto Tartufo molieriano con il presunto guru avverso al mondo materialistico, che vediamo sulla scena di questa edizione. La compagnia trova sicuramente in Roberto Valerio (che oltre a firmare la regia veste anche i panni dello sventurato Orgon) il suo interprete migliore. Dignitoso, ma nulla più, il resto del cast.

Di tono completamente diverso Piazza degli eroi, l’ultimo testo drammatico di Thomas Bernhard, che viene proposto per la prima volta in Italia in una coproduzione degli Stabili di Napoli, di Toscana e del Friuli Venezia Giulia, per la regia di Roberto Andò. Un testo, come tutti quelli di Bernhard, molto impegnativo, graffiante e volto a denunciare, senza troppi velami, i rigurgiti nazisti di un Paese – l’Austria – che sembra non aver perso del tutto il vizio. Violentissime, a tal proposito, le tirate del protagonista, il professor Robert Schuster, splendidamente interpretato da Renato Carpentieri. Un testo che, al suo primo apparire nel 1988, suscitò inevitabilmente grande clamore presso il pubblico viennese, ma che spinge tutti noi a meditare, ricordandoci che gli orrori del passato potrebbero sempre ripresentarsi. Il testo, presentato poco prima della scomparsa di Bernhard, probabilmente non ebbe il tempo di essere liberato dall’autore da una serie di eccessive lungaggini e ripetizioni che rischiano di smorzarne l’efficacia.

Il delirio del particolare, proposto dal Centro Teatrale Bresciano e dal Teatro Biondo di Palermo, è un affascinante atto unico, ricco di poetiche citazioni, scritto da Vitaliano Trevisan in omaggio al grande architetto Carlo Scarpa. Sulla scena si immagina che, dopo tanti anni, ritorni nella villa che Scarpa progettò per un importante imprenditore, la vedova di quest’ultimo, forse per venderla. La donna – splendidamente interpretata da Maria Paiato – si lascia cogliere da una sorta di vero e proprio flusso di coscienza nel corso del quale si intrecciano sentimenti di vario genere, primo fra tutti il rapporto intellettualmente elettivo con il grande architetto. Al fianco della protagonista si muovono, con altrettanta incisività, Carlo Valli nei panni del professore di storia dell’arte e Alessandro Mor in quelli del segretario-badante della vedova. Bella la regia di Giorgio Sangati, ricca di evocazioni e magiche atmosfere.