Per caute sopravvivenze

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Un piccolo dizionario

di Malagigio

 

 

CAMERIERE

 

Persone disposte ad esercitare il nobile mestiere del cameriere pare stiano diventando più rare dell’acqua nel Po. I padroni dei ristoranti sanno a chi dare la colpa: al reddito di cittadinanza (in media 500 euro per ogni fortunato). Il reddito di cittadinanza toglierebbe la voglia di lavorare ai disoccupati, riottosi ad accettare condizioni su cui non ci dovrebbe essere nulla da dire, almeno secondo le leggi platoniche dell’economia.

Prendiamo la rinomata Portofino: per non più di dieci-dodici ore di lavoro al giorno – sabati, domeniche e notti comprese – un cameriere guadagna 1300 euro al mese: un po’ più di quattro euro all’ora. Va di moda darne almeno una parte in nero.

Uno dei camerieri più coraggiosi, intervistato da La Stampa, ha espresso la sua grande speranza: non avere mai bisogno di un dentista. Certo ci saranno non pochi dentisti a Portofino, che come tutti gli altri turisti si concederanno meritatissimi spritz da 14 euro, costo che dovranno pur ammortizzare.

Al Belmond Hotel, una stanza vale anche 2.760 euro a notte: chi lavora alla reception, con lo stipendio di un mese, può affittarla per un pomeriggio: ma il Belmond accetterebbe mai di essere un albergo a ore? Ciò che giustamente indispettisce gli imprenditori è che la congiuntura per il turismo è ritornata da essere eccellente. Finito il Covid – così è bene credere –, soprattutto i benestanti sono tornati ad andare in vacanza. Proprio il Covid è stata una manna in tutto il mondo: la cicogna in questi due anni ci ha portato un nuovo miliardario ogni trenta ore (e un milione di poveri). In soldoni, 19.573 persone sono diventate miliardarie (rapporto Profiting from Pain, pubblicato da “Oxfam International”). E vogliono giustamente andare a Portofino. Quest’incremento ci fa sperare: a questo ritmo, in 80.000 anni diventeremo tutti miliardari, e potremo pagare il dentista. Ma allora davvero nessuno vorrà fare il cameriere. Prolifereranno ristoranti e boutique self-service: come i McDonald’s. O bar con vista mare in cui miliardari serviranno spritz ad altri miliardari, sempre che abbiano voglia di lavorare.

 

 

FIUME

 

Prima o poi tutti i vocabolari della lingua italiana dovranno riscrivere la definizione del lemma fiume. La Treccani dice ancora «corso d’acqua continuo, con portate più o meno costanti», ecc. Già qui non ci siamo, sarà stato così una volta: i fiumi italiani si stanno facendo molto incostanti e soprattutto tendenti al secco.

In compenso, al posto dell’acqua, che non solo per l’aurea filosofia taoista è l’esempio di ogni possibile perfezione, i fiumi si stanno riempiendo di sostanze interessanti. Siccome i consumatori di sostanze stupefacenti fanno la pipì come tutti noi altri mortali, solo in un tratto del Po – a monte di Pavia – l’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano ha trovato l’equivalente di quattro chili di cocaina al giorno: fanno una tonnellata e mezzo all’anno.

Si tenga conto che il 5% della cocaina che arriva nei fiumi con la pipì è pura. I pesci ignari ne stanno approfittando. Le anguille soprattutto, ma pare che tutti i pesci dei fiumi siano ormai costretti a uno sballo permanente. Diventeranno tutti pesci volanti, o magari piranha? Temiamo che moriranno prima. Però abbiamo imparato da Darwin che non si può mai dire. Questo malgrado i fiumi siano anche conditi da una notevole quantità di antibiotici, antinfiammatori, analgesici, ecc.

Potrebbe diventare vantaggioso per gli spacciatori andare direttamente a recuperare le droghe drenando i fiumi. Sarebbe un buon esempio di quell’economia circolare a cui tutti aspiriamo.

Quanto ai pesci, non può non tornare in mente quel famoso brano dell’Amleto a proposito dei «vermi politici»: lì quel principe malmostoso immagina che un verme, che si è nutrito del cadavere di un re, venga usato da un pescatore come esca: catturato il pesce che ha mangiato quel verme, questo nutrirà un mendicante, che defecherà il suo re. A noi sta capitando con la cocaina: credi di cucinarti una trota al cartoccio, e ti ritrovi a degustare la pipì di un assessore allegro.

 

 

GRATIS

 

I migliori esperti di ciò che è gratis sono quelli che lo vendono. Woody Allen saggiamente diceva che la frase più bella non è «Ti amo» ma «È benigno». Ti amo è in lizza per il terzo posto, forse. La seconda frase più gradita è sicuramente «È gratis». Nella solita America che ama gli esperimenti sociali, si fece la prova del cioccolatino: già nel 2007, sulla rivista Marketing Science (dunque il marketing è una scienza), si veniva a sapere che la stragrande maggioranza delle cavie, tra un pessimo cioccolatino gratis e uno ottimo a 13 centesimi, preferì quello gratis. Gli ammaliati dal gratuito risparmiarono pochi spiccioli, quelli che scelsero il cioccolatino ottimo e costoso risparmiarono molto di più, ma in cambio di ben 13 centesimi. Tra regalato e quasi regalato pare dunque che non abbiamo dubbi. Questa malìa gli esperti la chiamano «effetto prezzo zero».

L’incantesimo finisce appena dal gratis si passa a un prezzo anche infimo. Di colpo torniamo tutti razionali. Si rifece infatti l’esperimento del cioccolatino facendo pagare quello cattivo un solo centesimo e quello ottimo quattordici: tutti scelsero il cioccolatino buono.

La cosa la sperimentiamo facilmente quando compriamo qualcosa da un negozio on-line. Tra un rivenditore che ci garantisce la spedizione gratuita e un altro che ce la fa pagare, non abbiamo dubbi. Anche se il primo ci fa pagare la merce più cara di quanto ci costerebbe se la comprassimo dall’altro rivenditore con tutte le spese di spedizione. Questo l’aveva già studiato l’agenzia di marketing – che è una scienza – Walker Sands. Facile immaginare come queste irrazionali logiche umane funzionino in politica. I partiti del Gratis vinceranno sempre tutte le elezioni possibili. Il politico di successo è quello che ci persuaderà che si potrà mettere una toppa al cambiamento climatico, alla disoccupazione, alle guerre, alla povertà e alla morte gratis. Prima che una proposta economica, gratis è dunque uno stato d’animo, come forse tutta l’economia.

 

 

SEMPLICE

 

Semplice è un lemma complicato da definire. Leggiamo, nel dépliant e nel sito di un bagno estremamente curato del Salento (1.500 euro al giorno) che, certo, vi accede una clientela di un certo livello, ma che non c’è da spaventarsi. Vi si troveranno affezionati imprenditori, professionisti che sanno il fatto loro, industriali che godono con la famiglia il riposo del guerriero, ma anche «semplici impiegati».

La liberalità dei gestori è encomiabile: di fronte a 1.500 euro possono avere il loro gazebo con cocktail e asciugamani dello stabilimento anche gli impiegati «semplici». E immaginiamo anche gli operai, i contadini e perfino i percettori di redditi di cittadinanza. Chissà perché un imprenditore non può essere un «semplice imprenditore». Pirandello e Svevo ci hanno insegnato in compenso che sono esistiti impiegati notevolmente amletici. Il dizionario Treccani ci dice che il contrario di «semplice» è «complesso». In che senso allora un industriale sarà per definizione «complesso»?

Azzardando per un attimo di stare sulla cima della scala sociale: si concederà che uomini di abnorme successo come Berlusconi e Trump appaiono tutt’altro che complicati. Potremmo dire che la loro ostentata semplicità sia una delle chiavi della loro fortuna. Del resto si dice che è del genio avere un’idea sola: a due già si distrae.

Pare che Gesù preferisse i «semplici». Ma Machiavelli nel XVII del Principe già ci avvertiva che «sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare». Già Calandrino – lo scemo proverbiale di Boccaccio – nel Decameron è definito «uom semplice e di nuovi costumi». Quindi molto presto, nella nostra cultura, «semplice» prese a intendere scemo. Nei Promessi sposi, la monaca di Monza, per sua fortuna, è circondata da suore «semplici e lontane da ogni intrigo».

Potranno accedere al prestigioso bagno del Salento anche i semplici nel senso di scemi? Di fronte a 1.500 euro chi chiederebbe il quoziente intellettivo o la pagella della terza media?

 

 

REFERENDUM

 

È un lemma che conserviamo dal latino, ma forse ormai dal latinorum, come lo chiamò il Renzo Tramaglino dei Promessi sposi. È quel tipo di consultazione in cui, in Italia, si chiama il popolo per dire sì o no a una legge che esiste già. Pare sia sempre più demodé. A differenza delle elezioni, in cui può anche non andare a votare nessuno (è accaduto recentemente in alcuni comuni), il referendum è valido solo se si esprime almeno il 50% più uno degli italiani che hanno il diritto di voto.

Nella gran parte, i giornali coi loro editorialisti hanno commentato la recente diserzione ai cinque referendum sulla giustizia, affermando che è proprio il referendum il problema. Magari è solo un problema di come ci scrivono le domande.

Per esempio, ci si chiedeva: «Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3….», eccetera.

Leggiamo l’inizio di un altro: «Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (…), a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?». Dopo il Volete voi anche Pico de Paperis si perde.

Non è un caso.

Quando il governo Renzi s’impegnò febbrilmente per un referendum che avrebbe addirittura cambiato la Costituzione della Repubblica, il quesito era questo: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?». Qualcuno obiettò che la Costituzione riformata in quel modo diventava molto più difficile da capire. L’allora – e attuale – ministro alla cultura Franceschini obiettò che non era poi così necessario che gli Italiani capissero il testo parola per parola: bastava il senso. C’era di che allarmarsi. Sarà in tutto il mondo così?

Quando in Scozia i cittadini vennero chiamati a esprimersi addirittura sulla secessione dalla Gran Bretagna, la domanda era questa: «Should Scotland be an independent country?», e cioè «La Scozia dovrebbe essere un paese indipendente?». Fine.

La nostra Corte Costituzionale, che è quella che giudica se le domande congegnate per eventuali referendum sono scritte a modo, avrebbe bocciato. Troppo chiari. E poi immaginarsi che vuoto legislativo… Il «vuoto legislativo» è il terrore della nostra Corte Costituzionale.

E infatti, dei sette referendum proposti, ha cassato quello sull’uso libero dell’hashish e quello sul fine vita: vedi caso, gli unici due che gli Italiani avevano capito.

C’è probabilmente una lunga storia dietro, che qui si potrà appena accennare, Quando Martin Lutero sconquassò la Chiesa cattolica, una delle sue affermazioni cardine fu che la Bibbia è un libro facilissimo, almeno per chi è illuminato dalla Grazia di Dio. Ma allora i preti che ci stanno a fare?, obiettò la Chiesa cattolica. Per i cattolici infatti la Bibbia è un libro difficilissimo, che necessita di specialisti, i preti, per renderlo comprensibile ai semplici. Ecco, sono cinquecento anni che ci siamo abituati che, quando si parla di cose serie, vanno espresse in Difficilissimo. E che ci vogliono i preti per capirne il senso. Gli altri però, quando parlano con la Legge, devono stare attenti alla lettera.