Per caute sopravvivenze

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Un piccolo dizionario

di Malagigio

 

EVIDENZA

Nessuna paura, restiamo comodi: non esiste. Se non si potesse negare l’evidenza, saremmo tutti morti. Molti conosceranno la storiella del potente funzionario sovietico trovato dalla moglie a letto con l’amante. La moglie strepita, maledice, piange, mentre il marito nega impassibile di essere a letto con l’amante, che è lì accanto a lui. «Insomma», a un certo punto la interrompe, «credi a me o a quello che vedi?».

Aristotele insegnava che di ogni cosa restano solo le storie (mìthoi). Per raccontare bene una storia ci vuole una musa: Clio, la musa della Storia. Alla bella Clio, quando racconta storie campate in aria, non cresce il naso come a Pinocchio. Se anche accadesse, potremmo non avere voglia di notarlo: nel caso, crederemmo a lei che ci dice di avere sempre un nasino alla francese o a quello che vediamo?

Che tutte le storie che raccontiamo siano almeno un po’ bugiarde è il cuore della poetica dell’Orlando furioso. A un certo punto, Ariosto avverte il suo principe così: guarda che di te si ricorderà solo quello che racconto io, e se oggi tutti credono che Nerone fu l’avo meno pazzo di Trump, è solo perché non seppe «gli scrittor […] tenersi amici»: regolati.

Gli avvocati esistono per ricavare dai cosiddetti fatti la storia più vantaggiosa per i loro clienti. Le storie migliori costano care. Ai tempi della Grecia antica, gli insegnanti degli avvocati si chiamavano sofisti: erano bravissimi: persuadevano chiunque che le frecce restavano ferme per aria e che Achille era più lento delle tartarughe. Non esistono evidenze, esistono avvocati. Oggi si negano le elezioni appena le si perdono. Pretendere di difendersi da sé può essere avventato. Meglio affidarsi ai professionisti.

 

MONARCHIA

Il lemma monarchia è fatto da due parole greche e vuol dire potere (archìa) di uno (mònos), ma un’etimologia avventurosa – se le congegnavano Isidoro di Siviglia (Etymologiae sive Origines) e Ugaccione da Pisa (Derivationes) perché non Malagigio? – può farci pensare che la monarchia sia il potere di un solo mona: nel senso veneto della parola. In tale secondo senso, la monarchia ci è indispensabile.

Dato un parlamento che fa le leggi, un governo che le mette in pratica e un sistema giudiziario che controlla (nel mondo perfetto è così), a cosa servirebbe un re o una regina? Al quarto potere, che non è la stampa ma il pettegolezzo.

In ogni Paese dovrebbero essere chiari i doveri dell’indispensabile famiglia reale, dal momento che viene mantenuta in regge fastose a far niente: come un albero di Natale lasciato sfavillare tutto l’anno, le stirpi regali devono fornire un numero adeguato di pettegolezzi. Il signor re dovrà celebrare festini osé, concedersi lapsus che ci lascino il piacere di trasecolare, soprattutto fare le corna alla regina (e viceversa): con un’amante della quale ci farà piacere sapere vita, morte e soprattutto miracoli. Le voluminose memorie di una vita del tutto uguale a tutte le altre, solo più lussuosa, saranno l’arma efficacissima per contrastare l’analfabetismo dilagante delle pigre masse occidentali.

La regina, i principini e le principessine si alleneranno imparando dai genitori e, quando si sposeranno, sceglieranno per coniugi persone ambigue, con un passato reprensibile, meglio se con la fedina penale non immacolata. I matrimoni saranno fastosi e molto esclusivi: non più di dieci mila invitati scelti con cura tra la crème dell’aristocrazia planetaria. Intanto, tre miliardi di paria li guarderanno alla televisione. I funerali lo stesso: saranno trasmessi urbi et orbi in modo che tutti possano vedere le furtive lacrime delle duchesse, conoscere la griffe delle gramaglie delle regine, il valore dei pudichi gioielli delle marchese affrante. Intorno, il popolo piangerà con indescrivibile gusto: commesse, tassisti e clochard lasceranno peluche votivi sui cancelli delle regge inavvicinabili.

I re e le regine si faranno sorprendere con grazia in mutande, o anche senza, dai paparazzi che simuleranno di odiare. Le foto – più attendibili se sfocate – devono immortalarli mentre sbaciucchiano un villico, palpano una cameriera, partecipano a festini vestiti da Goebbels, ecc. Grazie ai re, il popolo avrà di che pensare per tutta la vita. I giornali altrimenti esangui faranno scoop da vendere a tutto il pianeta; le tv assumeranno esperti di corna coronate; telereporter che sanno arrampicarsi sulle antenne; sedicenti amici intimi dei monarchi che confideranno a prezzi interessanti le ultime malignità. Un’intera economia tornerà a girare.

La controprova dell’indispensabile funzione della monarchia è che nei Paesi mestamente repubblicani il popolo si incattivisce, si pesta negli stadi e si fa gli affari delle monarchie altrui. Le monarchie veramente discrete, come incomprensibilmente si ostinano a rimanere quelle scandinave, sono così noiose che sembrano repubbliche. Non importa che il monarca sia a capo di uno stato grande: può essere anche un principatino come quello di Monaco, o come il Vaticano. Purtroppo da tempo il papa ha scelto di essere casto: dal punto di vista turistico è un disastro. L’industria del gossip avrebbe di che godere se si tornasse ai tempi dei cardinal nepoti (cardinalis nepotes), quando le fastose amanti dei pontefici avevano il loro status e gli adeguati privilegi. Del sintagma cardinal nepote ci è rimasto solo il lemma nepotismo: quelli di Amici miei (il film di Monicelli) avrebbero detto che si tratta quasi sempre di «nipoti da parte di fava».

Non ci resta che persuadere la surreale Repubblica di San Marino a trovarsi un re o una regina: possono assumere un parente povero di una qualunque monarchia europea: vanno bene tutti, tranne i Savoia, che non li chiama più nessuno, neppure per il battesimo del Delfino del duca di Parapagàl.

 

SANTO

Durante il funerale del papa emerito Benedetto XVI, sono apparsi in piazza San Pietro alcuni striscioni con su scritto «SANTO SUBITO». Non è da escludere che si stessero riciclando gli striscioni esposti per il papa precedente: sarebbe stato ecologicamente lodevole. Non è chiaro come si sarebbe dovuti procedere, nel caso fosse stato possibile risolvere la cosa subito: per alzata di mano? Per acclamazione? Con un voto on-line? Elon Musk lo ha preteso recentemente chiedendo agli utenti del suo Tweet se lo volevano ancora per padrone: la maggioranza ha risposto di no subito, e lui ha disobbedito immediatamente.

Torniamo al santo. Fino a fede contraria, i santi li fa Dio. Il popolo, col suo vizietto dei santi sùbiti, quando provò a far da sé, cominciò male, scegliendo con percentuale cinesi Barabba al posto di Gesù. Vox populi, vox Dei in questi casi funziona male. Il Decameron comincia con la stupenda novella di ser Ciappeletto: storia di come sia possibile che un delinquente della peggior specie sia proclamato santo subito.

La Chiesa sa come non essere populista: con secolare esperienza, il diritto canonico pretende che per riconoscere un santo devono accadere tre cose. Difficile fare tre cose insieme e bene subito. Intanto, il candidato dovrà essere morto, e questo in effetti può accadere subito; deve aver fatto almeno due miracoli –  già più complicato – e la Chiesa lo deve processare, per assicurarsi che abbia vissuto santamente e che i suoi non siano miracoli da frate Cipolla (Decameron, VI giornata). Almeno qui ci vuole tempo. Nel processo (quelli di santo subito si staranno già scocciando), che si chiama canonizzazione, va da sé che ci sia un avvocato che sostenga la causa del santificando, e un accusatore che farà la parte di quello che non crede a niente: l’avvocato del diavolo. Per papa Wojtyla, si esaminarono 251 miracoli: parvero certi due.

Magari, per farci sapere il destino di un deceduto in odore di santità, il Padreterno ci metterà qualche secolo, che per Lui è lo stesso di un battito di ciglia. Per Giovanna d’Arco ci vollero più di cinquecento anni; per Carlo Magno, dopo tre secoli che era morto, il processo rimase sospeso: sarà andato in prescrizione. Di quasi tutti i santi ci si dimentica se non subito presto: Santi Filea e Filoromo, San Vedasto, San Bertolfo, San Cutmanio, Sant’Altone, Santa Attracta… Anche se tutti se ne ricordano uno, Napoli ha 52 santi patroni: tra questi sant’Aspreno e santa Maria Francesca delle Cinque piaghe. Palermo ne ha 91, ma solo perché qualcuno s’è perso per strada.