Per caute sopravvivenze

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Un piccolo dizionario

di Malagigio

IMMORTALITÀ

Più di sempre va di moda tra i supermiliardari l’immortalità. Persa la speranza di ritrovare il Santo Graal, loro che possono, ora la pretendono dalla scienza: un po’come se, provata senza risultati apprezzabili l’economica e sbrigativa Lourdes, ci si rivolgesse a un ospedale. Sono già mastodontiche le cifre devolute al progetto concepito da un club di facoltosi per uccidere la morte. Solo dal signor Bezos, padrone assoluto di Amazon, 270 milioni di dollari. I febbrili finanziatori si offriranno generosamente come cavie. Sono meritoriamente in fila: oltre all’uomo più ricco della terra, il creatore di PayPall, i padroni di Google, e altri happy few, tutti ospitati da Yuri Milner – uno dei padroni di Facebook – nella sua villa dalle parti di Palo Alto. Il progetto si chiama Altos Labs, e ha già creato una rete di laboratori operosissimi sparsi per tutta la Terra.

Naturalmente sono stati assoldati premi Nobel con i migliori al mondo in fatto di biotecnologie: maghi nella creazione di organismi chimera (maiali con fegati e cuori umani), virtuosi nella pratica del “taglia e cuci” (cut and paste) applicato al Dna, con cui si “edita” (gene editing) un codice genetico difettoso affinché la smetta di produrre geni patogeni. Aveva già proclamato messianico Peter Thiel, il fondatore di PayPall, che davvero non sarebbe più il caso di distrarsi su inezie come la crescente differenza tra i ricchi e i poveri, essendo lapalissiano che «la più grande disuguaglianza è quella tra i vivi e i morti».

Quanto al bisogno di uguaglianza, almeno fin quando il cristianesimo aveva una certa voce in capitolo nella vita di tutti, la Chiesa avrebbe obiettato che è proprio per questo che tutti moriamo. Per esempio, senza originalità ma con un certo stile, Le memorie di Barry Lindon di Tackeray finiscono così: «buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora sono tutti uguali». Ora sarebbe finalmente venuto il momento di capovolgere: di ritrovarci tutti festosamente vivi, e giovani, per sempre. Quanto al fatto che il sole è destinato a morire, avremo quattro miliardi e ottocento milioni di anni per pensarci.

Posto che tutto ciò accada, e che si faccia finalmente morire la morte, e posto che quei miliardari no facciano i gelosi come con i brevetti dei vaccini anti-Covid, sarebbe da chiedersi cosa si potrebbe fare in tutto il tempo che ci si spalancherebbe davanti: ancora lavoro, soldi, sesso, cuoricini sui social per i gattini delle persone care, viaggi nello spazio e negli ospizi per eternamente giovani in pensione? Borges, nel racconto L’immortale, immagina che l’immortalità alla fine ci renderà dei bruti avulsi da tutto. Sarà possibile la monogamia eterna? Kundera saggiamente ha notato che una cosa è dire a una donna ti amerò per sempre avendo davanti l’inezia di qualche decina d’anni, un’altra disponendo – teniamoci stretti – un mezzo millennio almeno di lunga ormonale giovinezza. Quelle che chiamiamo “nozze d’oro”, non saranno che un flirt.

In ogni caso, trovassero questi filantropi la pillolina, sarebbe difficile resisterle. O ci sarebbero movimenti No-Immortal? E quelli che credono in qualche imperscrutabile Dio, con quella sua promessa di paradisi e inferni, come si comporterebbero? Il papa prenderebbe la sua dose? Vi sarebbero ottimi argomenti teologici a favore: farsi immortali in attesa del Giudizio Universale… Parafrasando sant’Agostino, si potrebbe chiedere a Dio «Signore, fammi morire, ma non adesso». Faremmo ancora bambini? O dovremmo scegliere tra loro e noi? Viene in mente un ricco di genio che però non ce l’ha fatta, Frank Sinatra che alla figlia che gli chiedeva cosa avrebbe voluto per Natale rispose: «un altro Natale». E così, passando da un Natale all’altro…

MEMORIA

Una buona memoria è la prima qualità di un buon cellulare. Attualmente si misura in Giga, che viene da gigante; cosa sia esattamente un Gita ovviamente quasi nessuno lo sa, e se anche qualcuno ce lo spiegasse, lo dimenticheremmo. Una memoria misurabile in Giga è qualcosa di transumano, di consolantamente abnorme Ci sono cellulari che custodiscono 512 Giga di memoria; e anche di più: cellulari, pur sempre piccolissimi, con un TERA di memoria. Terabyte vuol dire 1.024 Giga. Tera, sempre dal greco, vuol dire mostro. Siamo avvertiti. Ancora più in su, ci sono gli Yottabyte, gli Zettabyte, gli Exabyte e i Petabyte. In tutto sono cinque nomi: non li ricorderemo mai.

MONUMENTI, STRADARI

Che un monumento e una strada debbano avere un nome va da sé. I monumenti e le strade sono i nodi al fazzoletto delle città: servono a ricordare, o almeno così amiamo credere. Che un monumento e una strada abbiano un nome è non meno che vitale: si può tranquillamente dire che prima nasce il nome, poi viene il monumento. Sui nomi dei monumenti, delle strade e delle piazze, si svolgono epiche battaglie politiche: tutti vogliono difendere la memoria e quindi esigono specifici nodi al fazzoletto della collettività. E anche questo è giusto. Poi però, frettoloso e inesorabile, scorre il tempo. Mettiamo di passare – ce ne sono tante in Italia – per una delle tante piazza Luigi Cadorna: qualcuno si accorgerebbe se la statua fosse quella di Armando Diaz, o del tenore Enrico Caruso, o di John Wayne vestito da David Crockett? Si potrà cambiare la statua ma non il nome. A Trieste in piazza san Giovanni c’è la statua di Giuseppe Verdi, e in piazza Garibaldi quella della Madonna: nessuno ha avuto mai nulla da ridire. I nomi delle statue, dei giardini, delle strade e delle piazze restano sempre più familiari e sempre più insignificanti; o meglio: per diventare familiari devono diventare insignificanti. Lo scopo dei vari Cadorna, Diaz, Garibaldi, Vittorio Emanuele, ecc. è stato di dare il nome a tante piazze, strade, slarghi, ecc.: direbbe Aristotele, diventare i fornitori di nomi per piazze e statue è stata l’entelechia di tutti quei grand’uomini (poche le donne, ma possiamo rimediare). Nessuno dopo un po’ si disturba a cercare di ricordare cosa abbiano fatto, chi siano stati, perché in effetti non conta: esploratori, gerarchi, primatisti nella vendita di aspirapolveri, inventori del telecomando, stragisti che hanno obbedito agli ordini: erano venuti al mondo per dare nomi alle strade e alle piazze. È per questo che siamo loro grati, specie i tassisti.

VERGOGNARE

Il verbo più semplice della lingua italiana. È coniugato infatti solo nella forma imperativa, meglio se riflessiva. Si usa dire infatti «Si vergogni!» e «Vergognatevi!»; ancora più semplicemente: «Vergogna!». Data la semplicità, andrebbe insegnato prima di tutti alle scuole elementari. – Leopardi aveva già chiara la faccenda: «Oggi non è cosa alcuna che faccia vergogna appresso agli uomini usati e sperimentati nel mondo, salvo che il vergognarsi; né di cosa alcuna questi sì fatti uomini si vergognano, fuorché di questa, se a caso qualche volta v’incorrono». È insomma vergognoso vergognarsi. È uno dei rari casi in cui alla fine ci sta come il cacio sui maccheroni il punto esclamativo.