Per caute sopravvivenze

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Un piccolo dizionario

di Malagigio

 

COPIA E INCOLLA

 

Pratica creativa come poche altre: grazie a lei si generano a getto continuo articoli di giornali, tesi di laurea, saggi, romanzi, enciclopedie, ricette, insulti, panegirici, haiku, poemi, proverbi, barzellette, preghiere, alibi, e naturalmente leggi. Da tempo è stato superato il momento in cui si sapeva almeno vagamente da chi si ricopiasse per incollare. Questa rivista, come l’ultimo dei mohicani, si ostina a non copiare e incollare nulla: è un po’ come fare gli arrotini o i riparatori di ombrelli in un mondo in cui coltelli e ombrelli si comprano e si buttano perché costa meno fare così che ripararli.

L’avvento del Copia e Incolla potrebbe essere riconosciuto come un fondamentale cambio di era: invece che contare gli anni dalla problematica nascita del problematico Gesù, si potrebbe ricominciare da Uno a partire dal 1983: l’anno in cui arriva sui pc di tutto il mondo Word, col suo liberatorio Ctrll+C e Ctrl+V: adesso saremmo nell’anno 40 D.C.: dove C. sta ovviamente per “Copia e Incolla”. Tramontata l’uggiosa età romantica con la sua fissa di essere originali a tutti i costi, oggi, davanti a una copiatura incollata, nessuno non solo si scandalizza, me neppure si stupisce: diamo giustamente per scontato che quanto stiamo leggendo, o vedendo, o ascoltando, sia stato copiato e incollato da qualcos’altro; a sua volta copiato e incollato, e così indietro fino alla notte dei tempi. Adamo ed Eva peccarono perché copiarono e incollarono un suggerimento sbagliato.

Insomma: copia e incolla qua, copia e incolla là, si potrebbe scoprire che la cosa sta andando avanti davvero dalla notte dei tempi. Cos’è stato il plurisecolare petrarchismo se non un gigantesco esercizio di copia e incolla dell’inarrivabile originale? Un’arte combinatoria che ha generato capolavori! E tutte quelle icone bizantine dipinte con cura maniacale, nella ripetizione liturgica di ogni minimo gesto, di ogni colore e di ogni forma? All’umile copia e incolla medievale, abbiamo aggiunto di nostro una scoperta: che non occorre essere originali per permettersi di essere narcisisti. Nell’anno 40 Dopo Copia e Incolla., basta uscire per strada, o accendere la tv, per incontrare narcisisti che sono l’uno il Copia e Incolla dell’altro. Tutti identicamente felici di sé stessi.

 

RINASCIMENTO

 

Se ne invoca sempre uno nuovo. Che sia un partito politico o una pubblicità – supponendo che tra le due cose ci sia una qualche differenza – pare che ci manchi sempre poco: che siamo lì lì per… che ormai ci basta volerlo, che in fondo – che bello – il Rinascimento è uno stato d’animo, un’euforia. Uno dei nostri politici che da tempo lo vede un po’ dappertutto, è sicuro che stia per fiorire anche in Arabia: un ritorno delle Mille e una notte… In effetti, a Riad dal 2018 le donne possono prendere la patente e dal 2019 si sono meritate il diritto di essere avvertite quando il marito divorzia; con un SMS. All’SMS arriveremo anche noi. Intanto, si può pensare un po’ sulla passione italiana per il Ri: tutti a scuola abbiamo imparato che abbiamo avuto il Rinascimento e il Risorgimento. Un punto lievemente inquietante potrebbe essere l’idea che per rinascere, come per risorgere, bisogna prima essere morti. L’altro lato della passione italiana per i rinascimenti e i risorgimenti deve dunque per forza di cose essere il piacere letargoso per i Rimortimenti. In effetti, a pensarci, dopo l’ancora stupefacente sequenza di geni e civiltà che abbiamo avuto dal Duecento di Dante al Cinquecento di Michelangelo, ci siamo presi un po’ di vacanza. Probabilmente, quando ci avvertiranno del nuovo Rinascimento, staremo ancora digerendo Torquato Tasso.

 

SPRECO

 

«Se tutti gli economisti fossero stesi uno accanto all’altro, non raggiungerebbero una conclusione», scriveva George Bernard Shaw: infatti anche gli economisti sono uomini, perfino quando non lo sembrano. Ma una cosa che piace a tutti loro è che l’economia, come amano dire, giri. Per questo ci vuole lo spreco. Se infatti di colpo fossimo tutti presi dalla balzana idea di non sperperare nulla, dove andremmo a finire? Solo in Italia si venderebbe quasi un miliardo di tonnellate di cibo in meno (così dice l’ANSA sul 2019); che è come dire che ci sarebbero stati 23 milioni di trasporti su camion in meno. Con autostrade così poco intasate, specie a ferragosto, avrebbe potuto prenderci la malinconia. E poi cosa fare dei poveri camionisti, e di tutti i mulini bianchi chiusi perché non fanno più biscotti da gettare nella spazzatura? Il mercato italiano si dimezzerebbe: siamo quasi 60 milioni, ma consumiamo, e soprattutto coscienziosamente sprechiamo, per 105 milioni di persone. Per questo ci piacciono tanto il Natale, la Pasqua e il Capodanno. Tifare la nazionale e sprecare sono gli ultimi due atti patriottici che ci siano rimasti. La Patria sta tornando di moda: prima o poi di certe diserzioni ci si potrebbe chiedere conto. Teniamoci pronti. Non dovremmo mai farci sorprendere fuori del supermercato senza mascherina o, peggio, con scontrini languenti. Noi crediamo, obbediamo, sprechiamo; qualunque cosa: macchine, medicine, terreni, aria, armi… Veniamo al sodo: quanti cellulari ci sono in Italia adesso? 80 milioni per 60 milioni di persone: una miseria. Abbiamo due orecchie per cosa? Ci sono ancora 40 milioni di orecchie sfaccendate, libere come i nasi di Gogol. Rottamare un cellulare e comprarne due sarà tra l’altro un atto di cristiana pietà, come fare il presepe: i vecchi dispositivi convoleranno in Africa, per essere smontati da grate manine di bambini, ansiosi di recuperare per noi i metalli preziosi da rispedirci smaglianti come appena estratti dalla miniera: per terzi cellulari, magari da appenderci al naso quando la moda lo suggerirà.

 

STORICO

 

Aggettivo per indicare qualcosa che, una volta accaduto, non conta più nulla. Il concetto pare sia nato negli Stati Uniti, dove si dice That’s history di tutto ciò che ormai è svanito e che è inutile ricordare. Ci siamo rapidamente adeguati. E ci appaiono ormai bizzarri quei tempi in cui per imparare bisognava tenere la testa girata all’indietro. Ormai, apprendere dalla storia, sarebbe come voler imparare dal nonno come si usa l’ultima playstation. Della storia si era già stufato Nietzsche, che aveva detto tutto quello che c’era da dire nelle poche paginette intitolate Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874): cose ormai per noi così ovvie che non abbiamo più alcun bisogno di ricordarci di lui.

Viviamo come se fossimo già in Paradiso, del quale poco sappiamo ma di cui tutti gli esperti ci garantiscono che lì non c’è più il tempo: tale e quale a un centro commerciale. Tutti i fatti, proprio perché sono accaduti, non ci sono più. Chi provasse a concatenarli farebbe la figura di un noioso passatista. E poi non è vero che la storia la scrivono i vincitori: i vincitori la cancellano. Così non restano tracce.