PER CESCO

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di Luisa Crismani

 

La sera dello scorso 15 maggio alle 20.30 al Teatro Bobbio il Teatro Stabile La Contrada ha ricordato, con una serata “Serata d’onore” il suo socio fondatore Francesco Macedonio, alcuni giorni dopo l’anniversario della scomparsa, avvenuta il primo aprile dello scorso anno. Con il sostegno della Fondazione Kathleen Foreman Casali, la serata ha consentito a molti dei suoi amici, colleghi e collaboratori di ricordarlo sul palcoscenico raccontando un aneddoto, recitando una poesia o un brano di prosa, cantando una canzone. Coordinate da Mario Mirasola e presentate da Andrea Germani e Zita Fusco, una quantità di altre presenze si sono prestate all’affettuoso omaggio, da, Ariella Reggio a Marzia Postogna, Antonio Salines, Claudio Grisancich, Maurizio Repetto e Gloria Sapio, Riccardo Peroni, Massimiliano Forza, Franko Korosec, Carlo Moser, Adriano Giraldi, Maurizio Zacchigna, Maria Grazia Plos, Daniela Gattorno e molti altri, tra cui molti giovani che si sono formati all’Accademia della Contrada.

Il Ponte rosso intende associarsi all’affettuoso ricordo del regista pubblicando una “lettera a Cesco” altrimenti inedita, scritta da Luisa Crismani, amica di Macedonio e collaboratrice per molto tempo in qualità di aiuto regista.

 

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“T’inforco un cavallo e via… verso la frontiera!” Con queste parole mettevi in moto (l’auto era rosso bordeaux, non ricordo e probabilmente non ho mai saputo né la marca né la cilindrata) e partivamo.

Per Fiume.

A provare uno spettacolo che poi non è andato in scena: Terrore e miseria del Terzo Reich di Brecht, che entrambi abbiamo molto amato.

Avevo poco più di vent’anni e pensavo di voler fare l’attrice.

Chissà perché, Cesco, il ricordo più vivo che ho di te, di noi, della nostra lunga e bella amicizia, sono quei viaggi a Fiume.

Sono passati più di quarant’anni. Tante altre esperienze, dopo, abbiamo condiviso, tanti spettacoli, tante gestazioni e tante nascite, tante ricerche di perfezioni impossibili, tante sfide alla nostra mente e al nostro cuore, tante paure…

Eppure. La mia anima è sempre pervasa dal ricordo di Fiume. Dramma Italiano. Teatro Ivan Cankar, con il bar dove i tavolini erano scacchiere sulle quali attori e tecnici nelle pause giocavano davvero. Per me era tutto molto Est, molto steppa e gelo russo, molto Placido Don, molto Tolstoi…

Quattro ore di prove, al pomeriggio. Era inverno: entravamo in teatro col sole e uscivamo che era notte. A volte nevicava. Una sera non siamo potuti tornare, le strade erano bloccate.

Durante il viaggio fingevamo di essere due personaggi: Charlie e Dolly. Una specie di avventurieri, alla Bonnie and Clyde. Una volta, all’ingresso della città, una macchina verde ci ha sorpassato, era targata RI (Rijeka) e sei sbottato in un “L’uomo di Rijeka!” parafrasando L’uomo di Rio con Jean Paul Belmondo, che allora imperversava…

Preistoria.

Eri spiritoso e io avevo pochi anni e una grande immaginazione. Di che cosa parlavamo? Credo che io soprattutto ascoltassi ma forse no. Comunque all’andata mi raccontavi dei tuoi scolari, della guerra di Troia che facevi loro rivivere e interpretare per gioco, usando i banchi di scuola come torri e muraglie, e poi dei tuoi bambini, Marta e Andrea, e della tua bellissima moglie. Silva. Pronunciavi il suo nome in un modo tale che mi arrivava dentro un mondo: fascino e mistero. Quando l’ho conosciuta ho compreso.

E da te ho imparato, in quei viaggi, che quell’uccello bianco e nero che svolazzava sui campi gialli e arsi che conservavano gli stecchi del granturco era una gazza, che sei in Croazia quando la “gostilna” diventa “gostiona”, che Podgrad , dove ci fermavamo a volte al ritorno a mangiare qualcosa in una specie di isba russa, è il confine fra Slovenia e Croazia… Rallentavi, di notte, perché potessi vedere gli occhi di una volpe, e facevi battute ironiche sui triangoli che segnalavano la presenza di caprioli, come se venti metri prima i caprioli non potessero esserci…

Dovevi essere stanco, ma non lo dicevi: ti eri alzato presto per andare a scuola (non hai mai smesso la tua professione di maestro e anche per questo ti ho sempre ammirato), poi eri passato a prendere me a Trieste, a casa dei miei, avevi guidato fino a Fiume, fatto le prove (e le tue prove non erano mai una passeggiata!), eravamo passati dal tuo amico Indra o da Damiani in quella sua casa piena zeppa di libri e con un grande gatto rosso (belle serate piene di conversazioni vive, colte, appassionate), poi (era ormai notte fonda) indietro fino a Trieste e tu ancora fino a Gorizia… Non so come facessi. Forse a volte ho temuto che ti addormentassi al volante.

Grazie Cesco, per avermi ascoltata quando ti raccontavo i miei progetti, le mie crisi, i miei studi e le mie pene d’amore! “Non innamorarti – mi hai detto una volta – lascia che siano gli altri a innamorarsi di te”.

E ancora, legati in qualche modo al periodo di Fiume, sono profondi e vivi e sempre fecondi i pomeriggi a Gorizia, a casa tua in corso Verdi o in qualche trattoria nei dintorni. Quante ore a parlare, che bello! Ci dicevamo i libri e i dischi e i film…

Strano. Non parlavamo quasi mai di teatro. Quello lo facevamo. Insieme o ciascuno per suo conto, ma non ne parlavamo. Il teatro era il lavoro. La letteratura, la poesia, la musica, i ricordi d’infanzia, gli affetti, le persone, la natura erano il nutrimento dell’anima… senza il quale ci sarebbe stato impossibile lavorare e vivere. Non è vero?

Te ne ricordi ancora?

Anche adesso?

Adesso che puoi discutere con Tolstoi e Cechov, con Garcia Lorca, Thomas Mann, Ruzante, Fellini e Visconti e Rossellini! E Strehler. E, soprattutto, Chaplin. Immagino la tua emozione quando l’hai incontrato.

Ti ha guardato con quel sorriso da monsieur Verdoux…

Forse non parlate neanche tanto, fra di voi. Vi basta riconoscervi e rivivere antiche emozioni.

Sii felice, Cesco.

Quando ci ritroveremo fingeremo di nuovo di essere Charlie e Dolly.

“Inforcheremo” un cavallo e via!… Verso la frontiera.

Ti abbraccio forte.

Luisa