Per Edda Serra

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di Pericle Camuffo

 

«Qui, Edda Serra». Cominciava così le sue telefonate, affermando un luogo, un tempo ma soprattutto una presenza. Perché Edda Serra è stata specialmente questo: una presenza nella vita culturale triestina e giuliana per oltre quarant’anni. Dopo la carriera nella scuola come insegnate, ha tenuto per anni corsi di letteratura italiana all’Università della terza età di Grado convinta che la trasmissione del sapere dovesse trovare la sua realizzazione più intima e profonda nella condivisione di emozioni e di spiritualità. Lungo il suo impegno anche nell’ambito della formazione degli insegnanti, nell’educazione linguistica e nella critica letteraria. Molti infatti gli scrittori non solo del Novecento indagati e studiati. Organizzatrice instancabile di eventi culturali – convegni, seminari, giornate di studio, presentazioni di libri – può essere considerata, come Prezzolini definiva se stesso, un “impresario culturale”.

La sua voce critica più acuta e innovativa è certamente quella che ha riservato a Biagio Marin. I suoi primi contatti con il poeta gradese risalgono alla metà degli anni Sessanta ma la loro collaborazione diventa qualcosa di stabile dall’agosto del 1969 quando Marin le fa una “sorpresa” e la raggiunge sulla spiaggia di Grado Pineta per dirle che sarà lei a dargli una mano con le sue poesie. E l’emozione di quell’incontro vibrava sempre vivo nelle pieghe delle sue parole ogni volta che me lo raccontava. Da quel momento Edda Serra non verrà mai meno all’impegno preso e dalla metà degli anni Settanta diventerà la curatrice di quasi tutte le sillogi poetiche di Marin, specie quelle più tarde, collaborando attivamente alla loro composizione e divulgazione, scrivendo introduzioni, prefazioni e articoli importanti.

La sua attività critica, organizzativa e divulgativa ha trovato nel Centro Studi Biagio Marin di Grado, che ha presieduto per parecchi anni e fino al giorno della morte, la sede più consona, lo strumento adatto per diffondere non solo la voce poetica di Marin ma anche l’interesse per la sua complessa e ricca personalità intellettuale, della sua “identità di frontiera” continuamente attraversata da suggestioni culturali, politiche e civili. È stato grazie e lei ed agli studiosi che ha saputo riunire, se Marin ora è riconosciuto come uno degli intellettuali di spessore del Novecento italiano che ha maturato la sua visione del mondo e dell’arte nel continuo confronto con i maggiori poeti e scrittori del nostro paese, da Pasolini a Prezzolini, da Tomizza a Magris, da Caproni a Slataper, e se di Marin si è discusso nelle università europee e nordamericane. Gran parte di questo lavoro è stato presentato sulle pagine di Studi Mariniani, la rivista del Centro, e nei volumi della collana “I quaderni del CSBM”, che ha diretto con attenzione vigile e critica.

E a reggere tutto questo, oltre tutto e nonostante tutto, al di là delle ripicche, invidie, vanità, dispetti e pochezza intellettuale di alcune persone, è stato l’amore per la poesia, certo per quella di Marin, ma soprattutto per quella che la vita racchiude e riesce a conservare nelle proprie fessure di splendore. La sua è stata, fin dall’inizio,  una lunga ricerca della bellezza.

Devo a lei la mia “entrata” nella critica mariniana e per questo l’ho sempre ringraziata. Nel 1999 le ho consegnato il file del mio libro su Marin e i filosofi e sono partito per l’Australia. Sei mesi dopo, al mio ritorno, il libro era stampato e pronto per essere presentato.  Non aveva chiesto niente in cambio, aveva solo visto nel mio lavoro una novità in quel momento necessaria.

Se la morte di un amico, come suggerisce Derrida è «la fine del mondo nella sua totalità unica», da oggi sta a noi, a chi con Edda Serra ha lavorato e vissuto condividendo soddisfazioni e delusioni, ripartire da questa fine che non è il vuoto o il nulla, ma un insieme denso di suggerimenti e interrogazioni, di “germogli” come usava dire, che è nostro dovere intellettuale e morale trasformare in piante robuste e rigogliose.