Piero e Claudia

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In un libro edito da Trart un duplice omaggio a Claudia Gian Ferrari e a Piero Marussig

di Walter Chiereghin

 

Ben più di un catalogo, il volume edito nel 2020 dalla triestina Trart e curato da Nicoletta Colombo, Elena Pontiggia e Alessandra Tiddia, elegantemente illustrato, costituisce la premessa progettuale alla mostra “Piero Marussig. Camera con vista su Trieste” che nell’allestimento curato da Federica Luser è stata ospitata dal Civico Museo Sartorio dall’8 luglio al 9 ottobre. Dell’esposizione ha parlato Fulvio Senardi nel numero 83 del Ponte rosso, ma la ricchezza dei contenuti del volume richiede un minimo di ulteriore approfondimento.

Concepito come un duplice omaggio al pittore triestino e alla gallerista e storica dell’arte Claudia Gian Ferrari (Milano, 1945 – 2010), “figlia d’arte” – è proprio il caso di dire, avendo ereditato dal padre Ettore titolare per decenni dell’Ufficio vendite della Biennale di Venezia e fondatore nel ’36 a Milano dell’omonima galleria –, si interessò, come ricercatrice e come gallerista, oltre che di Piero Marussig, di alcuni dei principali esponenti del Novecento italiano, in particolare Umberto Boccioni, Filippo de Pisis, Cagnaccio di San Pietro, Felice Casorati, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Fausto Pirandello e Mario Sironi, Nell’occasione del decennale della sua scomparsa, il Maxxi di Roma, beneficiario di un suo lascito testamentario di 58 opere d’arte contemporanea provenienti dalla sua casa romana, ne onorò nel 2020 la memoria con una mostra. Analoga iniziativa venne in precedenza assunta, sempre nel 2020, dal Mart di Rovereto, a sua volta destinatario di un’altra importante collezione di opere di Fausto Melotti donate al museo da Gian Ferrari ed acquisite nel 2011, circa trenta tra ceramiche smaltate e terrecotte realizzate dall’artista trentino tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del Novecento, cui sono stati affiancati altri dipinti di importanti autori del Novecento italiano provenienti dal patrimonio museale del Mart ed appartenuti alla raccolta privata della munifica donatrice o presentati nelle esposizioni da lei curate. Il Museo Revoltella di Trieste, a sua volta beneficato dal deposito dei familiari, dal 2015, dell’archivio della studiosa riguardante Piero Marussig, non ha finora ritenuto di dare vita a un’iniziativa espositiva o di studio che la riguardasse.

Il volume della Trart, in un saggio firmato da Nicoletta Colombo, si occupa proprio dell’archivio di cui la parte conservata presso il Revoltella costituisce il nucleo principale, essendo «quello più corposo, raccolto nei decenni da Claudia e prima di lei da suo padre Ettore», che avrebbe dovuto integrarsi con «l’altro, meno numericamente consistente ma altrettanto essenziale, riunito tra il 1960 e il 2000 ad opera della milanese Galleria Carini». L’ambizioso progetto di Gian Ferrari era quello che, partendo dall’unificazione dei due archivi, prefigurava la creazione di un catalogo generale dell’opera di Marussig, attività che prese avvio nel 2003 ad opera della Gian Ferrari, di Elena Pontiggia e di Nicoletta Colombo, coadiuvate da due qualificate studiose e ricercatrici, Elisabetta Staudacher e Valentina Cisventi: un gruppo di lavoro integralmente femminile che riuscì a completare l’opera di creazione del nuovo archivio nel termine di tre anni. E in quello stesso 2006, per iniziativa di Silvana Editoriale, fu pubblicato il Catalogo generale, che, grazie all’attività legata all’aggiornamento dell’archivio, reca le schede di 797 opere del Triestino.

Con la pubblicazione del Catalogo si realizzò quanto aveva sospinto Claudia Gian Ferrari nella sua impresa di creazione dell’archivio, l’idea cioè di scalfire la damnatio memoriae che sembrava relegare Marussig in un ruolo marginale tra gli esponenti del Novecento italiano. Come osserva Colombo, «già in epoca novecentista infatti si osservava un’evidente inerzia critica nei confronti di Marussig, esercitata dalla stessa sostenitrice del movimento, Margherita Sarfatti, generosa di commenti elogiativi per Mario Sironi, Achille Funi, Arturo Tosi e, al contrario, piuttosto frugale nei confronti dell’artista, che nel frattempo da Trieste si era trasferito a Milano nell’intento di entrare nel cuore dell’avanguardia artistica che attorno al 1920 gravitava nel capoluogo lombardo». Com’era prevedibile, dopo la pubblicazione del volume di Silvana editoriale e la contestuale costituzione dell’Archivio dell’opera di Piero Marussig, affidato al collaudato trio di studiose che aveva compiuto la prima parte del lavoro, si risvegliò l’interesse per l’artista triestino, mentre pervennero all’Archivio una quantità di segnalazioni e di richieste di autenticazione, mentre il Museo Revoltella gli dedicava un’antologica che rimase aperta dal novembre 2006 al gennaio 2007. Anche dopo la scomparsa prematura di Claudia Gian Ferrari, nel gennaio del 2010, benché sempre presente in collettive riguardanti il Novecento Italiano, Marussig doveva attendere il 2015 perché gli fosse dedicata una monografia, ad opera della Fondazione CRTrieste che incaricò Alessandra Tiddia di curare il volume, includente un rinnovato catalogo generale con 835 schede delle opere, nella prestigiosa collana editoriale riservata agli artisti triestini. Fin dal 2010, dopo la scomparsa di Claudia Gian Ferrari, si pensò di dare continuità all’Archivio Marussig affidandolo alla curatela condivisa di Pontiggia e Colombo, con nuova sede presso lo Studio d’arte Nicoletta Colombo di Milano, dove si provvede con continuità nell’impegno di catalogazione e certificazione di nuovi dipinti inediti o ritrovati.

 

La figura di Piero Marussig (Trieste, 1879 – Pavia 1937) è introdotta, nel libro della Trart, da Alessandra Tiddia che si occupa del percorso biografico del pittore e in particolare del periodo triestino, precedente al suo trasferimento a Milano nel 1919, che, inauguratosi con una prima mostra personale alla Galleria Vinciana, avrebbe così marcatamente segnato tra gli anni Venti e i Trenta la sua stagione creativa, sviluppatasi all’interno del Novecento Italiano ispirato dall’attivismo culturale di Margherita Sarfatti.

Alla pittura era stato iniziato fin dagli anni della sua formazione scolastica triestina presso la Scuola Industriale di arti applicate, sotto l’influsso del suo insegnante Eugenio Scomparini, maestro dal quale «trarrà la sensibilità verso il colore e verso la ritrattistica che privilegiava scene ambientate nel decoro domestico e nei giardini delle ville della borghesia triestina di fine secolo, con una grande attenzione alla psicologia dell’effigiato».

Gli anni della formazione artistica del giovane triestino proseguirono a Monaco, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti tra il 1898 e il 1901, ma anche a Vienna, dove fu nel  1899, e a Roma – dove approdò con Rina (Katarina) Drenik, conosciuta e sposata nel 1901 al suo ritorno a Trieste – e dove i due, che soggiornarono nella capitale italiana dal 1903 al 1905, incontrarono lo scultore triestino Ruggero Rovan. Fu un’amicizia destinata a durare nel tempo, anche perché fin dai loro anni romani Rovan contagiò del suo interesse per la scultura Rina, che pare ne fosse allieva, collaborando inoltre col marito di lei in varie occasioni espositive. Dopo Roma fu la volta di Parigi, dove soggiornò tra il 1905 e l’anno successivo; ricordando tale soggiorno, sarà lo stesso pittore ad affermare: «di una cosa sono cero: che Parigi mi ha aiutato a capire la modernità. Mi ha levati di testa tutti i pregiudizi che vi si erano annidati, mi ha dato un respiro».

Dal 1906 al primo dopoguerra del 2019, reduce da tali suoi importanti soggiorni europei, che sicuramente hanno costituito ciascuno una fase essenziale nella sua formazione di artista, ritorna a Trieste assieme alla moglie e si stabiliscono a Chiadino, un quartiere periferico in collina, abitando in una bella villa dalla quale si può godere di una ampia vista della città e del suo mare. Per la precisione, la villa è tuttora esistente, anche se in stato di degrado, ubicata in vicolo Scaglioni 13. Dopo i Marussig, fu acquistata nel 1919 da tale «Ermanno Gambel (1886 – 1955), antiquario e commerciante di mobili, che vi andò a vivere con la moglie Antonia, di origini tedesche»; fu lui che diede alla dimora il nome di Villa Maria, dal nome di sua madre. Se ci attardiamo a parlare di questa villa anziché dei dipinti esposti al Sartorio è perché altrettanto fa il volume di cui ci occupiamo, e a ragion veduta, perché quella casa col suo parco-giardino non si limitò a costituire l’abitazione di due giovani coniugi affascinati da pittura e scultura, ma divenne, per quanto attiene all’arte di Piero, il paesaggio ideale, lo sfondo di numerosi dipinti en plein air. Come afferma Elena Pontiggia «il macrocosmo era racchiuso nel microcosmo della sua casa, dove interno ed esterno, natura e città, vita privata e vita sociale coincidevano. Chiadino era la sua Tahiti». La villa di vicolo Scaglioni, che i Marussig occuparono per oltre dieci anni, fu anche il luogo di decantazione di tutte le suggestioni che Piero aveva ricavato dal suo lungo pellegrinare tra le capitali europee dell’arte, contribuendo a costruire una spiccata individualità nei colori che si depositavano sulle sue tele, così che si può osservare, con Tiddia, che per «fissare una cronologia nella sua evoluzione: tra il ritorno a Trieste e il 1914, Marussig compie precise ricerche nell’ambito della sua tavolozza: le fredde tonalità azzurrine e violette, iniziano a evolvere sempre di più verso una cromia accesa che satura gli azzurri, i verdi, i rosa, gli aranci, i gialli, nelle sue vedute e nei dipinti di esterni». Tale evoluzione allontanerà sempre di più l’artista da iniziali modalità post impressioniste per avviarlo con sempre più consapevole determinazione verso un’espressione soggettiva dei valori tonali, divergenti progressivamente dalla riproposizione mimetica della realtà che il colore era chiamato a rappresentare. Fu lo stesso Marussig alcuni anni più tardi, nel 1928, a dire del suo periodo triestino «credo di aver fatto in quegli anni, fino al 1914, dell’espressionismo».

Il periodo “triestino” della sua evoluzione artistica fu costellato di numerose esposizioni anche a Vienna, a Berlino e poi a Milano, dove a partire dai primi anni Venti entrò a far parte del gruppo di artisti che, seguendo le indicazioni della Sarfatti, si impegnavano a «tradurre in un linguaggio moderno modalità classiche»: era il gruppo del Novecento Italiano in cui Marussig fu impegnato fino alla sua prematura scomparsa nel 1937.

Grazie alla generosa disponibilità dei collezionisti che hanno prestato le opere di loro proprietà, di entrambi questi periodi, soprattutto triestino ma anche milanese, vien dato conto tramite i dipinti illustrati nel volume della Trart e presentati nella conseguente mostra allestita più tardi al Museo Sartorio, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. Un florilegio di tele che, come in una raccolta ma significativa antologica, offrono un’immagine bastante a definire il perimetro della poetica dell’autore triestino, «un mondo», come lo disegna Elena Pontiggia concludendo il suo saggio, «senza gridi, senza violenza, senza la presenza del negativo: un mondo che forse non è mai esistito, ma che esiste, per sempre, nelle sue composizioni e nella sua arte».

 

Piero Marussig e Claudia Gian Ferrari

Un omaggio triestino

a cura di Nicoletta Colombo,

Elena Pontiggia e

Alessandra Tiddia

Trart, Trieste 2020

  1. 117, euro 20,00