Più leggero di una piuma

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Martin Muma, alter ego di Ligio Zanini, si racconta in una storia strepitosa di incanto lirico e del disincanto di due diverse oppressioni politiche

di Walter Chiereghin

 

Il poeta e letterato istriano Giuseppe Picciola (Parenzo, 1856 – Firenze, 1912) curò un’antologia che fu pubblicata postuma da Sansoni nel 1914, col titolo Poeti italiani d’oltre i confini. I confini cui si faceva riferimento nel titolo dell’opera erano, naturalmente, quelli dell’epoca e segnavano la demarcazione tracciata in esito alla Terza guerra d’Indipendenza nel 1866, che escludeva Trento, Gorizia e Trieste, oltre naturalmente l’Istria, Fiume e la Dalmazia dall’ambito territoriale italiano. Le principali voci poetiche nella nostra lingua, erano dunque quelle che si levavano dalle provincie cosiddette irredente, come venne indicato dal titolo modificato – Poeti italiani delle terre irredente – della successiva edizione del 1919,

Se a qualcuno venisse in mente di ripetere oggi la strada tracciata da Picciola, setacciando cioè le presenze poetiche degli italiani rimasti dopo la determinazione della nuova linea di confine e dopo il massiccio e drammatico esodo dall’Istria, non c’è dubbio che un ruolo preminente nella nuova antologia dovrebbe essere riservato al poeta di Rovigno Ligio Zanini, com’è difatti avvenuto nell’importante lavoro curato da Nelda Milani e Roberto Dobran nei due volumi del 2010 Le parole rimaste, editi da Pietas Iulia di Pola ed Edit di Fiume.

La poesia di Zanini nel dialetto neolatino istriota  di Rovigno, incline alla introspezione e alla quieta contemplazione di semplici aspetti della natura e del paesaggio, è accostabile alla sensibilità e ai toni di Biagio Marin, proponendo – assai più che bozzetti folcloristici – una costante riflessione sulla particolarità della sua condizione esistenziale di esiliato in patria che si raccorda a quella di tutto un popolo duramente provato dalla Storia. Su quest’ultimo aspetto, la poesia di Zanini ha trovato un suo corrispettivo in prosa e in lingua italiana nel romanzo Martin Muma, pubblicato sulla rivista culturale La battana di Fiume nel 1990, e successivamente raccolto in volume dalla Edit nel 2008, che la Casa editrice vicentina Ronzani, attenta a quella letteratura italiana d’oltre i confini, ha recentemente ripubblicato a cura di Mauro Sambi, con contributi di Guido Manacorda, Mario Rigoni Stern, Ezio Giuricin e Franco Juri.

Il romanzo, benché scritto in terza persona, è palesemente autobiografico, è stato scritto molto tempo prima della sua pubblicazione, che finalmente fu consentita dalle mutate circostanze politiche nella ex Jugoslavia, sulla via di dissolversi.

Il Martin Muma del titolo è un personaggio creato da Pier Lorenzo De Vita per il Corriere dei Piccoli della metà degli anni Trenta, che nelle strisce appare come un bambino esile e gracile, i cui disegni erano accompagnati da una legenda in facili rime baciate: «Vi presento Martin Muma, / più leggero di una piuma, / che a cavallo della schiuma… ». Lo stesso Zanini, nelle Postille al romanzo, racconta di come il piccolo eroe di carta lo affascinasse quando ancora non sapeva leggere, ed era costretto a richiedere a una zia compiacente di leggergli le strofette che corredavano le figure. Anche il protagonista del romanzo si chiama Martino, un nome che – ci informa sempre l’autore – nessuno a Rovigno avrebbe affibbiato a un neonato, posto che nel gergo locale Martéin dei uvi (Martino delle uova) o Martéin del lato (Martino del latte) «era considerato sinonimo di beota o poco meno». è evidente che tale intenzionale identificazione collima con un’immagine che l’autore ha, e conseguentemente tende a fornire, di se stesso, soprattutto nella prima parte del volume, dove narra della sua infanzia e adolescenza, un vero e proprio Bildungsroman, ambientato tra Rovigno e Pola, oltre che sul mare sul quale i due centri istriani si affacciano.

Come s’è detto, Martin Muma ha un’impostazione autobiografica, per cui la trama del romanzo coincide in larga misura con le non comuni esperienze vissute dell’autore, che riportiamo nella scheda bio-bibliografica in calce a questo articolo.

La prima parte del romanzo, che occupa circa due terzi del volume, è ambientata  tra gli anni Trenta e quelli della guerra, e spazia tra ambiti diversi, dalle condizioni di vita degli strati popolari cui appartiene la famiglia di Martino, all’insofferenza per la burocrazia e per il regime di “Testa quadrata” (id est Mussolini), dapprima nei discorsi orecchiati in famiglia, poi, progressivamente, in una sempre più nitida presa di coscienza che avvicinerà il giovane alla Resistenza antifascista. In parallelo a questa evoluzione etica e politica, avviene anche la crescita culturale su cui fonderanno in seguito la scrittura e la poetica di Zanini; ciò avviene in particolare per quanto attiene alla comprensione della dignità del dialetto che costituirà poi lo strumento principe della sua ispirazione lirica e che finirà per farne una delle voci più autorevoli della poesia italiana in Istria nella seconda metà del Novecento.

Vale la pena di soffermarsi un momento su come questa crescita culturale viene narrata, a partire dal disagio di una lingua madre che era il dialetto di Rovigno, che a Pola, dove la famiglia s’era trasferita, implicava ilarità, dileggio e difficoltà di relazione con i coetanei, mentre a scuola, prevaleva un insegnamento molto conforme ai programmi ministeriali e quindi orientato a una rigida concezione purista, fino all’arrivo di un nuovo insegnante di Lettere, il professor Callegarini, «un appassionato della felicissima teoria, specialmente per Martino, dei linguaggi regionali italiani. Secondo la quale, in breve, la lingua italiana pura sarebbe soltanto un desiderio, un sogno, a cui si avvicinerebbero pochi: eminenti linguisti, alcuni giornalisti dell’EIAR e diversi italianisti. Mentre la maggioranza, stragrande, anche delle persone dotte, parlerebbe e scriverebbe una lingua, colorita e profumata variamente, in conformità del particolare humus linguistico, i dialetti, delle regioni d’Italia, sempre nel rispetto delle regole fondamentali dell’italiano» (p. 229). L’incontro con questo insegnante illuminato – che finirà torturato e ucciso dai nazisti – determinò una svolta nella vita del giovane studente delle Magistrali, conferendogli una sicurezza di sé fino ad allora sconosciuta e, quel che per noi lettori più conta, indicandogli una strada dalla quale non si sarebbe poi allontanato nella sua lirica e nemmeno, come testimonia il libro del quale parliamo, nella sua prosa in lingua italiana, cui la fioritura di termini e locuzioni dialettali conferisce un valore aggiunto in termini di realismo e nella rappresentazione di una ben specifica identità culturale. Da quell’incontro con Callegarini e dalle riflessioni che ne conseguirono, Martino uscì diverso e rafforzato: «non aveva più paura, ché, se i pescatori di Aci Trezza parlavano per la penna del Verga, consigliatogli dal professore, un italiano dal profumo siciliano, anche lui poteva dir qualcosa che avesse l’aroma del ginepro istriano. L’Istria non aveva nulla da vergognarsi al cospetto della Sicilia» (p. 230).

Ma Martin Muma, soprattutto nella sua ampia prima parte, fornisce un’immagine articolata e corale della società istriana d’anteguerra, che tuttavia sembra coltivare in sé i semi di quanto avverrà di lì a poco, a causa del precipitare del’Europa verso la guerra, ma anche a causa di una contrapposizione etnica esasperata da una burocrazia ottusa e animata, in particolare, dall’esigenza di assecondare la volontà governativa di italianizzare a tappe forzate la società delle terre già irredente, incurante dei guasti irreversibili che la sua azione amministrativa apporterà anche alla vita dei connazionali, cui non riuscirà più di recuperare la serenità di una convivenza che risulterà alla fine del tutto sgretolata ed irrecuperabile.

Il fascino della narrazione della prima parte risiede anche nella capacità di Zanini di accompagnare il lettore come fosse partecipe delle esperienze di Martino seguendone il progredire dall’infanzia all’adolescenza e quindi alla giovinezza. è il protagonista stesso che sembra guidare chi legge attraverso realtà e fantasie che vengono attraversate con uguale concretezza ed abbandono, nella progressiva conquista dello spazio in cui si muove Martino ancora bambino, nell’incanto delle calli di Rovigno e del suo mare, una topografia che si percepisce negli aromi di resina e menta, una Pola più ruvida ed ostile, nella quale tuttavia l’adolescente troverà la sua iniziazione sessuale grazie a una donna sposata, sua vicina di casa. Non c’è distinzione tra quando avviene di fatto attorno a lui e quanto avviene invece nella sua fantasia, che lo vede a colloquio con un antenato mai conosciuto, il bisnonno profetico, oppure quando decide di volare via, leggero come una piuma, per non validare con la sua stoica indifferenza una punizione corporale ingiustamente inflittagli.

La seconda parte del romanzo, che pure si apre con un brano da antologia che ricorda l’Hemingway di Il vecchio e il mare, e mette in scena un Martino ormai anziano che pesca nel mare di Rovigno sulla sua battana dialogando con il suo gabbiano Filippo, è organizzato su un altro registro: la narrazione distesa della sua età evolutiva ha lasciato il posto a una prosa di testimonianza, intervallata da considerazioni politiche. Il resoconto del suo internamento nell’orrore di Goli Otok, l’Isola Calva (Zanini la chiama Isola Nuda), autentico Lager dove venivano reclusi e condannati a inumani lavori forzati stalinisti e dissidenti del regime di Tito, costituisce una delle prime – se non la prima – esplicita denuncia dell’apparato repressivo di quel regime.

Sopravvissuto a una inumana detenzione che dal 1948 si protrae fino al 1953, colpito nella persona e negli affetti – la giovane compagna, i figli e quel che rimane della sua famiglia – Ligio/Martino si adatta a vivere come può in quella terra abbandonata da tanta parte dei suoi abitanti, a testimoniare con la sua caparbia volontà di rimanere la lotta di una personalità che non intende piegarsi alla prepotenza di visioni e di prassi politiche che l’etica che lui si è venuto edificando non gli consente di condividere, relegandosi in un’individuale silente opposizione a quanto – il nazifascismo prima e il comunismo poi – ha cercato di sgretolare nella sua terra tanto amata e altrettanto vilipesa.

Martin Muma ha perduto, nell’ultima parte del suo percorso, la sua leggerezza di piuma e di ciò risente inevitabilmente il romanzo, che tuttavia rimane un “piccolo capolavoro”, come lo definisce Claudio Magris sul Corriere della Sera (8 febbraio 2022), ma c’è anche chi, come Gianfranco Franchi, lo considera “uno dei massimi romanzi italiani del Novecento”. Una grande testimonianza, comunque, di cos’è stato in Istria un Novecento ingrato e violento, tanto per chi è stato indotto ad andarsene quanto per quelli che, come Zanini, hanno scelto di rimanere, con la schiena dritta.

Pure, al di là di ogni considerazione di valore letterario e testimoniale, fosse l’unica cosa che rimane della nostra civiltà, questo libro potrebbe compiutamente narrare a un archeologo alieno, anche tra mille anni, cosa era un uomo.

 

 

Riquadro:

 

ZANINI, Ligio (Eligio)

Rovigno, 1927 – Pola, 1993.

Poeta e scrittore. Figlio di un maestro d’ascia, a causa di un tracollo economico della piccola attività del padre, nel 1936 dovette lasciare, assieme alla famiglia, Rovigno per trasferirsi a Pola, dove tuttavia il piccolo Ligio ebbe problemi di inserimento, anche perché l’istrioto rovignese dei suoi primi anni era scarsamente compreso nella città d’approdo, dove si parlava un dialetto istriano veneto. Studiò presso l’Istituto Magistrale di Pola e, giovanissimo, aderì a un gruppo di giovani antifascisti fiancheggiatori della guerra di liberazione egemonizzata dal Partito comunista jugoslavo di Tito. Al termine delle ostilità, mentre a Pola la comunità italiana abbandonava la città per riparare in Italia, si iscrisse al PCJ e si diplomò maestro nel 1947, venendo nominato referente per le scuole italiane presso il Dipartimento per l’Istruzione, incarico in cui si trovava a disagio, anche per l’inesperienza nella didattica, ma soprattutto perché aveva la consapevolezza di essere strumentalizzato da parte del neo costituito potere politico. All’espulsione della Jugoslavia dal Cominform, nel 1948, fu chiamato a scegliere tra Tito e Stalin: non lo fece e restituì anzi la tessera del partito. In conseguenza di tale atteggiamento fu tradotto nel carcere di Pola nel gennaio 1948, e dopo un processo sommario nel luglio di quell’anno, deportato nel campo di lavoro di Goli Otok, dove rimase detenuto fino al 1952, benché al processo gli fosse stata comminata un condanna a soli tredici mesi. Una volta rimesso in libertà, fece vari modesti lavori per sopravvivere, e solo nel ’59 poté riprendere a insegnare, riaprendo la scuola italiana di Salvore. Si laureò in Pedagogia a Pola nel 1979, dopo aver ripreso gli studi e, alternando l’insegnamento col lavoro di contabile, si ritirò finalmente a Rovigno. Membro dal 1970 dell’Associazione degli scrittori della Croazia, diede le dimissioni quando, nel 1990, in conformità rispetto al nascente nazionalismo croato, divenne Associazione degli scrittori croati.

I versi di Ligio Zanini hanno riscosso notevoli apprezzamenti, raggiungendo una certa notorietà anche in campo nazionale: è difatti tra gli autori pubblicati nell’antologia La poesia in dialetto nella collana dei Meridiani Mondadori. La forte amicizia con Biagio Marin, i rapporti intrattenuti con Bruno Maier, Claudio Magris, Mario Rigoni Stern e altri intellettuali italiani hanno contribuito a farlo conoscere e a limitarne l’isolamento almeno negli ultimi anni della sua vita.

Volumi pubblicati:

Moussoli a scarcaciuò, Ed. Alut, Trieste 1965; Buléistro, Scheiwiller, Milano 1966; Mar quito e alanbastro, in Istria Nobilissima, U.I.I.F. – Università Popolare Trieste, Trieste 1968; Tiera viecia-stara, in Istria Nobilissima, U.I.I.F. – Università Popolare Trieste, Trieste 1968; Favalando cul cucal FiléipoIn stu canto da paradéisu, prefazione di Bruno Maier, Lint, Trieste, 1979 (opera che ha avuto anche un’edizione in serbo-croato con testo a fronte: Razgovor s galebom Filipom, Fiume 1983); Martin Muma, romanzo, La Batana, Fiume 1990, indi: Edit, Fiume 1999, indi: ivi, 2008, indi: Ronzani, Dueville (Vicenza) 2022; Cun la prua al vento. prefazione di Franco Loi e una lettera di Biagio Marin, Scheiwiller, Milano 1993.

 

 

Ligio Zanini

Martin Muma

Ronzani editore, 2022

a cura di Mauro Sambi

prefazione di Ezio Giuricin

  1. 406, euro 19,00