Premiato Diego Zandel

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Si sgretolano i confini detestati da Fulvio Tomizza

di Rosanna Turcinovich

 

Diego Zandel, ha partecipato al Forum Tomizza di quest’anno a Trieste, Capodistria ed Umago ma ha anche vinto il Premio Tomizza 2023, assegnato sin dal 2004 dal Lions Club di Trieste congiuntamente al Comune di Trieste ed in stretto contatto con Laura Levi, per ricordare Fulvio, il suo pensiero, la sua immensa opera e la sua idea di futuro, oltre i confini. I vincitori sono considerati “facilitatori” di un rapporto trasversale grazie alla letteratura, l’arte, la cultura in un mondo caratterizzato dai muri, storico-sociali ed economici, che lentamente hanno iniziato a disintegrarsi con l’allargamento dell’Unione Europea ad est. Oggi, dopo l’intervento risolutore di Schengen, la permeabilità della frontiera non è più un sogno.

Forum Tomizza e Premio Tomizza, due sfere separate, volute da enti e soggetti diversi eppure inevitabilmente da comparare, quasi sovrapporre. Forse in un’idea, una proposta di futuro dietro l’angolo.

Siamo andati a Momichìa fino al cancello di casa Tomizza sussurrando: «Fulvio, non ci sono più confini». La voce era la nostra o la sua, chi lo sa, in terra istriana succedono cose incomprensibili ma vere, si mescolano i fatti con le emozioni e le emozioni producono fatti: è sempre stato così anche quando i confini ci facevano sentire dilaniati, impazziti di rabbia, corrosi dall’ingiustizia. Come risposta nascevano progetti, si immaginavano mondi diversi e rapporti possibili, un remitur. Si toglievano pietre dalle fosse con testarda consapevolezza: come nel tomizziano Ieri, un secolo fa (Milano, Rizzoli, 1985): «… E il vecchio riafferrò la pietra, la sollevò con un solo sforzo fino al petto. La gente ormai lo circondava. Ci fu un po’ di scompiglio. Deposero a terra la bara della signora Catina, e tutti sgranarono gli occhi, stettero a guardare. E uno che fosse apparso lì in quell’istante avrebbe avuto la strana impressione che quel vecchio uomo, sporco e sudato e lacero, si stesse scavando da sé la fossa, e tutta quella gente assistesse in silenzio a un terribile, barbaro rito.

La pietra era ormai sull’orlo, riusciva ad allungare un occhio su quel confuso e inconsueto formicolare di gente. A un segno del parroco due uomini fecero per accorrere.

“No, andate via!” gridò il vecchio. E fu quell’urlo strozzato, disumano, che stava per uscirgli poco prima. Ma in esso trovò l’ultima briciola di forze, ch’egli strappò con rabbia dai suoi nervi e muscoli ormai logori. E fu fatto. Il masso venne fuori, rotolò un poco trascinando con sé il vecchio, il quale vi si accasciò sopra, penzolando con metà corpo nella fossa. A un altro cenno della mano paffuta due uomini lo trassero fuori del tutto, e il prete cercò il chierichetto con la bacinella dell’acquasanta per benedire la fossa».

Caparbietà istriana, volontà di riuscire, nelle cose e nei rapporti umani.

Ci sono persone che mettono l’amicizia ai vertici dei loro princìpi e vi si dedicano con slancio, cavano pietre, lasciando un segno tanto lungo ed importante da suscitare autentica infinita approvazione. Diego Zandel aveva voluto incontrare Tomizza e ragionare con lui di scrittura per convincersi di essere sulla strada giusta, come a suo tempo aveva fatto Pier Antonio Quarantotti Gambini con Bobi Bazlen, il cui giudizio determinava la consegna degli scritti all’editore e alla stampa. Tomizza è stato ispiratore per Franco Fornasaro, Milan Rakovac, Ciril Zlobec, Lucifero Martini, Mario Schiavato e tanti altri autori che si sono riconosciuti nella sua opera, nelle sue tematiche. Di queste persone, Fulvio diventava amico: come non ricordare il primo Premio Tomizza, nel 2004, a Predrag Matvejevic, “uomo libero”, per lui parlavano i suoi libri e le lezioni alle università di Zagabria, Parigi, Roma e Trieste, le conferenze, la partecipazione ai convegni, i saggi, gli articoli, le confidenze fatte a scrittori, professori, semplici cittadini, sempre con un occhio attento alla dimensione delle cose nel rispetto della libertà di ciascuno.

Con Fulvio Tomizza condivise la scomoda posizione di uomo di frontiera che, se decide di essere volutamente e testardamente trasversale, finisce inevitabilmente per attirarsi gli strali delle piccole menti vuote di chi preferisce i tagli netti, le definizioni “pulite”, per non dover ragionare troppo su ciò che è diverso e ricco, inafferrabile, che impone di considerare l’esempio ed il ruolo del singolo che non è uguale a nessun altro ma che si aggrega al gruppo per volontà e presa di coscienza. Più facile rapportarsi con le definizioni semplici, da contenere in una frase.

Ma il Mediterraneo non è questo, noi non siamo questo, né per Matvejevic e tanto meno per Tomizza, non è il mare della semplicità, è il mare (o la terra nel caso del nostro Fulvio) di una meravigliosa complessità, che rende ricco chiunque lo sfiori e si appresti ad esplorarne i contenuti e le singole straordinarie componenti.

Trieste era importante per Matvejevic, una città alla quale tornava volentieri, che immaginava con l’animo del poeta, e sulla quale ragionava per la sua posizione in una sacca adriatica che è Mediterraneo vero in molti momenti della sua storia, in altri invece gli volta le spalle e muore dentro per troppi confini immaginati che si materializzano in sterili pagine di leggi, accordi, memorandum…

Personaggi eccellenti che nel Premio e nel Forum si sono uniti per tracciare una strada e omaggiare la trasversalità che si fa gesto, parola, impegno, frustrazione ma anche emancipazione che naviga verso il futuro.

Anche per Zandel Trieste è punto di arrivo e di partenza, la ritroviamo nei suoi libri, come riferimento costante, il punto più vicino in cui immergere le dita della mano e sentirsi a casa in un Adriatico che unisce. Hanno fatto bene gli organizzatori del Forum Tomizza a dedicare gli incontri di quest’anno al Carnevale, alla confusione delle cose che cambiano, anche i ghiacciai, fatti d’acqua, quando si spezzano, lanciano un urlo che arriva al cielo e scuote la terra; mentre tutto è destinato inevitabilmente a ritornare essenza, il ghiacciaio diventa mare, la terra cancella il confine, sconfigge i paletti e le idee si sentono libere di urlare.

A Trieste l’incontro del Forum Tomizza si è tenuto alla Stazione Rogers, tra le pareti di cemento di un distributore costruito ai tempi del Governo Militare Alleato, ancora un po’ ai margini della città che non riesce ad eleggere Tomizza a suo simbolo fino in fondo, con consapevolezza e determinazione.

Eppure Fulvio è stato ispiratore di tanti uomini e donne che si riconoscono, ieri come oggi, nel suo cammino.

Ci chiediamo, ancora davanti al cancello della sua casa nella campagna istriana: che cosa avrebbe detto dell’indifferenza di molti per la caduta degli ultimi confini in questa nostra terra? Quali riserve? Quanto è difficile cogliere la portata degli eventi?

Spesso sfuggono i contorni delle opportunità, la cosa che più colpisce è la superficialità delle reazioni, la caduta dei confini come notizia di cronaca e colore. E invece è cambiato il mondo. Oggi conta il denaro, contano gli affari, gli investimenti.

Ma stiamo attenti, la corsa all’oro potrebbe travolgerci ed in parte sta avvenendo. Non piacerebbe a Tomizza l’esasperata antropizzazione dell’Istria, il ratto del silenzio di un’Istria magica, testarda, capace, trasformista, tenace, dolce e dura che egli ci ha descritto. Per nostra fortuna, è ancora sempre preservata nelle sue parole, alle quali tornare quando avremo l’impressione che sia stata rubata la bussola del buonsenso durante un Carnevale regolato unicamente dal cinismo e dal profitto.

 

La dimora estiva di Fulvio Tomizza

a Momichia, presso Giurizzani

foto di Livio Croatto