PROFILO DI UNA CITTÀ

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Max Fabiani e la “sgraziata semplicità di forme “ di Casa Bartoli

di Maurizio Lorber

L’architetto Otto Wagner (Vienna 1841-1918) appartenne alla generazione della Ringstrasse, definita da Robert Stern “l’enciclopedia in pietra del classicismo”. Benché Wagner avesse aderito inizialmente al filone della Stilarchitektur, noto in Italia quale Eclettismo in quanto si rifaceva agli stili architettonici del passato, quando divenne, nel 1894, professore all’Accademia delle Belle Arti a Vienna, si dichiarò ufficialmente contrario a questo indirizzo architettonico poiché non rispondente alla esigenze della modernità.

Affrontò quindi un lavoro di “purificazione” in netto contrasto con i canoni tradizionali. Il processo iniziò con una semplificazione delle forme decorative per giungere all’eliminazione delle stesse. Le premesse teoriche e le prime realizzazioni esemplificarono come la scuola di Wagner tendesse a un classicismo essenzializzato nel quale la struttura geometrizzante si sostituiva agli ordini classici.

A Trieste, questo nuovo indirizzo architettonico è riscontrabile nelle realizzazioni di Max Fabiani che, alla fine del suo viaggio di studio europeo, compiuto grazie alla borsa di studio della Fondazione Ghega, fu introdotto, tramite Joseph Maria Olbrich, nello studio di Otto Wagner.

Le opere triestine del Fabiani si allontanano, per molti aspetti dal liberty tipicamente decorativo esistente in città. Il Narodni dom (1901-1904), la casa Bartoli (1905-1906) e il palazzo Stabile (1905-1906) evidenziano – pur nella loro diversità – un aspetto comune dell’architettura innovativa dei primi ‘900 che non vuole riproporre, né mistificare, la Stilarchitektur attraverso un decorativismo sovrabbondante, ma piuttosto trovare soluzioni coerenti con le nuove esigenze abitative o multi-funzionali degli edifici.

Precedentemente già il Polli aveva tenuto conto delle nuove necessità imprenditoriali proponendo, in uno dei progetti per casa Mordo, un basamento con ampie vetrate destinate ai negozi; l’ideazione però non fu raccolta da Giovanni Maria Mosco che per casa Junz-Calabrese preferì adottare una soluzione tradizionale.

Le esigenze commerciali che s’imponevano in casa Bartoli furono invece soddisfatte dal Fabiani adibendo i primi livelli dell’edificio a magazzini con vetrate che giungono fino al mezzanino e con ampie finestre al primo piano (oggi occultato da una terrazza vetrata) e posizionando il portone d’ingresso non al centro della facciata, ma lateralmente. Fra l’ampia zona vetrata dei grandi magazzini e quella abitativa in muratura, con la decorazione a losanghe sull’intonaco e le finestre binate, fu inserito un terrazzo continuo che attualmente poggia sulla veranda

Fabiani quindi, con notevole anticipo su Adolf Loos, il più grande autore del razionalismo europeo che ha creato, nell’edificio noto oggi come Loos Haus (Vienna 1909-1912) una divisione netta tra il pianoterra-mezzanino e i piani superiori, propone le medesime soluzioni senza peraltro utilizzare alcun elemento desunto dal linguaggio classico, com’è testimoniato dall’assenza di lesene o colonne nel basamento.

Non si tratta quindi né del floreale (Casa Righetti) né degli stili storici (Palazzo del Lloyd Triestino) ma di soluzioni nuove nell’apparato decorativo che riprendono alcuni dei modelli già sviluppati dall’architetto nativo di Kobdilj (San Daniele del Carso) in alcuni palazzi viennesi (Palazzo Portois & Fix, 1897 e Palazzo Artaria 1901-1902).

In casa Bartoli riprese in parte le soluzioni geometrizzanti con una particolare decorazione a losanghe già adottata, in maniera sporadica, nei Padiglioni dell’Esposizione dell’Alcool a Vienna (Prater 1904) ed in misura più preponderante nei Padiglioni dell’Esposizione Boemo-Tedesca (Liberec 1900) nonché nella Cassa di Risparmio Slovena di Gorizia (progettata nel 1903 e distrutta nel 1916). La commissione edilizia non approvò una soluzione così stilizzata costringendo l’architetto a inserirvi qualche elemento floreale per cui, sulla parte superiore della facciata, fu aggiunta una cascata di foglie in stucco a leggero rilievo, in modo da mutare il motivo geometrico astratto in un elemento naturalistico, trasformando le losanghe in un graticcio sul quale poggiare le foglie che si dipartono dal cornicione.

Questa decorazione floreale è affine a quella, purtroppo scomparsa, della Iglhaus di Vienna, “atta a richiamare forme barocche, usate nel circondario”, secondo una definizione dello stesso Fabiani, della quale però conserviamo una fotografia che ci dimostra come possa essere stata il primo modello per le “onde fogliacee” di Casa Bartoli.

Quella sorta di pergolato aderente al piano di facciata non può essere considerata come una decorazione applicata a mo’ di tappezzeria che riproponga una sorta bizzarro decorativismo, ma piuttosto come una rappresentazione di vegetali che vengono immaginati privi di profondità ed aderenti alla superficie da decorare. La simulazione del pergolato potrebbe apparire “barocca”, ma certamente rendeva coerente ciò che per definizione non lo era: la decorazione floreale.

La modernità dell’edificio non deriva comunque dalle sole forme esteriori ma viene ulteriormente espressa, come insegnavano i dettami della Wagnerschule, dall’utilizzo di nuove tecniche costruttive che in questo caso prevedevano l’uso del cemento armato, secondo un modello di costruzione tipico in quegli anni per le strutture portuali. Per la costruzione dell’edificio è stato utilizzato un sistema definito ëinbetonierte Eisensäulen che consiste nell’immergere nel calcestruzzo dei pilastri e dei trafilati in ferro e acciaio. Poiché il metodo fu illustrato pubblicamente nel 1908 da Fritz von Emperger al Politecnico di Vienna, è importante sottolineare come casa Bartoli, terminata nello stesso anno, abbia utilizzato il sistema prima della sua definitiva divulgazione. Tale sistema costruttivo impiegato a Trieste nel magazzino n. 4 (1907-1908) consisteva in “colonne in ferro annegate nel calcestruzzo di cemento fu successivamente impiegato anche in molte costruzioni civili di Trieste e diede ottime prove di solidità in occasione dei bombardamenti dell’ultima guerra, quando le bombe sono penetrate solo fino al terzo solaio” (Pozzetto 1982).

Nonostante l’esiguità di spazio, Fabiani riuscì a disporre due appartamenti per piano, e non uno come a casa Artaria, riducendo l’ampiezza del vano scale e conferendo notevole importanza ai balconi che assolvevano così una duplice funzione: ampliavano la metratura praticabile e permettevano di accrescere la luminosità delle stanze attraverso una finestra ed una porta finestra aperte sul terrazzino.

La modernità di Fabiani dovette purtroppo fare i conti con la visione provinciale della commissione tecnica del Comune. Infatti i progetti per la facciata, ripresentati il 5 maggio 1906, furono nuovamente respinti poiché ridotti a «una sgraziata semplicità di forme. La sua parete in ferro non ha poi ricorrenze con le linee del prospetto, né con i cassettoni ricavati nel soffitto della piastra di cemento armato. Anche il disegno di facciata postica costituisce un peggioramento di quello già approvato».

Risulta evidente che la modernità del linguaggio architettonico della scuola di Wagner era incomprensibile se valutata secondo criteri che si attenevano al coordinamento del sistema tradizionale degli ordini. Fabiani si vide così costretto ad assecondare i tecnici della commissione aumentando le decorazioni della facciata. Trattandosi di quello che si è soliti definire un discorso fra sordi, e prevalendo una forma di esaurimento reciproco, il 19 giugno 1906 finalmente il progetto fu approvato. Oggi, possiamo ben dirlo, è il palazzo più bello realizzato nel primo ventennio del nuovo secolo a Trieste.