PROFILO DI UNA CITTÀ: IL “PALAZZO STABILE” DI MAX FABIANI

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di Maurizio Lorber

 

La Stazione Rogers (Il Ponte rosso, n. 2, giugno 2015) è un esempio di architettura razionale moderna, ma la sua valutazione estetica sarebbe impensabile se la storia dell’architettura moderna europea non fosse costellata di autentici spiriti rivoluzionari. Questi architetti nacquero nella seconda metà del XIX secolo ma furono determinati a far sì che il presente fosse l’immagine del futuro. Precursore straordinario fu l’architetto Adolf Loos (Brünn attuale Brno, 1870 – Vienna, 1933) per il quale qualsiasi forma di ornamento era da considerarsi un delitto. Secondo Loos la progressiva eliminazione ornamentale di ogni oggetto d’uso comune era connaturata all’evoluzione della civiltà. L’ornamentazione era da considerarsi alla pari di un tatuaggio tribale oramai privo di ogni ragion d’essere: «L’uomo moderno che pratichi il tatuaggio è un criminale o un degenerato». Non si tratta dell’affermazione di un benpensante per il quale solo gli sciagurati possono essere tatuati, bensì è l’apodittica dimostrazione che i significati e lo scopo sociale delle immagini tatuate sul corpo hanno subito un processo di obsolescenza pari a quelle forme architettoniche – cornici, timpani, capitelli, ordini classici – che appartengono al passato. Perduto ogni radicamento negli attuali valori simbolici della nostra società, l’architettura del passato non è più in grado di rispondere ad alcuna funzione comunicativa nel mondo moderno. Loos pervenne a queste conclusioni quando nel 1893 si recò a Chicago per visitare l’esposizione internazionale e venne in contatto diretto con l’industrializzazione più avanzata del mondo. Sappiamo che Adolf Loos apprezzava le opere di Max Fabiani (Kobdilj, 1865 – Gorizia, 1962) , tanto da condurre gli studenti a visitare i suoi edifici viennesi affinché comprendessero qual era l’atteggiamento più opportuno per rapportarsi all’arte antica. Forse pensava anche all’architetto di Kobdilj quando scrisse “il più grande architetto del futuro sarà un classico […] tuttavia per rispondere anche alle esigenze materiali della propria epoca, egli dovrà al contempo essere un uomo moderno”. Trieste, agli inizi del secolo, stava assumendo i caratteri propri di una metropoli moderna con esigenze commerciali, abitative e sociali alle quali Max Fabiani, formatosi a Vienna con Otto Wagner, sarebbe stato in grado di rispondere perfettamente. Un’occasione perduta per la nostra città se citiamo, solo a titolo di esempio, il suo un progetto ardito – lo ricordava il prof. Marco Pozzetto, il maggior studioso di Fabiani – di collegare le zone periferiche al centro città tramite un sistema di funicolari. Una metropoli che aspiri alla modernità, era questo l’insegnamento di Wagner, deve essere progettata con mentalità urbanistica e non limitarsi all’edificazione di palazzi. Ciò non accadde a Trieste e fu sicuramente il limite più evidente della sua modernizzazione con ricadute che giungono fino ai giorni nostri.

Fabiani, come noto, edificò poco nel capoluogo giuliano tuttavia risulta evidente che i suoi edifici nulla hanno in comune con il liberty decorativo realizzati a Trieste. Il cosiddetto Hotel Balkan, (1901-1904), la casa Bartoli (1905-1906) e il palazzo Stabile (1905-1906) evidenziano – pur nella loro diversità – un aspetto comune dell’architettura innovativa dei primi ‘900: la ricerca di soluzioni coerenti con le nuove esigenze abitative o multi-funzionali degli edifici. Rigettare il classicismo ufficiale – quello dei tribunali e degli edifici di rappresentanza – non significava tuttavia spezzare definitivamente quel legame col passato che caratterizza l’architettura europea. Il palazzo Stabile nella fattispecie, progettato nel 1905 e sito all’angolo di via Belpoggio con riva Grumula, è un esempio notevole di rilettura e citazioni degli elementi del linguaggio classico dell’architettura in chiave moderna ed è l’edificio triestino di Fabiani nel quale si riscontrano i maggiori punti di contatto con le architetture di Adolf Loos caratterizzate per l’astuta traduzione del linguaggio classico in quello moderno.

Palazzo Stabile si impone visivamente con la sua mole vigorosa sul quale si sviluppa il bugnato rustico, di coloro caldo, che giunge al marcapiano in bianca pietra d’Istria e poi continua irregolarmente fino al basamento del bow-window angolare. Ma la modernità è evidente nelle finestre ritagliate nella facciata senza alcuna modanatura tradizionale. Unica concessione leziosa la presenza, al secondo e al terzo piano, di riquadri a stucco in leggero aggetto che proseguivano continuativamente anche sul bow-window. Questi ultimi furono distrutti dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e mai più ripristinati (sono visibili nella foto d‘epoca). L’elemento cilindrico rimase così disancorato dal resto della facciata accentuandone l’aspetto di “selvaggia semplicità” (definizione tratta dalla relazione dell’ufficio tecnico comunale del 1905). Il polo di attrazione visiva è il cartiglio ad angolo sottostante il bow window. Esso rispetta il dettato wagneriano secondo il quale “è una proprietà caratteristica della sensibilità umana che l’occhio nell’osservare un’opera d’arte cerchi un punto di quiete o di concentrazione […] questo fenomeno deve indurre l’architetto a predisporre una specie di punto focale su cui si concentrino i raggi dell’attenzione” (Otto Wagner, Moderne Architektur, 1895). Procedendo per dettagli l’entrata è l’elemento più singolare. Posta sulla via Belpoggio è incastonata nel vigoroso bugnato: un esempio di “classicismo essenzializzato”, con un timpano sorretto da mensole a voluta ispirate alle forme dell’architettura michelangiolesca. Nel suo insieme, palazzo Stabile, compendia la seconda fase produttiva di Fabiani nella quale si recuperano alcuni elementi classici quali il bugnato cinquecentesco, il portale con timpano, il cartiglio e le lesene accoste al bow-window sulle quali, conci di pietra – quasi brevi tratti a matita – segnalano il livello dei pavimenti.

Come è noto nell’architettura l’abilità dell’architetto contempla anche la capacità di rispondere alle richieste del committente, così a palazzo Stabile al piano terra si volle fosse previsto un caffè viennese che avrebbe conferito prestigio all’edificio. La stessa pianta è in funzione della panoramicità del luogo. Internamente le stanze che insistono sul lato mare sono collegate alle altre da un corridoio che, sebbene limiti la possibilità di attuare una pianta più libera e articolata degli appartamenti, favorisce al massimo la fruizione della veduta.

Infine il bow-window cilindrico è meno sorprendente se siamo edotti che fu il committente Ernesto Stabile a richiedere un soggiorno luminoso. Il suo appartamento, per il quale Fabiani curò anche gli arredamenti, era all’ultimo piano dell’edificio e dall’Erkerzimmer l’agiato possidente poteva rimirare il suo yacht ormeggiato nel porticciolo…