Un percorso mistico di Rilke

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Rosarita Morandini pubblica un saggio sul poeta delle Elegie duinesi, seguendo la doppia direzione dell’assaporamento e della sfida interpretativa

di Anitha F. Angermaier

 

Fresco di torchi e pronto per una navigazione che purtroppo si annuncia problematica in tempo di covid quanto a distribuzione nelle librerie, presentazioni, dibattiti, ecc., profuma di inchiostro sul mio bel ‘Schreibtisch’ di rovere l’ultimo libro pubblicato dall’“Istituto giuliano di storia cultura e documentazione” di Trieste e Gorizia, Rainer Maria Rilke. Un percorso mistico. L’autrice Rosarita Morandini, già docente di Lingua e letteratura tedesca in un liceo triestino, coltiva con Rilke un rapporto lungo e appassionato. Che, come spesso accade nel caso di autori di qualità così speciale, prende la doppia direzione dell’assaporamento e della sfida interpretativa. All’origine, certamente, una seduzione. Perché non è facile resistere al fascino di Rilke – e cedo la parola all’autrice – per «quella sua dolente malinconia generata dal connubio interiore di acuta sensibilità e di fine cerebralità, percepibili nelle originali combinazioni di concetti o nelle speculazioni mistiche, [per] il vivere randagio senza legami e fissa dimora, trascinandosi da un hotel chic o manoir principesco, spesso ospite di anfitrioni nobili, entusiasti della sua arte, cui egli lasciava al momento del commiato stupende rime sul libro degli ospiti, come anche in qualche bicocca diroccata e solitaria, in una sorta di eremitaggio, lontano dal mondo ma in connessione con lo spazio cosmico». Un poeta che conquista o infastidisce, e che raramente lascia indifferenti.

Così lo raccontava a metà anni ’90 il germanista Luigi Forte su Belfagor: «la patina neo-romantica e decadente, l’allure un po’ aristocratica del personaggio e della sua poesia rischiano di soffocare l’empito, il calore della vita, la sua lotta dal basso per conquistare dignità e forza, la sua ricerca vagolante e inquieta». Un artista dunque spesso incompreso? Brecht ne scriveva sarcastico, Musil lo giudicava inattuale (altri giudizi ancora, Lukács, Heidegger, si leggono, in questo volume, nella presentazione di Fulvio Senardi). Ma Morandini non conosce cedimenti, Rilke è il poeta che canta al suo cuore e nutre la sua mente.

Il libro di cui ci occupiamo conferma però anche un’altra vocazione, quella che sospinge l’“Istituto giuliano” verso la cosiddetta letteratura mittel-europea, tanto di lingua italiana che di lingua tedesca: solo qualche hanno fa l’Istituto ha avuto il merito di offrire al lettore italiano la traduzione di Siora Maddalena di Theodor Daübler, scrittore di lingua tedesca nato nella Trieste cosmopolita del 1876. A credere al catalogo nazionale, l’unica sua opera leggibile nella nostra lingua (e solo nelle biblioteche, perché il libro è andato subito esaurito) di chi è considerato uno dei maggiori poeti simbolisti di area germanica. Un bel risultato per un Istituto che vive a prescindere da ogni pubblico finanziamento, in una Trieste che vanamente si pavoneggia dei suoi grandi scrittori, a suo tempo osteggiati o emarginati dalla egemone, allora come oggi, codineria provinciale della città adriatica. Ma torniamo al punto. Il rapporto di Rilke con Trieste è, non occorre dirlo, meno diretto: una comune e generica appartenenza asburgica della città e del poeta, eppure a un suo fruttuoso soggiorno sul mare triestino, nel castello di Duino che lo domina su uno strapiombo di rocce, si deve la suggestione per la stesura delle omonime Elegie.

Quali le caratteristiche e i meriti della lettura rilkiana della Morandini? Facile a dirsi: soprattutto la capacità di “liberare” l’interpretazione da quei presupposti heideggeriani che esaltano ma anche ingabbiano il messaggio del poeta praghese. Se, infatti, nel saggio Wozu Dichter? di Sentieri interrotti il filosofo tedesco innalzava Rilke ai cieli tersi della filosofia, rivendicandone l’esemplarità in tempi di penuria, finiva anche per incapsularlo in una propria, originalissima lettura. Altra la strada della Morandini: la studiosa si pone l’obiettivo di accompagnare l’evoluzione di un poeta che va a collocarsi nella particolare posizione di scrittore mistico senza religione, e di “religioso” senza dei né trascendenza in senso cristiano: “egli sembra intuire”, spiega Morandini, “che il trascendente sarà concesso a lui come agli altri uomini se prima avrà imparato ad accettare i propri limiti, accontentandosi dell’«esigua striscia di terra da frutto tra torrente e pietraia del mondo reale, modestissimo ma umano, e nel quale, accettando il compito, abbia trovato il senso della propria esistenza». Si tratta allora di enucleare degli emblematici momenti-tappa della sua lunga attività di poeta (singole composizioni che l’autrice offre al lettore in traduzioni del tutto nuove) per documentare la sfida di chi volle porsi «in mistico abbraccio con tutto il reale, anche con la morte», tanto da «prende[re] finalmente coscienza della pienezza e senso di ogni cosa, e in ognuna trasfonde[re] la piena del suo cuore realizzando quel ‘riempimento mistico’ dal quale nasce un nuovo rapporto d’amore con tutte le cose, che, a loro volta, acquistano così il loro pieno significato» (Morandini).

Rilke non è, lo sappiamo, un autore facile: supera il punto di partenza decadente e parnassiano, mantenendo nel prosieguo della sua trentennale operosità molte scorie di quella prima maniera. Accumula esperienze di vita, viaggi, incontri, amori per liberarsene ogni volta come di un peso che impacciava la sua missione: quella chiamata alla poesia che esprimeva con un perentorio “io devo”, in una lettera del 1903 a un giovane scrittore che gli aveva inviato le sue liriche. A poco a poco, grazie alla poesia e nella poesia, mette a fuoco l’esigenza di partecipare al mistero del mondo (piuttosto che farlo oggetto di canto), un mistero di cui egli si sforza – appropriandosi anche di figure del simbolismo cristiano – di cogliere e allegorizzare, per dire con le Scritture, il “suono di silenzio sottile”. Qui non è il pensiero discorsivo a poterci guidare, ma solo la poesia che per lampi e bagliori, “per speculum in aenigmate” (siamo di nuovo alle Scritture, qui San Paolo), propizia una conoscenza “per fusione”. Una forma dunque di comunione con il Tutto per via estetico-affettiva. Tanto più difficile allora – come sempre per poeti così produttivi per quantità ed estensione temporale – individuarne con sicurezza le tappe salienti. Tanto più che con i Grandi della poesia succede un po’ come per il mondo sub-atomico: le singole particelle si muovono in maniera capricciosa e imprevedibile, ma quando fanno massa mostrano una direzione, esprimono una “forza” esplicita e coerente. Che Morandini si sforza di mettere in rilievo, proponendo una traccia: il profilo, appunto, di quel Rilke mistico che nell’intero percorso terreno ha come scavato, con sofferta tenacia monacale, un suo solco di solitudine, («Tu, o mia santa solitudine, / così ricca e pura e immensa /come un giardino che si desta all’alba»), rinuncia, attesa perché prendessero eco in lui, per noi, e senza perdere fragranza e tepore, eppure inafferrabili e indicibili, le cose.

 

 

 

 

Rosarita Morandini

Rainer Maria Rilke

Un percorso mistico

prefazione di Fulvio Senardi

Istituto Giuliano di Storia, Cultura

e Documentazione Trieste, 2020

  1. 92 Euro 10,00