PROFILO DI UNA CITTÀ

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Il Tempio Israelitico

di Maurizio Lorbersinagoga-trieste

Il progetto della sinagoga di Ruggero e Arduino Berlam fu prescelto in maniera anomala. Il concorso, al quale parteciparono ben quarantadue concorrenti appartenenti a tutte le diverse culture dell’Impero asburgico, non assegnò la realizzazione al vincitore ufficiale e le ragioni per le quali il progetto di Franz Matouschek fu scartato a favore di un’inedita elaborazione da parte dei Berlam non sono chiare (C. Lettis, Il Tempio Israelitico, in F. Rovello, a cura di, Trieste 1872-1917 – Guida all’architettura, Trieste 2007, p. 287-290). La storia, che per sua natura deve basarsi sui documenti, in tal caso entra in un cono d’ombra lasciando spazio soltanto alle congetture. Ciò che è invece verificabile è che la costruzione del tempio, iniziata nel 1908, fu conclusa nel 1912 con la realizzazione di un edificio per il quale è impossibile rintracciare una tipologia già codificata. Aspetto affatto singolare se consideriamo che tutte le sinagoghe d’Europa furono progettate ricorrendo ad elementi stilistici eterogenei costringendo gli architetti, di volta in volta, a inventare modelli nuovi con l’unico tratto in comune di rifarsi, molto genericamente, a modelli bizantini.

Per soddisfare le esigenze liturgiche ebraiche fu elaborata una pianta che, curiosamente, ripropone l’assetto di una chiesa occidentale in grado di accogliere un elevato numero di persone in uno spazio non enorme. Per quanto attiene ai modelli di riferimento, è lo stesso Arduino a testimoniarci che nell’elaborazione progettuale si ispirarono all’architettura siriaca del IV sec. d.C. La studiosa Giovanna Marsoni (1986) pose in evidenza quali potevano essere le fonti di ispirazione per i Berlam, proponendo degli interessanti paragoni tra la sinagoga triestina e alcuni particolari di architettura siriaca ripresi dal testo di Luigi Archinti (Degli Stili nell’Architettura, 1892-1895). La studiosa precisa tuttavia come i Berlam abbiano condotto un’indagine sui resti delle più antiche sinagoghe della Palestina e tennero ben presente la descrizione del tempio di Salomone, che si trova nel libro dei Re. Dai resti delle sinagoghe, in particolare, trassero i motivi geometrici e vegetali delle decorazioni. Il professor Marco Pozzetto ha avanzato l’ipotesi che degli altri modelli, e in particolar modo quelli decorativi, fossero desunti dall’architettura armena. A tal riguardo si è precisato come Arduino disegnasse le terrecotte tarantine dei Musei di Trieste per la tesi di laurea che Attilio Tamaro discusse con Josef Strzygowski (1872-1941) nel periodo in cui questi studiava l’architettura armena. D’altra parte è possibile che delle influenze armene gli architetti non avessero affatto consapevolezza poiché nelle basiliche siriache soltanto gli studiosi riscontrarono la ripresa di tipologie armene. Va precisato che è ancora dibattuta la questione relative i rapporti di dare e avere in un periodo nel quale gli interscambi fra Siria e Armena aumentarono. Sembra tuttavia accertata una dipendenza dell’architettura religiosa armena da quella siriaca, come si evidenzia chiaramente in alcune chiese dell’inizio del VI secolo ancora in ottimo stato (sia in Armenia che in Georgia) che dimostrano la ripresa di modelli dalle vicine chiese dell’est della Siria.

Questioni filologiche che hanno realativa importanza per gli architetti che cercavano invece delle formule visive che rendessero gli edifici identificabili per funzione. I modelli anticlassici quali fonti visive per ottenere delle realizzazioni architettoniche adeguate non erano una novità in ambito europeo. Un esempio anteriore al Berlam potrebbe essere la sinagoga di Dresda costruita da Gottfried Semper nel 1883-1884. L’edificio fu purtroppo distrutto nella “notte dei cristalli” ma da foto d’epoca rileviamo come l’architetto evitò gli stili architettonici codificati (gotico, neoclassico) preferendo un’elaborazione vicina alle architetture medievali edificate dai crociati quando si insediarono in Palestina formando piccoli stati fondiari (1099-1187).

È possibile pertanto comprendere che la sinagoga di Trieste non rappresenta un episodio isolato, ma confermi invece quella necessità, già espressa da altri progettisti, di rivolgersi a modelli estranei all’architettura degli stili storici. Proprio in quegli stessi anni la scuola di Wagner stimolò l’inventiva e desiderò “dare al proprio tempo le adeguate forme d’arte”. Lo stesso palazzo della Secessione di Joseph Maria Olbrich (Vienna, 1898), forse il monumento più tipico del periodo, evoca forme estranee al linguaggio classico molto vicine all’oriente, così come la chiesa di San Leopold «am Steinhof» (1905-1907) di Otto Wagner unisce esperienze neoclassiche, barocche e bizantine. Bastano questi due soli esempi a testimoniare come le forme tradizionali venissero costantemente messe in discussione cercando di ricorrere a modelli estranei al linguaggio classico dell’architettura. Che lo stesso Ruggero Berlam non fosse insensibile al fascino dell’esotico lo dimostra il progetto del 1902 per l’ingresso del cimitero di Sant’Anna (Il progetto non fu mai realizzato pur risultando vincitore del concorso bandito dal Comune), che, per taluni aspetti, ricorda gli edifici viennesi di Jospeh Maria Olbrich e di Josef Hoffman.

Se la sinagoga progettato dai Berlam meriterebbe ulteriori approfondimenti storico artistici non dobbiamo sottovalutare, in questo contesto, l’importanza simbolica dell’edificio che attesta, con la sua mole imponente, l’importanza della comunità ebraica nel tessuto sociale ed economico nella storia di Trieste. Purtroppo, come noto, la sinagoga di Trieste ci rimanda anche alla memoria aspetti infausti: la dichiarazione delle leggi razziali dichiarate con cerimonia solenne da Mussolini in piazza Unità d’Italia il 18 settembre 1938.

Gli eventi spesso lasciano tracce materiali che sembrano delle moderne installazioni atte a farci riflettere. È il caso della profilo sbiadito, sulla facciata cieca ancora esistente in via Tor Bandena, delle scale della Scola Piccola che conducevano al matroneo. È quanto resta di questa antica sinagoga triestina posta nel ghetto ebraico, demolita nel 1937, per far largo al rinnovamento urbanistico fascista foriero di una modernità che in realtà fondava la sua ragion d’essere sulla prepotenza. Un tanto per non sottovalutare mai il fatto che la storia degli edifici è indissolubilmente legata agli uomini che li hanno abitati, vissuti, amati e alle volte sofferti. Giova a questo riguardo citare un libro bellissimo che non ci si stanca mai di sfogliare e leggere : Memorie di Pietra. Il Ghetto ebraico, La Città vecchia e il piccone risanatore. Trieste 1934-1938 (a cura di Diana De Rosa, Claudio Erné e Mauro Tabor, Trieste 2011).