Prose di Giuseppe Parini

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di Fulvio Senardi

 

L’ultimo volume dell’Edizione nazionale delle Opere di Giuseppe Parini, impresa tanto necessaria quanto monumentale snodatasi lungo un percorso curato da Giorgio Baroni che di volta in volta ha chiamato al compito di introdurre e commentare le singole opere studiosi di indiscutibile competenza (e previo un attento e impeccabile lavoro filologico), si chiude con il volume delle Prose – Scritti accademici. Prose d’arte. Interventi critici (a cura di M. Ballarini e P. Bartesaghi, presentazione di G. Baroni, Appendice di Addenda e Corrigenda a cura di C. Viola).

Sfogliando il libro, e sulla scorta delle preziose indicazioni dei curatori, si ha accesso allo scrittorio di un Parini minore, anzi, forse minimo, traendone però importanti conferme. Innanzitutto sull’apertura internazionale dell’intellettuale, sicuramente un protagonista, senza clamori né ostentazione, di quella Weltliteratur sognata da Goethe. Che, nel caso di Parini, si manifesta non tanto sul piano antropologico – Homo sum, humani nihil a me alienum puto – quanto nella concretezza di problemi specifici ed attuali dell’Europa del suo tempo (vogliamo dire il Mondo?), riflettendo per esempio, ne discuteva il giovane Claudio Magris una quarantina di anni fa sulla «Rivista di Psychoanalisi» (ambiente poco frequentato dal germanista, ma come si sa, spiritus ubi vult spirat), sulle trasformazioni delle strutture sociali che fanno nascere il Nuovo (che Parini vuole si affermi per gradi, senza scosse rivoluzionarie o tumultuosi passaggi) dentro il bozzolo del Vecchio.

La lunga citazione dal Saggio sopra l’uomo  di Alexander Pope (tradotto in italiano intorno alla metà del Settecento) in esergo al primo Dialogo sopra la nobiltà, ci conferma la capacità del poeta di mettersi in sintonia con i più vivi motivi di polemica civile e sociale dell’Europa dei suoi anni, dentro il cui fascio il tema della funzione (e dei doveri) della nobiltà è sicuramente centrale. Un «uomo dabbene» («il nuovo soggetto pariniano», spiegano Ballarini e Bartesaghi) deve «proporsi la “pubblica utilità”, il bene comune come “iscopo principale del suo operato”» (p. 26); e se ciò non rientrasse nei propositi e nelle pratiche di una classe aristocratica incline al lusso più che opere di vera utilità, interviene il Poeta, con la sferza della sua eloquenza, a dar voce a quei principi del vero e dell’utile a cui egli (e l’illuminismo lombardo) ha ispirato vita e mestiere. Peraltro l’utile, come obiettivo di una passione educativa che in Parini non viene mai meno e spiega molto bene la versatilità e l’ampiezza, in prospettiva di genere, del suo impegno letterario, impone allo scrittore, che pure non disdegna l’espressione dialettale (quando non sia posa, ma nasca da una autentica esigenza di espressività), di voltare le spalle a «una letteratura fatta di “concettini” e di “lascivuzze toscane” completamente avulse dalla vita» (41).

La quadratura etica di una vita di uomo e di poeta, insomma, si ritrova in ogni angolo prospettico da cui si affronti l’opera pariniana. L’insegnamento più imperituro (e più attuale, per una società che ha smarrito il confine tra cultura e marketing, etica e successo) di un intellettuale che pur vicino alla temperie sensista (e quindi perfettamente capace di apprezzare «l’infinita e variata serie di sensazioni piacevoli» che ci rendono cara l’esistenza), è ben consapevole delle ragioni che ci impongono di vivere secondo i «motivi superiori» della «Religione e dell’amore dell’ordine universale» (attingiamo da uno dei “pensieri” che il presente volume raccoglie), realizzando un imperativo morale che concilia armoniosamente facoltà e desideri,  pensieri ed opere dell’uomo intero.

 

Giuseppe Parini

Prose – Scritti accademici.

Prose d’arte. Interventi critici

a cura di  Marco Ballarini e

Paolo Bartesaghi

presentazione di Giorgio Baroni

Fabrizio Serra editore

Pisa-Roma, 2021

  1. 274. euro 156,00