Quando il tempo (non) è galantuomo

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di Stefano Crisafulli

 

A volte i capolavori in bianco e nero degli anni ’50 risultano ancora oggi godibili e per nulla invecchiati, soprattutto se la loro struttura era già allora perfetta. Così è, ad esempio, per il film Eva contro Eva (1950) del regista Joseph L. Mankievicz, autore anche di una sceneggiatura, costruita a partire dal libro di Mery Orr The wisdom of Eve, che fila via liscia come l’olio. E i sei oscar vinti sono pienamente meritati: miglior film, regia e sceneggiatura, miglior attore non protagonista (George Sanders che veste i panni del critico Addison De Witt, cinico e disilluso), migliori costumi e suono. Peccato per l’Oscar mancato alle due protagoniste, Anne Baxter (che impersona la Eva del titolo) e, soprattutto, una Bette Davis che giganteggia sulla scena interpretando una star teatrale in declino (Margo Channing) e che almeno verrà premiata con la Palma d’Oro a Cannes. Va detto che il titolo italiano, come spesso accade, ci azzecca poco con quello originale: All about Eve significa pressappoco ‘Tutto a proposito di Eva’, mentre Eva contro Eva richiama piuttosto il conflitto centrale della storia, quello appunto tra Eva, giovane aspirante attrice sotto mentite spoglie, e Margo, attrice di successo sul viale del tramonto (citazione non casuale del film coevo di Billy Wilder, altro capolavoro che sembra il sequel del film di Mankievicz), terrorizzata dal tempo che passa pur avendo appena quarant’anni. E, come ben si sa, due primedonne difficilmente possono coesistere.

La storia viene raccontata, per mezzo di un flashback, a partire da una premiazione che anticipa già l’avvicendamento, tutt’altro che indolore, tra le due attrici. Eva, una fan accanita di Margo, aspetta ogni giorno, alla fine dello spettacolo, il momento buono per poterla conoscere. L’occasione arriva grazie a Karen (Celeste Holm), la moglie dell’autore della commedia, che la introduce in camerino. Lì Eva racconta una storia lacrimevole e del tutto falsa a Margo, la quale, impietosita, finisce per assumerla in casa propria come tuttofare, senza accorgersi che sta allevando la proverbiale serpe in seno. Alla prima occasione, infatti, Eva sostituisce a teatro Margo, che si è accorta troppo tardi delle sue intenzioni, e cerca pure di rubargli il suo uomo, con scarso successo. In compenso Eva conquisterà il critico De Witt e costituirà con lui un ‘sodalizio professionale’ che la proietterà sempre più in alto. Quando De Witt scopre la sua montagna di bugie e la ricatta, a sua volta Eva non esiterà a ricattare Karen per avere una parte da protagonista nel nuovo lavoro del marito, fino ad arrivare alla già citata premiazione. La coda conclusiva richiama, mediante l’uso di specchi, un film uscito tre anni prima, la Signora di Shangai di Orson Welles, anche se in questo caso la moltiplicazione delle immagini è un riferimento metaforico non tanto alla frammentazione labirintica dell’Io, quanto al narcisismo dello star system e all’arrivismo dell’ambiente teatrale, cinematografico e, ampliando il concetto, di tutta la società americana dell’epoca. Da sottolineare, poi, una delle prime apparizioni cinematografiche di una certa Marilyn Monroe, anche lei aspirante attrice, che già allora fa intravedere le sue capacità, ma interpretando un ruolo stereotipato, quello della donna bella e frivola, che sarà la sua fortuna ma anche la sua croce, sino alla fine, tragica, della sua vita.

Eppure, nonostante questa denuncia dei suoi vizi, il teatro mantiene inalterato il suo fascino, tanto che Mankievicz fa dire al regista e fidanzato di Margo, Bill Sampson (alias Gary Marrill): «Vuoi sapere cos’è il teatro? È il circo equestre ed è l’opera. Sono i rodei, i varietà, i balletti e le danze selvagge, Pulcinella, i cantastorie… tutto è teatro. Ovunque ci sia magia, fantasia e pubblico c’è teatro».